sabato 30 marzo 2013

Tunisi: nasce un fronte comune d organizzazioni politiche contro il debito

Come preludio del Forum sociale mondiale (FSM) di tunsisi, il 23 e 24 marzo si è tenuto il primo incontro mediterraneo contro il debito, le politiche di austerità e il dominio straniero, per un Mediterraneo libero, democratico, sociale, solidale, femminista e rispettoso dell'ambiente.

di Pauline Imbach (CADTM)

L'incontro era organizzzato dal Fronte Popolare tunisino (coalizione che riunisce 11 partiti politici della sinistra radicale, associazioni e personalità indipendenti di Tunisi, tra i quali uno dei leader - Chokri Belaid - fu assassinato lo scorso 6 febbraio). L'incontro ha riunito una ventina di formazioni politiche provenienti da tutto il Mediterraneo: dalla Francia Front de Gauche e NPA (Nouveau parì Anticapitaliste); dallo stato spagnolo Izquierda Unida, Izquierda Anticapitalista, Sortu del Euskal Herria e CUP dalla Cataluña; dalla Grecia, OKDE; dal Portogallo il Bloco de Esquerda; dall'Italia Sinistra Critica (rappresentata da Dario Di Nepi, NdT); Al Mounadil dal Marocco; formazioni politiche da Egitto, Líbano, Siria, Algeria e Palestina. Erano rappresentate anche organizzazione del Belgio, di Haiti, del Venezuela, della Colombia.

E' la prima volta che questi partiti e queste organizzazioni politiche si riuniscono intorno al Mediterraneo per mettere a fuoco il loro impegno nella lotta contro il debito illegittimo e, di conseguenza, per il suo annullamento.

L'incontro si è concluso con una grande assemblea che ha riunito rappresentanti di partiti politici dai paesi sopra menzionati. In un ambiente appassionato, pieno di rabbia, allegria e forza collettiva ognuno ha affermato la volontà del suo partito di lavorare sul tema del debito, contro la dittatura dei creditori e per l'emancipazione dei popoli.

Più di 1000 persone erano presenti tra le quali moltissime/i giovani e donne. Gli interventi delle persone dal palco (purtroppo solamente 3 tra loro erano donne) erano inframezzati da slogan in arabo. Le/gli attiviste/i presenti nella sala hanno mostrato calorosamente la loro determinazione nello spazzare via il sistema capitalista e avviare iniziative costituenti un nuovo ordine mondiale al servizio dei popoli.

Durante l'incontro è stato reso omaggio a diversi leader, rivoluzionari e militanti progressisti. Nella sala è stato proiettato un film su Chokri Belaid: l'emozione è stata fortissima perché Chokri Belaid è una figura molto popolare della rivoluzione tunisina, una fonte d'ispirazione per moltissime persone. Più tardi un altro cortometraggio ha reso omaggio a Hugo Chavez, al suo impegno e alla sua lotta per la costruzione di politiche al servizio del popolo. In oltre 3 ore di assemblea gli interventi che si sono succeduti hanno salutato larivoluzione tunisina e le Primavere arabe che hanno permesso di sconfiggere i dittatori Mubarak e Ben Alì. A questo cambio storico si deve dare una dimensione internazionale: la rivoluzione tunisina è, per diverse generazioni, la dimostrazione concreta che la rivoluzione non è una formula retorica e che il popolo può prendere le redini del proprio destino. La conferenza pubblica è stata conclusa con un vibrante intervento del portavoce del Fronte Popolare, Hamma Hammami, che ha sviluppato un'analisi del debito che coincide totalmente con quella del Cadtm (e di RiD, NdT).

Come si legge nel Manifesto finale dell'incontro, la caduta di Ben Alì «ha disarmato il locale ordine neoliberale capitalista, permettendo alcune conquiste, senza sovvertire il sistema stesso. Il sistema sociale, prodotto storico della dominazione imperialista e, più recentemente, della ristrutturazione neoliberista del capitalismo mondiale, è ancora in piedi. Ma la crisi rivoluzionaria aperta dall'insurrezione rimane attiva. La vittoria della rivoluzione democratica, sociale e nazionale in Tunisia, come negli altri paesi della regione, è ancora possibile».

In questo contesto, la necessità di mettere fine al debito, strumento centrale di dominio e oppressione dei popoli e vero strumento di trasferimento della ricchezza e di dominio politico, è stata al centro del dibattito. Gli interventi hanno affermato la necessità di liberarsi dei dettami dei creditori e delle istituzioni finanziarie internazionali, guidate da Fmi e Banca Mondiale. In diversi interventi è stato citato il caso argentino, dell'Ecuador o dell'Islanda per mostrare che è possibile disobbedire ai creditori e mettere in campo politiche che favoriscano la popolazione. L'audit del debito pubblico è stato proposto come una delle strategie possibili per identificare e annullare i debiti odiosi e illegittimi, ricordando l'importanza della mobilitazione al riguardo.

