martedì 22 dicembre 2009

Se l'antiberlusconismo genera mostri


Ferrero è pronto ad accettare Casini premier pur di battere Berlusconi. D'Alema fa un accordo per diventare presidente del Copasir. Di Pietro sempre più duro. Eppure non siamo al fascismo e la pericolosità di Berlusconi, che pure esiste, si batte solo con un'opposizione sociale e una prospettiva di cambiamento sistemico

di Salvatore Cannavò
L’antiberlusconismo, viscerale, irrazionale o strumentale, può generare dei mostri. Come quello apparso ieri sulle colonne di Repubblica dove il segretario di Rifondazione comunista ha dichiarato, in un evidente stato di disperazione: “Pronti ad accettare Casini premier pur di battere la destra di Berlusconi”.
Il gioco in fondo è sempre lo stesso: Berlusconi è lo spauracchio, il pericolo, l’emergenza democratica, qualsiasi soluzione è accettabile, anche allearsi con Casini. In ossequio a questa analisi e a questa politica la sinistra italiana negli ultimi quindici anni ha, via via, accettato tutto: prima Occhetto e la sua “meravigliosa macchina da guerra”, una parte consistente, ma non Rifondazione allora, ha baciato il “rospo” Dini; poi, tutta quanta, è finita nelle braccia di Prodi-Ciampi e poi in quelle ancora più imbarazzanti di Prodi-Padoa-Schioppa. Ha votato la guerra, i sacrifici, i tagli alle pensioni, applicato i Cpt e inaugurato la precarietà con il pacchetto Treu. Il risultato è stato il suo suicidio politico e la conseguente scomparsa dal Parlamento. Ma tutto questo non è bastato, l’errore viene ancora perseverato, anche se il diabolicum assomiglia all’ultima spiaggia e nasconde l’illusione che sull’altare dell’antiberlusconismo tutto venga perdonato. Non è così. Non sarà così. Anche perché è l’analisi a essere sbagliata. Non siamo alla vigilia del fascismo e non c’è nessuna eversione costituzionale in atto. Berlusconi, e il berlusconismo, rappresenta un pericolo evidente perché continua ad attaccare le conquiste e i diritti del mondo del lavoro, gestisce, con la Lega, un vero e proprio razzismo istituzionale, rende inagibili le libertà individuali, sessuali, i diritti e le conquiste delle donne, continua la politica imperiale di guerra. Procede soprattutto in direzione di quella “torsione autoritaria” della società e della democrazia italiane che è stata inaugurata circa venti anni - e forse ancor prima all’epoca del Caf di Andreotti, Craxi e Forlani - e che si avvale della debolezza del movimento operaio. Berlusconi è pericoloso, quindi, e va battuto socialmente e politicamente ma non perché prepara il fascismo ma perché interpreta al meglio – grazie anche alla sua capacità di adesione allo spappolamento della società italiana – quell’ “americanizzazione compulsiva” del nostro paese, quel miscuglio di leaderismo, populismo e plebiscitarismo da cui l’Italia sembra essere avvolta e che è il risultato della sconfitta subita dai movimenti antagonisti e dall’opposizione agli inizi degli anni 80, con la conseguente vasta passivizzazione sociale che favorisce il potere e la presa di quell'impasto tra cultura di impresa e potere dei media che è il berlusconismo. Questa condizione, maturando un po’ alla volta, ha generato un fenomeno, particolarmente visibile in Italia, compresi i suoi corollari.
Tra cui un’opposizione “democratica” – anzi, meglio, una minoranza parlamentare – compiutamente complice della situazione, incapace di vita politica fuori dal governo e che a ogni passaggio delicato e drammatico della vicenda italiana si prona ai piedi del Cavaliere per gestire insieme a lui la “Grande Riforma” del Paese. Una minoranza che ha avallato la riforma della Pubblica amministrazione voluta da Brunetta, che ha spianato la strada allo scippo del Tfr ai lavoratori, che ha inventato i Cpt per i migranti, ha avviato le politiche di precarizzazione del lavoro, vota convintamente a favore delle missioni di guerra. Costituisce il rimedio peggiore del male, visto che ogni volta che ha vinto le elezioni Berlusconi ne è stato avvantaggiato subito dopo.
