giovedì 31 marzo 2011

Pasquale Loiacono Capolista di Sinistra Critica


Pasquale Loiacono è operaio e delegato della Fiom alle
carrozzerie di Mirafiori.
Entrato in fabbrica nella seconda metà degli anni 80, ha alle
spalle una lunga militanza nella organizzazione sindacale
metalmeccanica per la difesa dei diritti dei lavoratori. Nel corso
di questi anni è stato protagonista delle lotte operaie per
difendere l’occupazione, i salari e impedire lo smantellamento
della fabbrica fino alla recente battaglia contro il violento attacco
e i ricatti di Marchionne e della Fiat che vogliono riportare nelle
aziende le condizioni di lavoro dell’ottocento.
Pasquale ha sempre unito il suo impegno sindacale a quello
politico, militando nei partiti della sinistra comunista e
anticapitalista.
La nostra lista è alternativa in primo luogo alle forze padronali, cioè alla Fiat di Marchionne e alla banche,
a coloro che pongono al di sopra di tutto i loro profitti.
E’ alternativa alla coalizione delle destre espressione di forze politiche e sociali non solo conservatrici e
padronali, ma anche reazionarie e xenofobe.
E’ alternativa anche al centro-sinistra che ha governato portando avanti scelte economiche, sociali e
infrastrutturali del tutto funzionali agli interessi dei potentati economici della città e che, non a caso, come la
destra, si è schierata con Marchionne nelle recenti vicende della Fiat.
Avanziamo un programma di difesa dei diritti del lavoro, dei diritti ambientali, dei diritti democratici e di
partecipazione della società contro ogni forma di razzismo e xenofobia per mantenere viva la democrazia e la
partecipazione per tutti nella nostra città.
Ci battiamo perché i costi della crisi non siano, ancora una volta, fatti pagare alle classi popolari in termini di
riduzione del reddito, di precarietà e disoccupazione, di distruzione del territorio e dell’ambiente.
Le nostre candidature esprimono questo programma e la realtà del mondo del lavoro delle giovani studentesse
e studenti, lavoratrici/tori precarie/i, insegnanti, ambientaliste/i, ma anche e soprattutto operai e operaie di
piccole e grandi fabbriche.

Candidati di Sinistra Critica per il Comune di Torino


Candidata alle elezioni comunali di Torino
Antonella Visintin, laurea in economia alla Università Bocconi
di Milano, è impiegata nel settore editoriale. Ha svolto diverse
indagini sul mercato del lavoro ed è da sempre militante nelle
associazioni ecologiste; in particolare è stata protagonista di
numerose iniziative nell’ambito dell’ambientalismo cittadino,
soprattutto sui temi dei rifiuti e delle trasformazioni urbane..
Fa parte dell’esecutivo dell’Archivio donne del Piemonte ed è
componente della rete ecumenica europea ECG sui temi del
lavoro sostenibile sul piano sociale ed ambientale. Ha
pubblicato il libro “Lavoro sensato” ed è tra le autrici dei libri
collettivi “Tempo ritrovato” e “Il cibo fra eccesso e penuria”.
Ha curato il libro “Voglio di più! Limiti alla crescita di lavoro
e consumo”.

ACCORDO A TORINO TRA SINISTRA CRITICA E LA FEDERAZIONE DELLA SINISTRA PER LE ELEZIONI COMUNALI


La Federazione della Sinistra e Sinistra Critica di Torino hanno raggiunto un positivo accordo politico per costituire una coalizione alternativa e di classe per le prossime lezioni comunali sulla base di un testo politico ed organizzativo.



Una sintetica cronistoria degli ultimi mesi

Sinistra Critica aveva posto fin dall’autunno a vari militanti dei movimenti sociali e alle forze della sinistra la necessità di dare vita a uno schieramento alternativo nella nostra città che sapesse interpretare e difendere i diritti del lavoro e di giustizia sociale della classe operaia e di tutti coloro che in questi anni si sono mossi contro le politiche liberiste dei padroni e dei governi.