E' la prima volta che nasce un fronte comune di questo genere e, senza dubbio, un passo avanti storico nella lotta contro il debito. Questo incontro si richiama all'appello lanciato nel 1987 ad Addis Abeba dal presidente Thomas Sankara e si concretizza così, dopo 26 anni, con la creazione di un fronte comune contro il debito. «Il debito non può essere rimborsato perché, in primo luogo, se non paghiamo i creditori non moriranno. Siamo sicuri di questo. Invece, se paghiamo, saremo noi a morire. Siamo altrettanto sicuri di questo».

I partiti riuniti a Tunisi hanno deciso di dotarsi di un comitato di continuità e di riunirsi ancora nello stato spagnolo nel 2013 o nel 2014.

traduzione di RivoltailDebito.

Da Forum Sociale Mondiale alle rivolte arabe

di Ester Vivas ( nella foto dal suo Blog)

La Tunisia, culla delle rivolte nel mondo arabo, accoglie da oggi a Sabato il Forum Sociale Mondiale (FSM- WSF), il più grande raduno internazionale di organizzazioni e movimenti sociali. E non si tratta di una coincidenza. I promotori del FSM hanno scelto questo paese proprio pensando alla “primavera araba”. Una primavera che non solo ha portato a nuove proteste in Nord Africa e in Medio Oriente, ma ha anche “contaminato” il sud Europa, in particolare con gli Indignados nello Stato spagnolo, oer arrivare al movimento Occupy negli Stati Uniti.

Si tratta di un nuovo ciclo di proteste nato con forza a livello internazionale, determinato dalla del sistema e dalle politiche di austerità e del debito, in particolare nei paesi della periferia dell’Unione europea sottoposti a dure misure di aggiustamento.

La “primavera araba” ha portato un vento fresco nella lunga notte della crisi. Ha recuperato la fiducia nell’azione collettiva, nel “noi” collettivo. Nel gennaio 2011 il presidente tunisino Ben Ali fuggiva dal paese sotto la pressione della strada. Un mese dopo, nel febbraio 2011, la storia si è ripetuta e il presidente egiziano Hosni Mubarak gettava la spugna e si dimetteva, costretto dalla mobilitazione sociale. Il mondo arabo, così spesso stigmatizzato in Occidente, ci ha offerto una lezione di democrazia.

Oggi, due anni dopo, il Forum sociale mondiale si svolge nel l’epicentro di quella rivolta, dove trova si trova di fronte processi politici e di cambiamento aperti, instabili e caotici. In Tunisia nel mese di febbraio, l’uccisione centro non casuale di Chokri Belaid ha segnato una svolta. Avvocato marxista e attivista, Chokri è stato un leader del Fronte popolare, che riunisce varie organizzazioni di sinistra che rivendicano nel loro programma non solo più democrazia, ma anche la giustizia sociale. Il primo assassinio politico della giovane democrazia tunisina ha rappresentato un duro colpo per la società e ha scatenato nuove proteste contro la crescente violenza nel paese.

Sia in Tunisia che in Egitto, i processi rivoluzionari che sono iniziati sono ancora aperti oggi, ma con un risultato ancora incerto. Le conquiste democratiche sono fragili e ancora limitate e non si sono prodotti cambiamenti economici significativi. Si è scatenata una lotta tra coloro che credono che la rivoluzione sia finita e coloro che vogliono approfondirla e portarla alle sue estreme conseguenze. I giovani e i militanti di sinistra dimostrano ogni giorno di non volersi far confiscare la loro rivoluzione, che sia dai resti del vecchio regime o dagli islamisti al potere.

Al di là del dibattito sulla situazione della “primavera araba”, a cui sono dedicati tutti i seminari e le attività della seconda giornata del FSM, altri temi hanno una centralità particolare. La lotta femminista, ad esempio, con l’Assemblea delle donne, che si svolgerà proprio prima dell’apertura del FSM e che, logicamente, si consacrerà in buona parte all’analisi e allo scambio delle esperienze sull’importante ruolo svolto dalle donne nelle rivolte arabe, come peraltro è stato ben descritto da Leil-Zahra nella serie di suoi documentari «Words of Women from the Egyptian Revolution» (Le parole delle donne dalla rivoluzione egiziana). Il movimento internazionale per la giustizia climatica, nel frattempo, ospiterà un interessante “Spazio clima” nel FSM per discutere le future strategie, convergenze e prospettive su un tema fondamentale per il futuro del pianeta e dell’umanità.

