mercoledì 27 agosto 2008

PERCHÉ IL F.A.R.E. È UNA TRAPPOLA AI DANNI DEL TERRITORIO E DEL MOVIMENTO NO TAV

Bisogna leggere molto bene la proposta F.A.R.E. (non la sintesi, ma il documento completo di 45 pagine), bisogna aver assistito a tutte le presentazioni pubbliche della proposta per capire che in realtà il F.A.R.E. è una trappola ben studiata per battere la resistenza popolare e istituzionale contro la nuova linea ferroviaria Torino Lyon che noi chiamiamo da sempre e per brevità TAV.

Vediamo i punti fermi, consolidati, della lotta quasi ventennale al TAV:
netta contrarietà a qualsiasi nuova infrastruttura trasportistica (ferroviaria o autostradale) con la relativa e consequenziale indisponibilità a discutere di tracciati e di problematiche connesse;
netta contrarietà a qualsiasi nuovo tunnel (di qualunque tipo autostradale, ferroviario idraulico ecc., visti i danni creati da quelli già fatti);
netta contrarietà ad accettare, per qualsivoglia motivo, l’aumento del traffico merci attraverso la Valle di Susa (non siamo disposti a diventare un CORRIDOIO DI TRAFFICO) che ecceda le attuali 20 MT annue;
richiesta di politiche trasportistiche che favoriscano il trasferimento modale dalla gomma al ferro senza incidere sulla finanza pubblica (tipo sovvenzioni governative all’A.F.A.- modalhor), ma migliorando il servizio offerto e disincentivando il traffico su gomma, utilizzando la ferrovia esistente (già migliorata) e risolvendo i problemi là dove si pongono e quando si pongono, senza inutili forzature.
Le motivazioni economiche, ambientali e sociali non si elencano perché ben note a tutti.

Vediamo ora cosa propone il F.A.R.E che costituisce la demolizione dei punti fermi e consolidati citati sopra:
accetta l’ipotesi che il traffico merci attraverso le Valli di Susa possa crescere e crescere senza limiti, quindi di fatto accetta che le Valli di Susa possano diventare un CORRIDOIO DI TRAFFICO, e questa è la prima grande trappola, perché accettato questa ipotesi è chiaro che poi da qualche parte e in qualche modo queste merci bisogna farle passare;
• accetta l’immaginifico progetto dell’Agenzia per la Mobilità Metropolitana secondo il quale entro il 2012 – 2018 tutte le zone periferiche di Torino dovrebbero essere interconnesse da una serie di treni metropolitani che sfrecciano ogni 20 minuti in tutte le direzioni da Avigliana a Chivasso a Germagnano a Rivarolo a Orbassano a Pinerolo a Carmagnola e fino a Chieri (per questa suggestione progettuale, a detta degli stessi proponenti, non esiste neppure un centesimo di euro a disposizione), quindi accetta l’ipotesi di saturazione della linea fino ad Avigliana, quindi accetta l’ipotesi di un quadruplicamento della linea esistente o una nuova linea Orbassano – Avigliana (seconda trappola già messa in atto con il terzo quaderno dell’Osservatorio);
• accettata l’ipotesi di crescita del traffico merci e anche del traffico passeggeri (almeno da Avigliana a Torino), si dà per scontata la necessità di ipotizzare una nuova infrastruttura trasportistica di tipo ferroviario (questo è il capolavoro dei trappoloni) . Infatti il progetto F.A.R.E. toglie le castagne dal fuoco a Virano e Ferrentino ( “se si parlerà di tracciati abbandoneremo i tavoli”) e prevede, questa proposta, tutti i TRACCIATI (descritti e riportati sulle cartine) per la nuova infrastruttura trasportistica. E’ vero che si affretta a precisare (e questa è la grande suggestione e la grande truffa del F.A.R.E.) che tutto si dovrà fare per blocchi funzionali e solo quando si dimostri la necessità, ma intanto dice che “È MEGLIO OPERARE PER FASI” non dice “è indispensabile operare per fasi”, dice “è meglio” … (fasi che ci sono solo sulla carta perché dati i tempi di realizzazione delle diverse tratte, per arrivare nei tempi indicati, di fatto, tutto deve partire subito) non solo, ma poi, propone anche il tunnel di base chiamandolo pudicamente “DUPLICAMENTO DELLA LINEA DI VALICO”: in quattro FASI ha messo nero su bianco i tracciati, con le gallerie, i cantieri, le stazioni ecc.;
• il F.A.R.E. ha dimostrato la possibilità di una “progettazione preliminare unitaria della nuova linea Torino Lyon, dal confine francese a Settimo” (punto 4 delle decisioni operative assunte dal tavolo di Palazzo Chigi il 29/7/2008) e questa è la quarta grande trappola di questa proposta: rendere ineludibile la fase due dell’Osservatorio e cioè la PROGETTAZIONE di tutta la linea con il coinvolgimento degli enti locali interessati attraverso i propri tecnici (con alcuni che saranno sicuramente ben retribuiti con il pubblico denaro, magari attingendo da quei 671,8 milioni di euro che tutti cercano disperatamente di strappare all’U.E. in una corsa contro il tempo e con le carte truccate).