Il percorso era stato alquanto in salita, incontrando molte difficoltà, anche se la vicenda della Fiat dei mesi di dicembre e gennaio, che vedeva il sostegno del centro sinistra e del centro destra a Marchionne, aveva posto ancor più la necessità di costruire un punto di riferimento anche politico ed istituzionale al movimento dei lavoratori.

In una prima fase l’attenzione della maggior parte dei soggetti politici e sociali si era rivolta alla possibile scelta di Airaudo di correre per le primarie del centro sinistra. Per parte nostra era una proposta non condivisibile; avremmo volentieri sostenuto una candidatura Airaudo in alternativa al centro sinistra, ma non interna ad esso, che sarebbe solo servita a riportare in quell’alveo la lotta dei lavoratori della Fiat. Dopo la rinuncia di Airaudo al fine gennaio sembrava essere a portata di mano una coalizione a 3 con Sinistra Critica, Federazione della Sinistra e lista civica, possibilmente guidata da un compagno rappresentativo come Giorgio Cremaschi. Anche dopo la rinuncia di Cremaschi il progetto sembrava rimanere in piedi, salvo che, poco dopo, la Federazione su sollecitazione di Fassino, riapriva la trattativa per una alleanza a livello di circoscrizione.

Sinistra Critica era ovviamente contraria a una scelta che faceva rientrare dalla finestra, quello che era uscito dalla porta, e chiedeva ripetutamente alla Federazione di prendere una decisione definitiva, anche perché si stava perdendo del tempo prezioso per costruire una forte campagna politica. Di fronte a questa situazione Sinistra Critica presentava dunque il 25 marzo la propria lista con la candidatura a sindaca della compagna Antonella Visintin, una lavoratrice del settore editoriale e nota ambientalista e, come capolista Pasquale Loiacono, operaio e delegato della Fiat Mirafiori, uno dei protagonisti della lotta della Fiat.



A questo punto ecco l’ultimo colpo di scena: la Federazione infine si convinceva della necessità di rompere l’inutile trattativa con il PD e rapidamente si poteva giungere a un accordo di coalizione che speriamo possa contribuire ad attivare molte/molti nuovi compagne e compagni e portare a un positivo risultato per la coalizione e per le due organizzazioni che la sostengono, Sinistra Critica e la Federazione.

Un ringraziamento particolare va a Antonella Visintin per la sua grande disponibilità e il suo grande impegno: insieme avevamo cominciato un percorso assai arduo e insieme abbiamo condiviso la necessità di ritirare la sua candidatura per poter dare vita a uno schieramento più ampio e speriamo efficace. La sua esperienza e il suo impegno nella lista di Sinistra Critica saranno sicuramente di grande aiuto alla nostra organizzazione e alla coalizione.

ACCORDO A TORINO TRA SINISTRA CRITICA E LA FEDERAZIONE DELLA SINISTRA PER LE ELEZIONI COMUNALI


TESTO DELL’ACCORDO

La Federazione della Sinistra e Sinistra Critica concordano sulla necessità di costruire uno schieramento alternativo nelle prossime elezioni per il Comune di Torino, che possa rappresentare sul piano politico ed istituzionale quanto si è espresso sul terreno sociale, nella battaglia per i diritti dei lavoratori alla Fiat e nelle altre aziende e nei movimenti sociali per la difesa ambientale e dei beni comuni.
Per questo le due formazioni decidono di costituire una coalizione, costituita da due liste apparentate, volta a contrastare le politiche e i progetti economici e sociali dei poteri forti della nostra città, a partire dalle scelte di Marchionne e alternativa a tutti gli schieramenti politici che, se pure in forme diverse, convengono con le opzioni padronali.
Il nostro programma e la nostra battaglia sono quindi contro la precarietà, per i diritti del lavoro, per la difesa ambientale, contro le privatizzazioni, per lo sviluppo dei beni comuni al servizio dei cittadini, contro ogni forma di xenofobia e razzismo, per garantire la massima democrazia a partecipazione a tutte e tutti coloro che vivono nella nostra città.