Dal momento in cui il World Social Forum ha tenuto la sua prima edizione, in un lontano gennaio 2001, parallelamente alla celebrazione del Forum economico mondiale di Davos, e come contrappunto ad esso, molta acqua è passata sotto i ponti. Il FSM è nato nel calore del movimento anti-globalizzazione, in seguito trasformato in movimento contro la guerra, e come punto di incontro per una nuova resistenza globale contro i disastri della globalizzazione neoliberista. Dopo aver giocato un ruolo importante nelle lotte durante i suoi primi anni, ha perso la sua centralità politica nonostante abbia sempre mantenuto, ad ogni edizione, un alto livello di partecipazione e rischia di spegnersi a poco a poco così come il movimento anti-globalizzazione. Il contesto è cambiato e quindi anche la sua ragion d’essere.

Oggi, con l’apertura di un nuovo ciclo di proteste nate dopo la “primavera araba”, con movimenti degli Indignados e di Occupy, il Forum Sociale Mondiale è in parte nuovamente percepito come uno strumento del passato ma anche del presente e del futuro. Ma la sua esistenza sottolinea, a sua volta, uno dei principali punti deboli dei nuovi movimenti di protesta sociale emersi nel contesto della crisi sistemica: il loro fragile coordinamento internazionale. Essi sono chiamati a ricreare nuovi spazi di articolazione globale che permettano di progredire nella lotta comune e nello scambio di esperienze. L’offensiva delle politiche di austerità in ​​tutti i paesi è così intensa e richiede uno sforzo di mobilitazione a livello nazionale tale da agire come un magnete che indebolisce, quindi, il coordinamento verso l’esterno. Nonostante che questi nuovi movimenti siano percepiti come parte della stessa ondata complessiva che si muove dal Nord Africa e che attraversa la periferia d’Europa, per raggiungere gli Stati Uniti, il coordinamento tra i diversi attori del movimento è rimasto relativamente basso, nonostante l’organizzazione di qualche giornata mondiale di azione e di alcuni incontri occasionali.

Attualmente, l’asse di mobilitazione non si trova già più in America Latina, dove è nato il FSM. Ora è nel mondo arabo e in una vecchia Europa in fermento per le proteste e “terzomondizzata” dalla crisi. La sfida è ora di imparare da quelle lotte di un passato non lontano, lotte che sono nate contro il debito, contro gli sfratti, contro le privatizzazioni … nei paesi del sud del mondo. E andare verso il necessario coordinamento delle resistenze all’altezza dell’implacabile organizzazione del capitale.


Esther Vivas è nata nel 1975 a Sabadell (Stato spagnolo) ed è militante et autrice di numerosi libri sui movimenti, sul consumo responsabile e sullo sviluppo compatibile. Ha partecipato attivamente ai movimenti di questi anni e alle varie edizioni del FSM. Milita nella Izquierda Anticapitalista [Sinistra Anticapitalista] dello Stato spagnolo e in particolare in Revolta Global-Esquerra Anticapitalista in Catalogna (organizzazione politica catalana anticapitalista, rivoluzionaria, ecologista, femminista, internazionalista). E stata capolista della lista di Izquierda Anticapitalista alle elezioni per il Parlamento Europeo del 2009.

Tunisi, dal Nord al Sud del Mediterraneo: No al pagamento del debito!

di Dario Di Nepi – RiD



Lo scorso fine settimana Tunisi ha accolto un centinaio di attivisti di organizzazioni anticapitaliste, rivoluzionarie e progressiste provenienti dalle due sponde del mediterraneo per discutere e programmare una campagna contro il pagamento del debito illegittimo – al sud come al nord del Mediterraneo, in Tunisia come in Italia, Spagna, Grecia, Portogallo ed Egitto. Tunisi è una città dove i segni della rivoluzione sono ancora evidenti, il filo spinato onnipresente di fronte all’ambasciata francese e ai palazzi del governo testimoniano non solo l’eredità della rivoluzione di due anni fa ma anche e soprattutto una costante presenza e protagonismo dei movimenti sociali, di cui, evidentemente, l’attuale governo di Enhadda ha paura.

La due giorni ha avuto come tema centrale la mobilitazione contro il debito: in Tunisia infatti il Fronte Popolare, la coalizione di forze politiche progressiste e di sinistra il cui leader Chokri Belaid è stata assassinato alcune settimane fa, ha organizzato questo incontro internazionale anche per lanciare in maniera chiara il paradigma della necessità del rifiuto del pagamento del debito tunisino illegittimo. Il regime dittatoriale di Ben Ali si è progressivamente indebitato con banche e fondi di investimento francesi, una montagna di debiti che non sono stati diretti né verso misure di sviluppo né verso il sostegno alla popolazione bensì sono serviti unicamente a rafforzare l’apparato corrotto del regime e a rendere la Tunisia sempre più dipendente dalle istituzioni finanziarie internazionali ed in particolare francesi. Il meeting ha però affrontato anche il tema del debito pubblico dei Paesi del sud Europa e delle politiche di austerità che stanno strozzando i così detti Piigs (di cui il nostro paese fa parte) individuando un terreno di campagna comune per un audit cittadino del debito, in favore del rifiuto del pagamento del debito illegittimo, per la costruzione di una rete di mutuo sostegno tra i popoli per aiutare quei paesi che decidono di non pagare il debito illegittimo.