Per concludere, la proposta F.A.R.E., in modo accattivante, abbonda di “NO TAV” ma nei fatti propone la realizzazione del “NUOVO ASSE FERROVIARIO TORINO LYON” in modi e tempi da verificare tali per cui gli amministratori con i loro “tecnici” possano sedersi ai tavoli di concertazione della nuova linea ferroviaria e senza imbarazzo possano discutere del COME TAV fidando, forse, nella penuria di fondi pubblici per limitare e rimandare nel tempo i danni irreversibili e devastanti al territorio.
Questa proposta ha consentito a Virano di giungere ad una serie di “punti di accordo per la progettazione della nuova linea” con i tecnici (che l’hanno sottoscritta non si capisce a nome e con l’avallo di chi, visto che nessun comune ha approvato l’accordo, al massimo i primi della classe ne hanno “preso atto”) che non prevede assolutamente un avanzamento per fasi e ha consentito al governo di stilare le otto “decisioni operative” di Palazzo Chigi.
In questo contesto non a caso si inserisce come ulteriore tubetto di vaselina la proposta della Provincia di Torino, rimasta nel cassetto per anni, tesa a individuare con appositi studi (e anche da qua si possono attingere risorse economiche già finanziate) gli interventi di “valorizzazione” (da leggere come COMPENSAZIONI) dei territori che saranno attraversati dalla nuova linea Torino-Lyon, come proclamato ai quattro venti da Saitta e Borioli.

Le trappole, per non dire le truffe, di questo documento sono enormi ma ben mascherate. Si spera con questo scritto di metterle un po’ in luce, affinché la gente e gli amministratori non inciampino.

25 agosto 2008
Comitati NO TAV Valli di Susa, Val Sangone, Torino e Cintura.

martedì 19 agosto 2008

«Cacciato con la polizia, spero non per vendetta»

Denuncia l'insicurezza delle FS e lo licenziano. L'intervista sul manifesto a Davide De Angelis. Sinistra Critica aderisce alla campagna per la riassunzione.

Loris Campetti (il manifesto)

Dante De Angelis, macchinista ferroviere. E qualcosa di più: è la coscienza critica, la punta di diamante del movimento che si batte per la sicurezza sui treni - per chi ci lavora, per chi ci viaggia, per gli operai che operano lungo le linee ferroviarie, spesso dipendenti da ditte d'appalto in cui quel che conta è tenere bassi i costi del lavoro.
Insomma, Dante è un Rappresentante lavoratori per la sicurezza (Rls), l'unica sicurezza che non fa notizia, salvo nel giorno in cui si contano i morti. Il giorno di Ferragosto è stato licenziato dalle Ferrovie dello stato con l'accusa di aver denigrato l'azienda. La sua colpa? Aver sostenuto pubblicamente che dietro le continue rotture dei treni italiani, a partire dall'Etr500 che è la bandiera del nostro sistema ferroviario, potrebbe esserci un problema di usura: «Se si spezza il gancio vuol dire che controllo e manutenzione lasciano a desiderare». Dante collabora da tempo con il manifesto, ed è grazie alla sua disponibilità che abbiamo potuto raccontare le dinamiche di gravi incidenti, i problemi dell'organizzazione del lavoro e della sicurezza, le assemblee dei ferrovieri. Alcune organizzate proprio da lui per sostenere il nostro giornale nel corso dell'ultima (anzi, penultima) crisi economica.

Dante, come sei venuto a conoscenza del tuo licenziamento?
Nel peggiore dei modi: ieri (a Ferragosto, ndr) mi sono recato al lavoro alla sede dell'Officina manutenzione Alta velocità, scalo di San Lorenzo, a Roma, per prendere la guida dell'Etr Roma-Rimini. Avevo chiesto un giorno di ferie ma non mi era stato concesso, «per motivi di servizio». Invece del treno, però, mi hanno consegnato la lettera di licenziamento. Io ho resistito un po' ad accettare quel provvedimento inaudito e a quel punto hanno chiamato la polizia. Sì, sono stato licenziato con l'intervento della polizia. Solo dopo ho scoperto che il 14 agosto era arrivata a casa mia una lettera in cui mi si informava che sarei dovuto andare a ritirare un atto. Ma io quel giorno non ero in casa, cosicché la lettera l'ho trovata solo oggi.