Su questa base le elette e gli eletti della coalizione e i partiti che la sostengono si impegnano a dare vita a una forte opposizione di sinistra nel prossimo Consiglio Comunale, se, come è probabile, a prevalere sarà uno o l’altro dei due schieramenti maggiori.

La Federazione della Sinistra e Sinistra Critica decidono insieme di confermare la candidatura a Sindaco del compagno Yuri Bossuto in rappresentanza della coalizione tutta, valorizzando accanto ad essa, il ruolo politico e sociale delle compagne e compagni che compongono la testa di lista delle due formazioni.

Le due formazioni concordano su una conduzione condivisa della campagna elettorale e delle iniziative da intraprendere, garantendo anche un’equa presenza sui media televisivi.
In base agli stessi criteri vengono quindi anche concordate le candidature per la partecipazione alle elezioni delle circoscrizioni.

La coalizione fa appello a tutte e tutti i militanti politici e sociali che vogliono far vivere posizioni di sinistra e ricostruire una sinistra che sappia camminare sulle proprie gambe, di partecipare attivamente a questa campagna esprimendo il loro sostegno e contributo attivo.


Federazione della Sinistra
Sinistra Critica

ACCORDO A TORINO TRA SINISTRA CRITICA E LA FEDERAZIONE DELLA SINISTRA PER LE ELEZIONI COMUNALI




FEDERAZIONE DELLA SINISTRA E SINISTRA CRITICA
INSIEME AL COMUNE DI TORINO E NELLE CIRCOSCRIZIONI

La Federazione della Sinistra e Sinistra Critica hanno raggiunto un accordo per comporre una coalizione di sinistra per le elezioni comunali a Torino, a sostegno di Juri Bossuto candidato sindaco e con propri candidati presidente nelle Circoscrizioni.
“Il proprio obiettivo è stato raggiunto: creare una coalizione alternativa al centro-sinistra e a Fassino – dicono Renato Patrito e Mao Calliano, Segretari provinciali di Prc e Pdci – Ripartiamo da chi ha avuto il coraggio di dire No al ricatto di Marchionne e da chi vuole discostarsi dall’invocata continuità con i 10 anni di Chiamparino”.
“E’ importante che si sia costituita una coalizione - afferma Franco Turigliatto di Sinistra Critica- che contrasti i progetti economici e sociali della Fiat e degli altri poteri forti della città, a sostegno dei diritti del lavoro, dei beni comuni, contro razzismo e xenofobia. Essendosi create positive condizioni di unità Sinistra Critica ritira la sua candidata, Antonella Visintin, ringraziandola per la disponibilità e impegno in questa delicata scadenza politica, sapendo che porterà la sua esperienza alla lista e alla coalizione”.
“Sono particolarmente soddisfatto che si sia trovato un accordo tra Federazione e Sinistra Critica e si vada verso una ricomposizione della sinistra che fa la sinistra e non si accoda al pensiero unico in chiave fassiniana”, conclude Juri Bossuto, candidato sindaco.
Torino, 31 Marzo 2011

martedì 29 marzo 2011

La rivolta dell'acqua può vincere


La campagna referendaria è stata lanciata di fatto con il successo della manifestazione di sabato 26 marzo. Le ragioni di un referendum che per la prima volta, dopo tanti anni, mette in discussione il profitto


Salvatore Cannavò
da Il Fatto quotidiano
Il corteo del "popolo dell'acqua" ha aperto ufficialmente la campagna referendaria che porterà al voto del 12 e il 13 giugno che, negli auspici del governo,dovrà garantire una distanza di sicurezza dall'ottenimento dal quorum. Quel referendum è stato garantito da oltre un milione e quattrocentomila firme che hanno passato il vaglio della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale (un analogo referendum presentato dall'Idv è stato invece bocciato). E tutto questo è avvenuto senza alcun contributo decisivo di apparati o forze organizzate, partiti o sindacati. A raccogliere le firme sono stati cittadini, comitati locali, una partecipazione democratica che non si vedeva da tempo. Questo si riflette anche sulle modalità della campagna, gli argomenti utilizzati, lo stile di comunicazione, la modalità carsica del movimento. Che non ambisce a una disputa ideologica ma vuole puntare soprattutto sui dati reali. Come spiega al Fatto quotidiano Marco Bersani, uno dei promotori del referendum, "questa è una battaglia dei cittadini contro i poteri forti" e muove quindi dal basso verso l'alto. A supportarla, del resto, ci sono dati incontrovertibili.