Tra parentesi va sottolineata l’importanza della presenza nel “manifesto finale” del sostegno alla “ lotta rivoluzionaria del popolo siriano” e la condanna di “tutti gli interventi stranieri che si oppongono alla realizzazione degli obiettivi di libertà, democrazia e giustizia sociale.

Il meeting si è anche dato come impegno quello della creazione di una rete permanente di comunicazione per lo scambio di informazioni ed esperienze e per favorire l’individuazione di strumenti di lotta e mobilitazione. Anche per questo ha scelto di programmare un prossimo incontro contro il debito e per la sovranità popolare sulla riva nord del Mediterraneo;

L’internazionalizzazione della lotta contro il pagamento del debito diventa a questo punto decisiva, così come determinante saranno le pratiche con cui portare avanti questa battaglia, in Europa in particolare dovremo puntare a far crescere la consapevolezza dell’illegittimità di gran parte del debito tramite una relazione molto forte con percorsi di lotta concreti, legati ai tagli che il patto di stabilità sta imponendo ai comuni, connessi quindi con le resistenze che si stanno avviando nel mondo della sanità, dell’università e dei beni comuni.

”Rivolta il debito” era presente ed è intervenuto al meeting perché l’impegno contro la trappola del debito e le politiche di austerità è al centro del nostro lavoro. E nel nostro paese una tappa importante della lotta al debito, per la riconquista di un controllo pubblico sulla finanza e per la costruzione di una rete di esperienze di audit locali sul debito sarà il 13 aprile a Firenze con la seconda assemblea nazionale “per una nuova finanza pubblica e sociale”.

La Tunisia ci ha insegnato che un cambiamento radicale è possibile, oltre che necessario: è il momento che anche la sponda nord del Mediterraneo risponda alla chiamata delle rivoluzioni arabe!



lunedì 25 marzo 2013

No TAV di nuovo in marcia: la scommessa è riuscita!

di Francesco Locantore

La manifestazione No TAV di oggi è stata una grande manifestazione di popolo, come ci ha abituato il movimento valsusino nei lunghi anni di resitenza al progetto di devastazione ambientale dell’alta velocità.

Decine di migliaia di persone hanno sfilato per oltre otto chilometri di percorso che separano Susa da Bussoleno, nonostante la pioggia battente. In testa al corteo i bambini hanno aperto con lo striscione “più trenini meno trenoni”, con un trenino turistico su gomma pieno di bambini. Un corteo con una straordinaria presenza di donne, a sottolineare il carattere pacifico e popolare della manifestazione, nonostante la militarizzazione cui è stato sottoposto il territorio della Val di Susa anche in questa occasione.

C’erano in primo luogo i tanti comitati No TAV dei comuni della Valle e limitrofi, il Comitato di Lotta Popolare, con una forte presenza del centro sociale Askatasuna, gli Insegnanti Arrabbiati di Torino, i comitati contro la guerra e “No Dal Molin”, C’era una forte delegazione milanese dietro lo striscione dei “compagni e compagne di Dax”, in cui erano presenti anche le compagne e i compagni di Rivolta il Debito.

C’erano anche tanti sindaci e amministratori dei comuni della Valle che si oppongono alla grande opera, compreso il presidente della comunità montana. I parlamentari del Movimento 5 Stelle erano mischiati tra i manifestanti in modo discreto, dopo l’ispezione parlamentare di questa mattina, in cui deputati e senatori del M5S e di Sel sono entrati nel cantiere di Chiomonte accompagnati da alcuni attivisti del movimento.

C’erano gli operai della Fiom e i vigili del fuoco in divisa con le bandiere dell’Usb. C’erano anche le associazioni e le forze politiche: l’Arci, Rifondazione (un tentativo di riscossa dopo il risultato fallimentare delle elezioni), Sel, Alba. Sinistra Critica era presente con una folta delegazione piemontese.

Il corteo era un fiume di bandiere No TAV lungo tutto il percorso della manifestazione. La partecipazione è stata soprattutto piemontese, a dimostrazione del radicamento territoriale del movimento, che riesce a contare in primo luogo sulle proprie gambe.