Come è maturato il tuo licenziamento?
Il 14 luglio si era spezzato un treno a Milano, si è trattato di un incidente molto pericoloso che avrebbe potuto provocare una tragedia. Come Assemblea dei delegati dei ferrovieri (vi fanno parte Rls iscritti a diversi sindacati, dalla Cgil all'Orsa che è l'organizzazione di Dante, dai Cub al Fest Ferrovie, ndr) ne abbiamo dato notizia, io ho avanzato dubbi sui sistemi di controllo e sulla manutenzione dei treni e una preoccupazione dello stesso tenore l'abbiamo formalizzata in una lettera spedita all'amministratore delegato Moretti e al ministro dei trasporti Mattioli. Per questo sono stato accusato di aver violato ogni codice, etico, civile, penale. Peccato che pochi giorni dopo, il 22 luglio, ancora a Milano, s'è spezzato un altro treno e lo stesso Moretti rispondendo a un giornalista ha ammesso l'esistenza di qualche problema sugli Etr500. Nonostante ciò, l'avvio di un procedimento nei miei confronti si è trasformato in licenziamento in tronco.
Evidentemente Dante De Angelis è visto dall'azienda non come una risorsa per individuare e risolvere i problemi ma come un problema, un fastidio di cui liberarsi. Davanti alle critiche sulla sicurezza del nostro sistema ferroviario, l'azienda risponde con la repressione su iniziativa del suo amministratore delegato, che alle Ferrovie è arrivato direttamente dal vertice della Cgil.
Non vorrei che il mio licenziamento sia un atto di vendetta, una ripicca. Forse perché io, insieme ad altri colleghi, ho fatto opposizione all'archiviazione che avrebbe salvato Moretti e altri due dirigenti delle Ferrovie, Elia e Paganelli, dall'accusa di omicidio colposo per la strage di Crevalcore (uno scontro tra due treni nel gennaio del 2005 che ha provocato 17 morti e 80 feriti, ndr). Il giudice aveva accolto la nostra tesi e tra poco, il 23 settembre, si terrà la prima udienza del processo con l'interrogatorio di Moretti nella veste di imputato. Ho il timore che tra questo fatto e il mio licenziamento ci sia un legame».
Naturalmente questa partita, aperta dalle nostre Ferrovie con un fallo grave - e non è il primo ai danni di Dante - è solo all'inizio. Ci aspettiamo di vedere in campo, accanto a De Angelis, i sindacati al completo. E tutti quelli che hanno a cuore i diritti e la sicurezza di chi lavora e di chi viaggia in treno.

martedì 12 agosto 2008

IL 9 SETTEMBRE, PER UN AUTUNNO DI MOBILITAZIONE

I primi passi del governo hanno confermato le previsioni di chi considera la destra italiana un miscuglio di populismo, autoritarismo al servizio di una logica padronale e confindustriale. Il pacchetto sicurezza con il suo razzismo istituzionale, gli attacchi indiscriminati contro la popolazione campana in difesa della salute contro le discariche tossiche, l'assalto ai servizi pubblici locali, i ripetuti attacchi contro i lavoratori pubblici definiti «fannulloni», il rilancio di una politica militaresca con la conferma e ampliamento delle missioni militari e la determinazione a costruire la nuova base di Vicenza nonostante l'opposizione popolare fino ai soldati nelle città, fanno il paio con il tentativo di Confindustria, tramite il tavolo concertativo, di abolire il contratto nazionale, con i desiderata integralisti del Vaticano, con una politica dell'Unione europea che, con le direttive sul rimpatrio dei migranti e con quella sull'allungamento della settimana lavorativa, suggellano il clima reazionario che si respira in tutto il continente. A tutto questo si associa l'arroganza istituzionale di un governo che fa dei processi giudiziari del proprio leader il perno della propria politica. Di questa situazione porta una responsabilità diretta il centrosinistra che con l'esperienza del governo Prodi ha spianato la strada a gran parte delle misure - criminalizzazione dei Rom, flessibilizzazione del mercato del lavoro, base di Vicenza, Alta Velocità, repressione delle popolazioni campane in rivolta contro la gestione rifiuti - che oggi appaiono giustamente odiose. Anche la politica concertativa delle confederazioni sindacali ha permesso al precedente governo di centrosinistra di portare avanti l'attacco al mondo del lavoro ed allo stato sociale. Sullo sfondo di queste dinamiche nazionali si stagliano scenari internazionali molto preoccupanti. Il primo è quello di una Unione europea che si presenta nemica dei lavoratori e dei popoli come è stato ben percepito in Irlanda; il secondo è quello del rumore di sciabole attorno all'Iran; ma la questione più grave indubbiamente è lo scenario economico che manifesta segnali di crisi strutturale.
Di fronte a questo quadro è evidente che serve un nuovo protagonismo sociale, dal basso, partecipato, capace di connettere i tanti fili di resistenza sociale che pure esistono e di battere un colpo per esprimere la porzione di paese che non si rassegna all'esistente. Come organizzazioni e persone che hanno mantenuto un filo comune di dibattito e di mobilitazione in questi anni, abbiamo avvertito l'esigenza di un primo incontro per costruire una mobilitazione contro il governo e la Confindustria, senza fare sconti al Pd. Osserviamo, oggi, che l'esigenza di una mobilitazione, autonoma dal Pd, si estende ad altri soggetti della sinistra che pure sono stati legati all'esperienza del centrosinistra. E' un fatto di per sé positivo. Per questo proponiamo un incontro dell'opposizione sociale, sindacale e politica il 9 settembre per contrastare le politiche filopadronali e razziste del governo, gli attacchi ai lavoratori e ai migranti che vengono anche dall'Europa, la repressione contro i movimenti e le comunità in lotta. Un incontro aperto, in grado di ragionare sulle mobilitazioni immediate e sulle forme più efficaci per estendere partecipazione e protagonismo dei movimenti.
Confederazione Cobas
Rdb
Rete dei Comunisti
Sinistra Critica
Giorgio Cremaschi (Fiom Cgil)
Marco Bersani (Attac)
Giorgio Sestili (Collettivi universitari Roma)
info e adesioni: novesettembre@gmail.com