Ma espressione speculare, per quanto contraria, del berlusconismo – cioè dell’americanizzazione compulsiva è anche l’attuale antiberlusconismo, viscerale, radicale, spesso pura opinione e astratto dalla materialità delle contraddizioni sociali. Dalla radicalità delle argomentazioni e dalla contestazione del personaggio Berlusconi non sembra discendere, infatti, una capacità di presa sugli effetti della crisi, una critica agli attuali assetti sociali, ma anche democratici, della vicenda italiana e nemmeno la capacità di prospettare un cambiamento reale, un’alternativa sistemica all’altezza della crisi di sistema. Non sembra davvero un movimento che possa impensierire l’attuale governo-
Sembra, anzi, che una certa americanizzazione della lotta politica, si sia pienamente impadronita anche della modalità di fare opposizione, in cui l’individualismo, l’invettiva radicale e veicolata dalla rete, l’assenza di azione collettiva, la personalizzazione, divengono gli ingredienti fondamentali. Sbagliamo oppure c’è una differenza abissale tra la manifestazione del 5 dicembre a Roma e quella del 12 dicembre a Copenaghen? La prima, canale di espressione di un disagio diffuso ma prontamente rifluito nell’azione individuale dei suoi protagonisti, riemersi forse nell’adesione istintiva, e poco comprensibile, al gesto di Tartaglia e incapaci di generare un movimento reale; la seconda, capace di interpellare una questione epocale del nostro tempo, di puntare il dito non solo contro gli attuali governi ma contro un intero sistema, ed espressione di realtà consolidate – Via Campesina, le Ong, i movimenti giovanili - in grado, forse, di sedimentare un nuovo “clima” internazionale.
Manifestare contro Berlusconi è doveroso ma deve essere anche utile, finalizzato alla sconfitta politica e sociale dell’attuale blocco di potere – peraltro in evidente crisi interna e nei rapporti con il suo blocco sociale – e quindi in grado di articolare una presa sociale che l’antiberlusconismo attuale non sembra avere. Funziona per una manifestazione di opinione, legata a cittadini e cittadine senza identità sociale o di classe, inadatti a riversare la loro critica all’interno dei rapporti di produzione e di riproduzione, nel vivere concreto delle contraddizioni attuali.
Tutto questo non sarebbe di per sé un problema: se esiste un movimento “democratico-radicale” di opposizione che si organizza con le proprie forme – la rete? – con le proprie parole d’ordine e i propri ritmi questo non impedirebbe a un movimento più radicato socialmente di realizzare un’analoga sua mobilitazione. In fondo, nel 2002 accanto ai Girotondi c’era un forte movimento No global che durò più a lungo e che ebbe una maggiore capacità di estensione.
Il vero problema è che l’antiberlusconismo radicale, e un po’ astratto, serve solo a coprire l’unica strategia che la sinistra italiana – nelle sue accezioni maggioritarie, moderate o radicali – sembra conoscere: “l’union sacrée” contro la destra, il Comitato di liberazione nazionale, l’abbraccio di tutto e tutti quelli possono garantire di respingere un pericolo che poi, ogni volta, si ripresenta più forte e più pericoloso di prima. Perché, puntualmente, il Cnl non aggredisce i fattori che hanno portato la destra a vincere, non elimina le condizioni strutturali dello slittamento moderato e reazionario della società italiana e finisce per essere il miglior viatico – con il suo carico di disillusioni, incoerenze e spregiudicatezze – al rafforzamento della stessa destra. Ci può essere uno scenario peggiore di Berlusconi, è bene non dimenticare questo assunto.
Eppure, si continua con un approccio strumentale. L’uscita di Ferrero, certamente, serve a salvaguardare la possibilità per quel partito di rientrare in Parlamento; le urla di Di Pietro servono a custodire gelosamente un ricco patrimonio elettorale; il Pd ha bisogno di rientrare nei gangli di potere e di garantirsi l’accordo con settori centristi, oggi apparentemente decisivi nella “governante” italiana. In tutto questo circo manca una voce alternativa, politica o sociale che si voglia. Nel 2002 c’era l’altermondialismo, oggi no. E’ chiaro che la costruzione di una nuova sinistra adeguata alla società italiana passa anche per la capacità di mantenere nervi saldi, lucidità di analisi e avversione ai vari opportunisminati. E nella possiblità reale di riconoscere, valorizzare ed estendere un movimento di opposizione sociale, autorganizzato, unificato, in grado di mettere in discussione l’attuale sistema. Solo così si potrà battere anche Berlusconi.

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