La sconfitta elettorale del governo Monti, fortemente impegnato nella realizzazione del progetto della linea ad alta velocità Torino-Lione, e di tutte le forze politiche pro TAV (compresa l’IdV che pure si era collocata all’opposizione), e in particolare il grande voto in Val di Susa alle forze schierate contro il TAV, ha offerto l’occasione per una forte ripresa della mobilitazione di massa, dopo le difficoltà dell’ultimo anno. Si potrebbe dire: “urne piene e piazze piene”, modificando una celebre frase di Pietro Nenni. Il fatto, che le popolazioni della valle e i militanti No TAV piemontesi siano ancora in piazza oggi, testimonia dell’indipendenza di questo movimento, che non si siede sugli allori della vittoria elettorale del M5S. Le forze politiche sono avvisate, il mandato è chiaro. Con questa manifestazione si comincia una nuova stagione di lotta, in Piemonte ed in Italia, per la difesa dell’ambiente e dei beni comuni dalla devastazione ecologica e sociale del capitalismo.



giovedì 21 marzo 2013

Sabato 23 marzo, tutte e tutti in Val Susa per difendere il nostro futuro!

Sabato 23 marzo si terrà in val di Susa la manifestazione Susa-Bussoleno organizzata, Difendi il tuo futuro. Sarà l’occasione per ribadire, dopo le elezioni, una opposizione di massa a quell’opera inutile, costosa e dannosa che è la Torino- Lione, ma non solo. Come recita, infatti, l’appello lanciato dal movimento No Tav, la grande opera è “divenuta un simbolo della politica che vuole mettere a tacere un movimento popolare come quello NOTAV che resiste da oltre vent’anni trovando sempre più consenso all’interno di una società che, svegliatasi dal torpore quotidiano e vivendo sulla propria pelle sacrifici e politiche di austerità a senso unico, ci sostiene sempre di più”. La manifestazione di sabato è dunque una formidabile occasione per sbarrare la strada a coloro che vogliono andare avanti a tutti i costi in questo vergognoso progetto che serve solo a garantire i profitti e le rendite dei costruttori e degli speculatori.

I paladini della Torino-Lione sono gli stessi partiti che in questi anni hanno massacrato le classi popolari e che sono stati giustamente puniti alle elezioni. I media cercheranno di puntare i loro riflettori sulla schiera di parlamentari del M5S che parteciperà al corteo di 8 km. Questo è secondario e a noi interessa poco. Vedremo se i neo eletti sapranno rispettare l’autonomia e l’autoorganizzazione del movimento di massa e non vi si sovrapporranno, e se in futuro sapranno resistere alle tante sirene parlamentari. Sicuramente sabato prossimo emergerà ancora una volta, ne siamo convinti, il protagonismo di massa di un movimento popolare che grazie ai suoi comitati e all’assemblea è riuscito a resistere per 20 anni agli apparati repressivi dello stato e alla guerra condottta contro di esso dai partiti del centrodestra e del centrosinistra e dalle amministrazioni della Regione, della Provincia e del Comune di Torino.

E’ importante, quindi, la partecipazione di tutte e di tutti ad una manifestazione che, mentre il meteo ci propone gli ultimi scampoli dell’inverno, può lanciare una nuova primavera di lotte contro le politiche di austerità, le devastazioni ambientali, per la difesa del lavoro, per i diritti e contro le ingiustizie sociali.

Sinistra Critica Torino



venerdì 15 marzo 2013

Governo? Avete detto governo?

di Franco Turigliatto

Il risultato del voto ha scompaginato i disegni della borghesia di un esecutivo stabile e continuista intorno alla rinnovata alleanza tra Monti e PD, tanto che il presidente Napolitano, da sempre custode della governabilità del capitalismo italiano, per una specie di legge del contrappasso, si trova oggi a gestire una situazione istituzionale fuori dal comune e del tutto ingovernabile.

Le vicende giudiziarie di Berlusconi hanno complicato ulteriormente le dinamiche politiche istituzionali per cui il Presidente della Repubblica, andando ancora una volta fuori dalle sue prerogative, è intervenuto a sostegno del vacillante Berlusconi, come già tante altre volte hanno fatto gli uomini del PD.

Abbiamo sempre pensato che questo triste personaggio andasse battuto e per sempre dalla mobilitazione sociale e non nelle aule giudiziarie, ma il nuovo aiuto fornitogli è preoccupante e potrebbe essere foriero di nuove future disgrazie civili e democratiche.

Sarebbe sbagliato pensare che in questo momento la borghesia sia in un’impasse insuperabile: la classe dominante mantiene nelle sue mani tutti gli strumenti economici essenziali e ha il pieno controllo degli apparati dello stato con cui gestisce il proprio sistema e nelle strade e sui luoghi di lavoro non ci sono masse arrabbiate e mobilitate che ne paralizzino l’attività. Ha un po’ di tempo per approntare un progetto politico e superare l’impasse parlamentare, a partire da nuove elezioni e da nuove ipotesi tra cui anche quella basata sul binomio Monti- Renzi.

Inoltre molte delle funzioni di direzione del capitalismo sono realizzate direttamente a livello europeo, a partire dalla questione centrale della moneta che è appannaggio non della Banca d’Italia, ma della stessa BCE e delle scelte liberiste di fondo che sono disegnate nel fiscal compact. Certo sarebbe meglio per i padroni avere sùbito un governo funzionale per gestire socialmente queste scelte e per agire nei conflitti interborghesi dell’Unione europea salvaguardando adeguatamente gli interessi specifici della borghesia italiana, ma certe volte bisogna saper aspettare i tempi giusti.