venerdì 8 agosto 2008

Una nuova cultura politica per una nuova sinistra anticapitalista

Flavia D'Angeli e Franco Turigliatto

(da Liberazione, 8 agosto 2008)

L'esito del congresso nazionale del Prc sancisce la conclusione del percorso politico ed organizzativo di questo partito, per come lo abbiamo conosciuto dalla sua nascita - cui abbiamo attivamente contribuito - fino all'opposizione alle scelte del congresso di Venezia del 2005 e il successivo, fragoroso fallimento dell'esperienza governativa.
Questo non significa che il Prc scompaia o si dissolva, anzi, le dinamiche del congresso esprimono invece il tentativo di mantenere comunque in vita una organizzazione politica che vuole presentarsi in continuità col passato. Insomma, anche se il Prc permane, comincia un'altra storia per la sinistra.
Un ciclo politico si è chiuso, il ciclo politico apertosi all'inizio degli anni 90 con lo scioglimento del Pci e la contestuale nascita dei Ds e del Prc. Questo ciclo politico si chiude in perdita, con un'ulteriore sconfitta, visibile alle elezioni di aprile, che peserà a lungo sui destini del movimento operaio e sulla riorganizzazione della sinistra. Se la nascita di Rifondazione aveva alluso alla possibilità di una ricomposizione della sinistra di classe, con una sua progressione e crescita di influenza, la fase attuale si caratterizza per la dispersione delle forze, la diaspora, l'impossibilità di far convivere culture e pratiche diverse. Sta qui il cuore del problema che il congresso del Prc, a nostro modesto avviso, non ha minimamente affrontato e che vogliamo cercare di esplicitare in questo intervento. Anche perchè non crediamo sia proponibile la logica della "parentesi", cioè del ritorno a una mitica "età dell'oro" del Prc, quella dei movimenti e del conflitto, cui sarebbe possibile accedere scrollandosi di dosso "l'incidente di percorso" del governo e della pratica istituzionale della scorsa maggioranza. Troppi fatti sono avvenuti, troppa credibilità è andata persa, troppi ponti sono stati divelti e la società non è nemmeno quella immaginata fino a pochi mesi fa. C'è insomma, un grande lavoro di ri-costruzione, delle idee, delle pratiche, del conflitto, che ci attende, una sorta di rifondazione all'ennesima potenza.
Per questo, la comprensione di quanto è avvenuto è indispensabile. La sconfitta non risiede solo nei due anni sciagurati di governo e nemmeno nella disinvoltura con cui fu operata la "svolta" di Venezia, quella successiva al referendum sull'articolo 18, allegramente messo da parte, anche dall'attuale segretario, quando invece forniva materiale importante per allargare l'orizzonte della sinistra di classe. La sconfitta è figlia di una contraddizione rimasta irrisolta in tutti questi anni: mano a mano che i margini di mediazione riformista si sono ridotti e che il capitalismo globalizzato ha mostrato per intera la sua ferocia - con le guerre, le ristrutturazioni selvagge, la politica contro i migranti, la devastazione ambientale - mentre è avanzato un nuovo duro scontro di classe animato dalla borghesia, la sinistra, anche quella di classe, anche Rifondazione, ha cercato di rinverdire proprio una strategia riformista. E' stato il caso del Pt in Brasile, del Pcf in Francia, di Izquierda Unida in Spagna, è quanto accade in fondo anche alla Linke tedesca. Ed è quanto avvenuto al Prc in Italia.
In realtà il riformismo di matrice togliattiana non ha mai abbandonato il partito, neppure negli anni della svolta verso i movimenti quando si stipulavano accordi a livello locale con il centrosinistra (il caso Roma, ad esempio). E, non a caso, tranne il congresso del 2002 - quello della "rivoluzione" - tutti gli altri congressi sono stati segnati dalla questione del governo, obiettivo fondamentale per gran parte del partito, compresa parte dell'attuale maggioranza. In realtà, Rifondazione ha reiterato gran parte della cultura "di lotta e di governo" del vecchio Pci e la sua crisi, alla fine, non ha fatto che rappresentare le estreme propaggini della crisi di quel partito. La scommessa della "rifondazione" è andata perduta, il rimescolamento delle culture diverse non è avvenuto - se si guarda agli spezzoni interni ed esterni al partito, sono tutti aggregati rispetto a culture che provengono dagli anni 70 e oltre - ma soprattutto non è nata una nuova cultura politica all'altezza dello scontro di classe, essendo quella veicolata da Bertinotti un assemblaggio pragmatico schiantatosi sulla realtà dei fatti.
Da questo punto di vista ci permettiamo di indicare la prima macroscopica contraddizione della nuova maggioranza e della segreteria Ferrero, al di là del paradosso rappresentato dall'unico ministro nel governo Prodi che guida la "svolta a sinistra". La contraddizione è contrassegnata dal fatto che mentre si dice di guardare "in basso e a sinistra" non si tirano le conseguenze della sconfitta e non si fanno i conti con quella cultura riformista che, non a caso, porta tutte le aree della nuova maggioranza a condividere postazioni di governo a livello locale. Ma quale cultura politica dinamica e positiva può sorreggere la partecipazione a un governo "razzista" come quello di Penati alla Provincia di Milano o il sostegno convinto alla giunta filoTav della Bresso in Piemonte? Per non parlare dei casi agghiaccianti della giunta Bassolino o di quella del calabrese Loiero. Gli esempi potrebbero proseguire in Toscana, nell'Umbria, nelle Marche o in quel cuore specifico del capitalismo italiano che è l'Emilia dove il Prc è al governo da sempre anche con esponenti molto ortodossi. Insomma, qui c'è un punto irrisolto. Ma solo se lo si affronta seriamente si può immaginare di costruire una strategia per l'opposizione. Fare l'opposizione a Berlusconi non è facile ma è scontato. Il problema è capire se si è d'accordo che l'opposizione rappresenta un luogo e uno spazio di lungo periodo per rifondare la sinistra di classe, dare gambe a un movimento della trasformazione sociale, battere il capitalismo.