Da quando l'acqua è stata messa a disposizione di Società per azioni, siano esse private, pubbliche o miste privato-pubblico, il suo scopo è diventato, naturalmente, quello di produrre degli utili e di creare dividendi per gli azionisti. "Ma gli effetti di questa logica - spiega Bersani - sono tutti socialmente dannosi". Perché quegli utili possono essere ricavati solo da quattro voci: "L'aumento delle tariffe, la riduzione del costo del lavoro, la riduzione della qualità del servizio, l'aumento dei consumi di acqua.
I dati, tratti dal Convi.ri, il Comitato ministeriale di Vigilanza sulle Risorse idriche e dal centro Civicum di Mediobanca, sono lapidari. Negli ultimi dieci anni le tariffe sono aumentate del 68% mentre l'inflazione "solo" del 21 per cento, un rapporto quindi di uno a tre. Per quanto riguarda invece il costo del lavoro, da quando esistono le Spa, l'occupazione del settore si è ridotta del 15-20 per cento con un'impennata della precarizzazione. "Si potrebbe sostenere - sottolinea Bersani - che si sia trattato di una riduzione dei privilegi delle aziende pubbliche ma in questo caso il fenomeno si sarebbe dovuto limitare ai primi anni di privatizzazione. Invece è continuato e non accenna a fermarsi".
C'è un argomento fondamentale di cui i fautori delle privatizzazioni si fanno forti: lo Stato non ha un soldo, la rete idrica italiana è allo stremo, i privati portano soldi, investimenti, qualità, servizi migliori. Ai promotori del referendum, infatti, viene contestato in particolare il secondo quesito, quello che abroga la norma secondo la quale le tariffe vengono integrate per remunerare in forma adeguata il capitale investito. Insomma, profitti sicuri garantiti dalle bollette dei cittadini. Bersani prende ancora i dati del Con.vi.ri: "Nel decennio precedente alla legge Galli, cioè quello che va dal 1986 al 1995, gli investimenti erano pari a 2 miliardi di euro l'anno. Nel decennio successivo, dopo l'avvento di Spa e privati, che va dal 1996 al 2005, gli investimenti sono crollati a 700 milioni di euro. Tra l'altro il movimento referendario ha deciso anche di porsi il problema del finanziamento degli investimenti idrici. Per ammodernare la rete servirebbero infatti 40 miliardi in venti anni, cioè 2 miliardi all'anno. E se almeno 1 miliardo potrebbero essere recuperati dalla riduzione delle spese militari, viene anche avanzata l'ipotesi del "prestito irredimibile", una somma versata dai cittadini allo Stato in cambio di un interesse del 6,5% per un numero di anni da definire. Su questo punto si svolgerà un convegno ad aprile.

L'ultimo dato è quello che riguarda il consumo: l'Italia è tra i paesi che consumano più acqua, che utilizzano moltissima acqua minerale in cui "esiste una tendenza culturale al consumo dell'acqua e quindi se non si fanno campagne mirate non si producono risparmi". Da quando esistono le Spa sono aumentati tra il 17 e il 20 per cento all'anno e la tendenza è in costante aumento.
Ma allora, contestiamo noi, sono meglio i "carrozzoni pubblici", le Acea controllate da giunte come quella di Alemanno che si è distinta per la parentopoli all'Ama o all'Atac? "In realtà, risponde Bersani, indipendentemente dal capitale pubblico, chi controlla e gestisce un'azienda idrica sono i privati che compongono il Cda al di là delle loro quote azionarie. Chi ha deciso gli investimenti dell'Acea in Armenia, Albania, Perù, Santo Domingo, Honduras? I cittadini romani non ne sanno nulla". E quindi il problema è anche quello di migliorare la democrazia, controllare le decisioni, passare da organismi nominati a organismi democraticamente eletti.