C’è qualcun altro che avrebbe bisogno e subito di un governo amico, di disporre di un’ipotesi concreta di governo alternativo alle politiche liberiste, e chi ne avrebbe bisogno è proprio la classe lavoratrice.

I dati che giornalmente sono forniti dagli istituti di ricerca e di statistica, ma che ogni operaio, ogni lavoratrice, ogni precario o disoccupato sente sulla propria pelle e che si percepiscono nell’intera società sono drammatici; chiedono scelte di governo complessivo della società. Milioni di persone cadute in povertà, un indice della disoccupazione schizzato sopra il 12% (un tasso che una volta era considerato espressione diretta di crisi della democrazia e foriero di rivolte o rivoluzioni), una disoccupazione giovanile senza precedenti (cioè un vero crimine sociale contro le nuove generazioni), centinaia di migliaia di persone e di famiglie che sopravvivono con gli ammortizzatori sociali, che a partire da questo anno saranno ulteriormente ridotti, centinaia di fabbriche che hanno già chiuso e altre che chiudono quest’anno; una crisi verticale del piccolo commercio e della piccola e media borghesia imprenditoriale che la recessione butta fuori mercato: ecco l’elenco della “catastrofe imminente”.

Per affrontare questa crisi e le politiche di austerità che l’alimentano, la classe lavoratrice non può che partire dalle resistenze sociali, dalla mobilitazione, dalla individuazione di obiettivi che difendano salario ed occupazione, unendo i vari fronti di lotta. Ma questo non basta, si richiede uno sbocco politico, avanza la necessità di un governo dell’economia e della società che prenda misure drastiche per fare fronte alla catastrofe sociale in atto e alla disperazione di milioni di persone senza futuro.

Della centralità della prospettiva di governo in questa fase si è discusso a lungo e pertinentemente nell’incontro europeo di Atene della sinistra radicale e anticapitalista (vedi a questo proposito un altro articolo su questo sito); la problematica è di attualità in molti paesi europei, ma solo in Grecia esiste una soluzione potenzialmente immediata di governo delle sinistre e quindi la possibilità concreta di una risposta alternativa alla crisi capitalistica in funzione degli interessi delle classi subalterne.

Negli altri paesi esiste la necessità obbiettiva, ma non i soggetti politici concreti (in un rapporto con i movimenti sociali) che possano rendere credibile e praticabile una prospettiva di governo alternativo.

In Italia il problema è dato all’ennesima potenza non solo perché le forze rimanenti della sinistra sono per la seconda volta fuori dal parlamento (impossibile prendere in considerazione SEL che ha legato le sue fortune al carro di un partito liberista e borghese come il PD), ma perché la sinistra di classe con i suoi errori persistenti è riuscita a ridursi ai minimi termini, proprio quando la crisi e la rabbia sociale di larghi settori di massa ne renderebbero essenziale una forte capacità operativa e progettuale.

Dato che le vicende politiche e sociali non permettono a lungo l’esistenza di un vuoto politico, a trarre il massimo vantaggio da questa situazione è stato il Movimento 5 stelle spinto molto in alto dal voto: gli elementi del successo di Grillo sono ormai noti e qui semplicemente ne richiamiamo qualcuno: l’impatto della crisi e dell’austerità, la precarietà e l’angoscia del futuro di larghi settori della società, il disgusto per la corruzione, l’impunità dell’agire delle forze politiche.

E’ possibile che Grillo non si aspettasse una situazione politica parlamentare così complicata, che non gli permette di continuare a fare la semplice l’opposizione alla casta ma che lo costringe a scelte politiche più definite ed immediate. Pur avendo il vento in poppa la sua formazione ha fragilità e contraddizioni e sarà interessante capire come reagirà a una forte pressione esterna.



Per ora le reazioni di Grillo sono state quelle di un consumato politico, che manovra e “surfa” di fronte alla scarsa credibilità degli interlocutori; gioca per ora una sola carta sul piano politico, la lotta contro la casta e i suoi privilegi, il comun denominatore che gli ha garantito un voto così largo.

Per proporre un livello superiore, e cioè l’azione di governo, dovrebbe avanzare una proposta complessiva di politica economica e sociale, che non può essere solo la somma affastellata di varie rivendicazioni (alcune anche tradizionali di sinistra, come ha fatto in campagna elettorale) ma un programma alternativo e coerente nel suo insieme. Ma, per essere alternativo nella giusta direzione, cioè profondamente antiliberista, dovrebbe partire proprio dal completo rigetto delle politiche che vanno sotto il nome del fiscal compact e dell’infernale meccanismo del debito, ricatto e strumento borghese per schiacciare le classi lavoratrici. La ventilata “uscita dall’euro” non risolverebbe questi nodi strutturali e porrebbe in ogni caso numerosi e complicati problemi.