E qui interviene il nodo cruciale. Se la cultura politica dominante del Prc è stata sconfitta dalla realtà - il partito di lotta e di governo era una chimera al tempo del Pci, figuriamoci con il governo Prodi - se la rifondazione non è riuscita, se oggi le varie culture della sinistra più o meno di classe sono rannicchiate al proprio interno e se non si vuole accedere alla pratica dell'assemblaggio difensivo, allora bisogna affrontare il problema dal lato di una nuova cultura politica. E una nuova cultura politica non può che partire da una strategia politica chiara, coerente, rigorosa che faccia i conti con il passato e indichi una prospettiva, magari minoritaria oggi, ma capace di affermarsi con la pratica. Una strategia e una cultura politica adeguate all'oggi non possono che muoversi sulle coordinate di un anticapitalismo conseguente che riproponga, non nei testi o negli statuti di partito ma nella pratica reale quotidiana, la logica del superamento dell'attuale sistema sociale, del tutto irriformabile, e la battaglia per una società nuova, autogovernata, democratica, socialista, ecologista, femminista. Proprio questa "profondità strategica" capace di animare un percorso di lungo respiro, ci è parsa mancare nel dibattito del congresso di Chianciano e nella stessa mozione su cui si è costruita la nuova maggioranza.
Non pensiamo di avere tutte le ricette in tasca. Ma un lavoro di ricerca comincia da un punto fermo: se si vuole battere il capitalismo non si può governare il capitalismo stesso, non ci si può ridurre a mitigarne gli effetti, a ridurre il danno, insomma a compromettersi con l'esistente. Bisogna ricominciare a progettare una rivoluzione politica e sociale, affermare la necessità e l'urgenza di ribaltare completamente un mondo che conduce dritto verso la barbarie e la catastrofe. Per questo parliamo di "elogio dell'opposizione", perchè è quello il luogo in cui progettare l'avvenire, strappare conquiste, ottenere vittorie, rafforzare un fronte ampio fatto di partecipazione e democrazia.
Una nuova cultura anticapitalista può generare una nuova sinistra anticapitalista, fuori dalla mistica del "comunismo" che assunto in forma astratta vuole dire cose spesso molto diverse tra loro (si pensi al Partito comunista di Diliberto, il più governista che sia mai esistito in Italia). I due termini non vanno più invertiti come ha cercato di fare Rifondazione, assemblando coloro che non si arrendevano, che resistevano, e cercando di dare loro con il tempo una cultura nuova. Oggi si deve partire da una discussione di fondo, da una condivisione strategica, da una cultura capace di affrontare le sfide del capitalismo contemporaneo.
In questo percorso le pratiche sociali sono altrettanto indispensabili perché rappresentano l'unico riscontro sul campo di quello che si dice nei testi o negli interventi congressuali. Non è solo questione, cruciale, del radicamento, dell'appartenenza al conflitto ma anche qui della strategia che si adotta. Il nodo della ricomposizione di un sindacato di classe, che faccia i conti fino in fondo con l'irriformabilità della Cgil e si proponga di costituire un sindacalismo di classe e di massa, è stato eluso per molto, troppo tempo.
Non può più esserlo. Le pratiche, poi sono anche un metodo di relazione con i soggetti sociali. Per questo non ci convince a pieno il modo con cui si sta affrontando la mobilitazione di autunno. Non ci piace il metodo delle "consultazioni" tra i vertici dei partiti o delle organizzazioni politiche ma pensiamo invece a una forma consensuale che veda riunire strutture tra loro strutture diverse, associative, sindacali, di movimento, politiche, concordi su una piattaforma e sulle forme più utili per portarla avanti. Pensiamo che lo "spirito di Genova" abbia detto molto a tal proposito e avanziamo pertanto da subito la proposta che la mobilitazione di autunno sia discussa in un incontro pubblico da realizzare ai primi di settembre sulla base di alcuni punti fermi: l'opposizione al governo Berlusconi, alla sua politica antisociale, securitaria e razzista, ma anche al padronato e alla concertazione che vuole abolire il contratto nazionale; alle leggi del governo Prodi che hanno alimentato la precarietà; al Trattato di Lisbona che vergognosamente il parlamento ha approvato all'unanimità; ai nuovi venti di guerra che soffiano in Medioriente e che vedono coinvolta l'Italia sia con l'aumento delle spese militari che con la costruzione di basi come quella di Vicenza; alla devastazione ambientale che vede nella Tav piemontese un fulgido esempio di politica bipartisan.
Sinistra Critica ha avuto origine da una corrente politica del Prc, ma, da quando è nata ha percorso molta strada nella elaborazione programmatica e nella concezione del socialismo, nella partecipazione ai movimenti, nella organizzazione da costruire. Ha saputo affrontare anche positivamente una prova elettorale che sembrava impossibile. Non vogliamo costruire l'ennesimo partitino, ma un'organizzazione politica a tutto campo che lavora per costruire l'opposizione sociale e per questa via le condizioni per una reale ricomposizione politica, un reale processo costituente anticapitalista.
Ci rapportiamo quindi al nuovo Prc uscito dal congresso da forza politica a forza politica. Su questa base auspichiamo e lavoriamo per costruire tutti i momenti unitari possibili. Verifichiamo le convergenze sociali e quelle politiche a partire dalla pratica concreta.
Lavoreremo attivamente a una mobilitazione di autunno ma intendiamo dare il massimo sostegno allo sciopero generale già proclamato dai sindacati di base e non concertativi il prossimo 17 Ottobre.
Così come cercheremo sostegno e adesione alla nostra proposta di legge popolare per l'introduzione del Salario minimo a 1300 euro e per il Salario sociale a 1000 e la reintroduzione della scala mobile che già in questi estivi ha incontrato migliaia di adesioni.
Verrebbe da dire: noi qui siamo, il cammino è lungo e su questa base lavoriamo a costruire le alternative per il futuro.
*Sinistra Critica