In altri termini dovrebbe fuoriuscire dall’impostazione interclassista su cui ha costruito le sue fortune.

Le critiche che vengono fatte da esponenti della sinistra al Movimento 5 stelle sono molte volte solo astiose e anche quando colgono nel segno risultano poco credibili, perché non sono credibili i proponenti, che, in tutti questi anni, sono andati dietro al carro del PD, pensando solo ai piccoli affari di bottega, alle piccole nomenklature, ai piccoli posti, ecc.

Ma soprattutto si dimentica che dagli anni ’90 fino al 2007, c’ è stata in campo una formazione politica, punto di riferimento per ampi strati operai e popolari che proponeva un’alternativa politica radicale e il rinnovamento del progetto socialista e comunista. Questa formazione si chiamava Rifondazione ed era riuscita ad entrare in connessione anche con le giovani generazioni e con il movimento contro la globalizzazione capitalista. Un capitale politico e sociale enorme, una speranza per tanti, la primogenitura ad essere il perno dell’alternativa anticapitalista, svenduta a metà del decennio per il classico piatto di lenticchie. Una grande occasione agita per oltre dieci anni e buttata al vento; una vera e propria catastrofe non solo e non tanto per i suoi protagonisti, che se la sono cercata, ma per la classe operaia che avrebbe avuto bisogno di un partito tanto più al sopraggiungere della crisi.

Il successo di Grillo è anche il frutto di quella disfatta. Esiste tuttavia una profonda diversità tra il voto espresso in passato al PRC e quello di oggi per Grillo: diversi sono i livelli e le forme della coscienza politica. Rifondazione non è mai andata nel voto oltre l’8%, un risultato cospicuo, ma delimitato, non solo dal suo radicamento sociale, ma anche dal fatto che era portatrice di un progetto di società (il socialismo) minoritario nella coscienza politica del paese. Probabilmente se il PRC avesse tenuto la barra, avrebbe potuto, al momento della crisi epocale, diventare credibile in più ampi settori sociali, come è avvenuto per Syriza in Grecia, partita, all’inizio da risultati elettorali decisamente inferiori a quelli di Rifondazione, ma che nel contesto drammatico delle lotte sociali è diventata un punto di riferimento e di speranza a livello di massa.

Il Movimento 5 stelle, nel giro di poco tempo, ha fatto un enorme balzo in avanti, con una presenza in alcuni movimenti sociali (in Val Susa sono stati soprattutto gli esponenti di quel movimento a un certo punto a scegliersi questa formazione), ma anche grazie a una fase di grandi sconfitte ed arretramenti del movimento operaio nel suo insieme, quello tradizionale, ma anche quello nuovo, precario dei mille lavori, più o meno informali ma tutti ben inseriti nelle logiche del capitalismo ultraliberista.

Ha potuto farlo proprio perché il suo progetto politico e la visione del mondo che avanza (quello che con un termine immaginifico viene chiamata narrazione) sono molto più indefiniti, interclassisti, proponendo una generica contrapposizione tra la società buona e una casta cattiva, o anche, al massimo, una finanza cattiva, che la imprigionano; basterebbe far saltare il tappo della burocrazia politica perché la società, sotto la spinta del movimento 5 stelle e con il controllo democratico della rete, funzionasse in modo democratico e trasparente.

In altri termini questa visione del mondo corrisponde a una particolare sensibilità politica e a una ripulsa dei mali di questa società che si sono prodotte, in questo quadro di crisi, per la mancanza di alternative di classe e per le scarse esperienze maturate di lotte collettive.

Non c’è giudizio di valore in queste considerazioni, ma solo la consapevolezza dei rapporti di forza tra le classi e l’individuazione dei livelli di coscienza presenti nella nostra società.

Per questo sono relativamente poco interessato a dissertare in astratto su cosa farà Grillo; tanto meno a sperare che il personaggio o il suo movimento siano i salvatori della patria, o credere possibile che, sull’onda combinata delle contraddizioni della crisi e del voto popolare e operaio che ha raccolto, sia spinto a radicalizzare il suo programma e la sua azione politica concreta fino ad essere l’alternativa di governo.
I fatti diranno quale sia il motore più forte che determina la politica del Movimento 5 stelle.
Noi dobbiamo avere un’altra preoccupazione, un altro progetto su cui intervenire e lavorare, un progetto che ha due valenze tra loro congiunte e praticate in sinergia: da una parte lavorare a fondo per favorire in ogni modo le resistenze alle politiche di austerità, l’attivazione e la partecipazione diretta delle nuove e vecchie forze del movimento dei lavoratori (ed è in questo quadro che si misurano anche le convergenze e le contrapposizioni con gli attivisti del M5S); dall’altra non perdere mai di vista la necessità di colmare il terribile vuoto politico che esiste nel nostro paese, la ricostruzione di una sinistra di classe nel nostro paese, la convergenza con tutte e tutti coloro che si renderanno disponibili a costruire una sinistra anticapitalista.

Perché vogliamo essere portatori di una diversa visione del mondo, che giudica questa società in base alle classi e ai rapporti sociali di produzione, che ritiene il capitalismo non riformabile, che vuole riunire tutti gli sfruttati ed oppressi intorno a un nuovo progetto di società democratica e socialista, dobbiamo approntare tutti gli strumenti che ci permettano far maturare una coscienza di classe, di vincere una battaglia di egemonia contro le forze borghesi, di destra e social-liberiste, ma anche in concorrenza con le posizioni politiche del Movimento 5 stelle con cui ci si troverà a confrontarci a lungo.

Prima si comincia questo lavoro, a partire da una riflessione di fondo di tutti coloro che partecipano alle resistenze e che si pongono il compito di costruire una alternativa anticapitalista, e prima potranno verificarsi le condizioni per cui anche in Italia la prospettiva di un governo delle lavoratrici e dei lavoratori possa uscire dalla generica e indefinita propaganda ma abbia gambe su cui muoversi.



sabato 2 marzo 2013

Occupy Maflow, dal presidio all'occupazione della fabbrica: autogestione



Trezzano sul Naviglio (MI) nasce RiMaflow, fabbrica occupata e autogestita. Dopo due mesi di occupazione del piazzale antistante lo stabilimento e di gestione parziale della palazzina centrale, siamo passati -nei giorni delle elezioni, in cui nessun nostro ideale candidato ha trovato posto nelle liste- all'occupazione della fabbrica e avviato l'autogestione, su diretta ispirazione delle fabricas recuperadas argentine. Occupy Maflow è il Comitato che gestisce l'occupazione ed è composto dalla cooperativa autogestita Ri-Maflow -formata da una quindicina di lavoratori e lavoratrici della Maflow di Trezzano ora chiusa e da alcuni lavoratori della Novaceta di Magenta, anch'essa dismessa (dove continua da quattro anni un presidio del sito, oggi centrato soprattutto sulla denuncia dei traffici camorristici che ne hanno decretato la fine)- e da Rid-Rivolta il debito di Milano. E' l'intreccio di queste realtà di lotta sindacale e sociale comune di questi anni che ha consentito la maturazione di un progetto di autogestione e insieme di riconversione dal settore automotive a un'attività di ri-uso, ri-ciclo dei materiali in una vocazione ecologista rivolta al territorio, a chilometro zero. Ma anche di parziale ri-appropriazione. Dal polacco Boryszew, che ha acquisito la fabbrica nel 2010 con soli 80 dei 330 dipendenti e che ora ha trasferito l'attività in Polonia, abbiamo recuperato alcuni materiali, che ora stiamo lavorando per ricavarne metalli di base (rame, acciaio, alluminio) e alcune attrezzature. Da Virum-Unicredit, proprietaria del sito, abbiamo ripreso i capannoni e gli uffici dove operai ed impiegati avevano lavorato: abbiamo proposto un contratto in comodato d'uso con mediazione -tirata per i capelli- del sindaco di Trezzano; per ora nulla di fatto, vedremo. L'importante è partire: produrre e costruirci un reddito, senza aspettare istituzioni assenti, padroni ostili e sussidi ormai a scadenza certa. Riuscirà un progetto così ambizioso? La determinazione c'è, ma le incognite sono numerose e lo sforzo quotidiano di resistenza è grande. Anche per prevedere e contrastare in ogni momento le mosse delle controparti. Qualche giorno fa è stata necessaria una mobilitazione improvvisa per sventare un colpo di mano di chi cura gli interessi di Boryszew, che ha cercato di riprendersi quei materiali che già avevamo accantonato per l'autogestione. E poi la sicurezza, l'energia elettrica, il riscaldamento, le pratiche burocratiche per l'avvio della cooperativa. E l'impostazione delle iniziative politiche e di autofinanziamento. Sarebbe veramente significativo poter realizzare nella 'nostra' fabbrica il convegno del Forum per una nuova finanza pubblica e sociale il prossimo 16 marzo, dove si discuterà di audit cittadino e di quale credito è necessario per sostenere i progetti delle fabbriche recuperate e in autogestione. CERCACI su Facebook, Ri-Maflow, nel web rimaflow.it, mail info@rimaflow.it Ascolta il servizio della trasmissione Terranave, realizzato per diverse radio: http://amisnet.org/files/2013/02/TN19.mp3. Le voci sono di Michele Morini di Ri-Maflow, Ascanio Celestini, Guido Viale e Carlo Tognonato..

Gigi Malabarba.








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