Oggi serve l'elogio dell'opposizione

Di Salvatore Cannavò

L'esito del congresso del Prc, come il manifesto ha evidenziato, pone nuovi elementi di riflessione a sinistra. Non c'è dubbio che un ciclo politico si è chiuso, quello apertosi all'inizio degli anni '90 con lo scioglimento del Pci e la contestuale nascita dei Ds e del Prc. Un ciclo che si chiude in perdita, con un'ulteriore sconfitta che peserà a lungo. E che non risiede solo nei due anni sciagurati di governo ma è figlia di una contraddizione rimasta irrisolta in questi anni: mano a mano che i margini di mediazione riformista si sono ridotti e che il capitalismo globalizzato ha mostrato per intera la sua ferocia, la sinistra, anche quella di classe, anche Rifondazione, ha cercato di rinverdire proprio una strategia riformista. Che però ha perso.
Per cui ha ragione Dominjanni a sostenere che oggi si riparte dalla cultura politica e che non si tratta di operare semplicemente «un ripristino». Ma i conti vanno fatti proprio con quella cultura riformista che è stata sconfitta e che riemerge ancora, ad esempio nelle giunte locali. Qui c'è un punto irrisolto. Fare l'opposizione a Berlusconi non è facile ma è scontato. Farla al Pd non lo è, e infatti non la si fa davvero.
La sinistra ritorna protagonista se si riappropria di una cultura politica e di una strategia chiara. Per quanto la strategia sia un terreno libero di ricerca, deve poggiare su di un anticapitalismo conseguente che riproponga non nei testi o negli statuti ma nella pratica la logica del superamento dell'attuale sistema sociale, del tutto irriformabile, e la battaglia per una società autogovernata, democratica, socialista, ecologista, femminista. Occorre però un punto fermo: se si vuole battere il capitalismo non si può governare il capitalismo stesso, non ci si può ridurre a mitigarne gli effetti, a ridurre il danno. Bisogna progettare una rivoluzione politica e sociale. Per questo parliamo di «elogio dell'opposizione»: è quello il luogo per progettare la trasformazione sociale, ma anche per strappare conquiste e rafforzare un fronte unitario fatto di partecipazione e democrazia. Un terreno incompatibile con il sostegno a un governo «razzista» come quello di Penati alla Provincia di Milano o alla giunta filoTav della Bresso in Piemonte, o con il governo di uno dei cuori del capitalismo in Emilia.
Solo una nuova cultura anticapitalista può generare una nuova sinistra anticapitalista, fuori dalla mistica del «comunismo» che assunto in forma astratta vuole dire cose spesso molto diverse tra loro. Non abbiamo bisogno di rifugi identitari ma di sfidare il capitalismo contemporaneo. Nella cultura politica rientrano anche le pratiche sociali e le modalità di relazione con i soggetti sociali. Per questo non ci convince a pieno il modo con cui si sta affrontando la più che necessaria mobilitazione di autunno. Non ci piace il metodo delle «consultazioni» tra i vertici dei partiti, serve una forma consensuale che riunisca strutture tra loro diverse, concordi su una piattaforma e sulle forme più utili per portarla avanti, non dimentichi le date già fissate come lo sciopero del 17 ottobre, e lavori alla massima integrazione. Per questo occorre una discussione, un incontro pubblico sulla base di alcuni punti fermi: l'opposizione al governo Berlusconi, alla sua politica antisociale, securitaria e razzista, ma anche al padronato e alla concertazione, alle leggi del governo Prodi che hanno alimentato la precarietà, al Trattato di Lisbona che vergognosamente il Parlamento ha approvato all'unanimità, alla costruzione della base di Vicenza, alla Tav, agli inceneritori e le discariche, all'aumento delle spese militari, al sadico integralismo del Vaticano. Ricominciare dalle pratiche e dall'unità. E stavolta, saranno i fatti a dire più delle parole.

giovedì 7 agosto 2008

Ferrero incontra Veltroni, «ma le piazze saranno due»

Il segretario Prc vede anche Fava (Sd): corteo contro il governo a ottobre
Alessandro Braga

E adesso si torna in piazza. Non proprio adesso insomma, che con l'estate imperante qualsiasi manifestazione non riuscirebbe certo benissimo, ma in autunno. Sicuramente però prima del 25 ottobre, quando il Partito democratico ha fissato la data per la sua «mobilitazione ombra» contro il governo Berlusconi.
«Dopo una pausa di silenzio della sinistra è tornato il momento di riprendere a fare opposizione a partire dai contenuti e dalla propria proposta alternativa di società», ha commentato a caldo il coordinatore di Sinistra democratica Claudio Fava, dopo l'incontro di ieri con il neosegretario di Rifondazione comunista Paolo Ferrero. Ed era anche ora, verrebbe da dire, visto che dopo la scoppola elettorale di aprile i partiti della fu sinistra arcobaleno, a parte affrontare la stagione dei congressi anticipati con tutto il contorno di veleni e litigi interni, non è che abbiano fatto poi molto. Ma tant'è, il dado ora è tratto. «Abbiamo parlato della possibilità di costruire una grande manifestazione che coinvolga tutta la sinistra», ha dettto Ferrero, che ha spiegato anche la necessità di farla prima del 25 ottobre, «perché altrimenti rischia di essere una manifestazione di commento, quando invece la manovra economica incide sul piano sociale». Comunque, sarà impossibile realizzare qualcosa insieme al Partito democratico perché, ha aggiunto il leader del Prc, «sappiamo che non si può mettere insieme una piattaforma comune, è un problema qualitativo, è cioé che tipo di opposizione si fa al governo ma anche alle politiche di Confindustria, che è dietro determinate scelte». E in ogni caso, ci vorrebbe la disponibilità anche dell'altro soggetto, che non sembra particolarmente interessato alla cosa, se il segretario del Pd Walter Veltroni ha liquidato così la faccenda: «Se noi avessimo scelto di fare la manifestazione il 19 ottobre, sono sicuro che loro l'avrebbero fatta il 12. Mi sembra più una ragione politica che di merito». Parole che hanno avuto immediatamente la risposta di Ferrero: «Veltroni non vede differenze di merito tra i due cortei? Eccede in buonismo, mi piacerebbe davvero che il Pd si schierasse chiaramente per l'abolizione della legge 30 e contro la proposta di Confindustria di superamento dei contratti nazionali di lavoro, ma purtroppo non è così».
Ieri Ferrero ha incontrato pure Veltroni. «Una visita di cortesia», l'ha definita l'ex ministro, proprio a casa di chi, all'indomani del congresso di Chianciano, aveva commentato la sua elezione come «la vittoria dell'ala estremista e di lotta del Prc». Ma alla fine dell'incontro le posizioni sono rimaste le stesse: «Troppe distanze, in questo momento un'alleanza è assolutamente inimmaginabile», ha detto Ferrero al termine dell'incontro. Magari, «se cambiasse il modo di fare opposizione al governo». Porte aperte invece per le alleanze locali, che «vanno valutate sul territorio, di caso in caso, su base programmatica». Discorso chiuso quindi, meglio attivarsi per rimettere un po' insieme i cocci della sinistra italiana.
Il segretario di Rifondazione comunista ha già incontrato Grazia Francescato dei Verdi e ha sentito telefonicamente il confermato segretario del Pdci Oliviero Diliberto. E visto che la manifestazione, ha spiegato Fava, deve essere «inclusiva e non esclusiva», Ferrero in settimana sentirà anche i partiti alla sinistra di Rifondazione, Sinistra Critica di Salvatore Cannavò e il Partito comunista dei lavoratori di Marco Ferrando. Il leader del Pcl si è detto felice della proposta, sottolineando che è la stessa fatta dal suo movimento a fine maggio, ma chiede anche che si costituisca un comitato promotore unitario della manifestazione e che abbia un connotato «sociale e di classe».
Più o meno le stesse parole di Cannavò, che vuole dei paletti ben chiari per aderire: la richiesta di un salario minimo garantito a 1300 euro, per cui Sinistra Critica sta già raccogliendo le firme, un secco No all'accordo sul welfare fatto a suo tempo da Prodi e al trattato di Lisbona, l'adesione alla manifestazione del 17 ottobre organizzata dai sindacati di base e un netto mea culpa su quanto fatto durante il governo Prodi. Altrimenti, chiosa, «potrebbe finire come il 9 giugno di due anni fa».


Dal Manifesto del 6 agosto 2008

mercoledì 6 agosto 2008

Censis: in Italia le morti bianche sono il doppio degli omicidi

MILANO (Reuters) - In Italia si muore di più lavorando o spostandosi in automobile che a causa delle aggressioni di criminali, il cui numero è in calo rispetto al passato e si attesta fra i più bassi d'Europa. Queste, in sintesi, le conclusioni di uno studio del Censis pubblicate oggi.
A dispetto della cosiddetta emergenza sicurezza, per la quale il governo si è tanto speso negli ultimi mesi, la fotografia scattata dal Censis mostra che in Italia gli omicidi continuano a diminuire.
"Si muore di più durante le attività ordinarie che non a causa della criminalità o di episodi violenti", si legge nel comunicato pubblicato dall'istituto di ricerca socioeconomica. "I morti sul lavoro sono quasi il doppio degli assassinati, i decessi sulle strade otto volte più degli omicidi".
In base ai dati delle fonti ufficiali, nel nostro paese gli assassini sono infatti diminuiti del 36,4% in 11 anni: sono passati da 1.042 casi nel 1995 a 818 nel 2000, fino a 663 nel 2006.
Una tendenza simile è riscontrabile negli altri principali paesi europei, come Gran Bretagna, Francia e Germania. Seppur in calo, secondo il Censis gli omicidi in questi paesi rimangono infatti più frequenti che in Italia: 879 casi in Francia nel 2006, 727 casi in Germania e 901 casi in Gran Bretagna.
Anche nel confronto fra città, l'Italia sembra risultare tendenzialmente più sicura. Nel 2006, dice il Censis, a Roma si sono registrati 30 casi. A Bruxelles ce ne sono stati 33, 35 ad Atene, 46 a Madrid, 50 a Berlino, 169 a Londra, che aveva toccato un picco nel 2003 con 212 omicidi. Palma per la sicurezza va a Parigi, dove nel 2006 si sono verificati solo 29 omicidi, drasticamente diminuiti dai 102 che c'erano stati nel 1995.
La tendenza virtuosa dell'Italia si inverte, però, se si considerano le cosiddette morti bianche o quelle determinate da incidenti stradali.
Secondo i dati inerenti al 2005, in Italia sul lavoro si contarono 918 casi, mentre furono 678 in Germania, 662 in Spagna, 593 in Francia.
E i numeri crescono ancora se si considerano le vittime degli incidenti stradali: nel 2006 in Italia i decessi sulle strade sono stati 5.669 mentre in Regno Unito sono stati 3.297, in Francia 4.709 e in Germania 5.091.
"Gran parte dell'impegno politico degli ultimi mesi è stato assorbito dall'obiettivo di garantire la sicurezza dei cittadini rispetto al rischio di subire crimini violenti", ha dichiarato nel comunicato il direttore del Censis, Giuseppe Roma. "Tuttavia, se si amplia il concetto di incolumità personale, ... risalta in maniera evidente la sfasatura tra pericoli reali e interventi concreti per fronteggiarli".