Nel referendum vuole esserci tutto questo. "E' una sfida decisiva perchè non solo dopo due decenni si possono sanzionare le politiche liberiste ma soprattutto si può dare fiato a una battaglia dei cittadini contro i poteri forti". Stavolta non c'è uno schieramento politico ben definito. Certo, la legge da abrogare è stata approvata dal governo Berlusconi ma il suo estensore, Andrea Ronchi, oggi è all'opposizione con Futuro e Libertà. Il Pd ha diversi problemi visto che nelle "regioni rosse" la privatizzazione dell'acqua è stata pioneristica ma gran parte di questo movimento è schierata con il centrosinistra. La Lega, invece, ha più di un mal di pancia tanto che i referendari nella Lombardia del Carroccio hanno raccolto la bellezza di 250 mila firme.
Aver fissato il voto così in là nel tempo, a metà giugno, è un chiaro tentativo di disinnescare il referendum che, ricordiamo, è valido solo se la metà più uno degli aventi diritto si reca alle urne. Ma mai come stavolta c'è fiducia nel raggiungimento dell'obiettivo. "La nostra campagna referendaria - conclude Bersani - si è svolta a freddo, senza alcun fatto eccezionale che emozionasse o attirasse l'attenzione, senza l'appoggio di alcun grande giornale e nonostante questo abbiamo raccolto 1,4 milioni di firme". Per cercare di far crescere l'attenzione il movimento referendario sta per lanciare la campagna delle "Bandiere dell'acqua appese ai balconi" (un lenzuolo azzurro con il simbolo dei 2Sì), un modo per far crescere il passaparola. Si sono poi inventati una sottoscrizione originale: se il quorum sarà raggiunto il Comitato beneficerà del rimborso elettorale e quindi i cittadini che avranno sottoscritto si vedranno restituire i soldi.

lunedì 21 marzo 2011

"Il mio no anche a questa guerra"


Intervista a Gino Strada sul Fatto quotidiano: “La guerra è stupida e violenta. Ed è sempre una scelta, mai una necessità: rischia di diventarlo quando non si fa nulla per anni, anzi per decenni”.


Wanda Marra
da Il Fatto quotidiano
“La guerra è stupida e violenta. Ed è sempre una scelta, mai una necessità: rischia di diventarlo quando non si fa nulla per anni, anzi per decenni”. Gino Strada, fondatore di Emergency (che tra l’altro proprio in questi giorni sta lanciando il suo mensile E, in edicola dal 6 aprile), mentre arriva il via libera della comunità internazionale all’attacco contro la Libia e cominciano i primi bombardamenti, ribadisce il suo “no” deciso alla guerra come “mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, citando la Costituzione italiana.

Che cosa pensa dell’intervento militare in Libia?
Questo è quello che succede quando ci si trova davanti a situazioni lasciate incancrenire. L’unica cosa che auspico è che si arrivi in fretta a un cessate il fuoco. La risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu è molto ambigua nella formulazione: vanno adottate “tutte le misure necessarie per proteggere la popolazione civile”. Vuol dire tutto e niente.

Dunque, lei è contrario?
Assolutamente. Il mio punto di vista è sempre contro l’uso della forza, che non porta da nessuna parte.

Ma allora bisogna stare a guardare mentre Gheddafi bombarda la sua popolazione?
Sono un chirurgo. Non faccio il politico, il diplomatico, il capo di Stato. Non so in che modo si è cercato di convincere Gheddafi a cessare il fuoco. E poi le notizie che arrivano sono confuse e contraddittorie.

Però, alcuni punti sembrano chiari: che Gheddafi è un dittatore, contro il quale c’è stata una rivolta popolare e che sta massacrando i civili, per esempio…
Che Gheddafi sia un dittatore è molto chiaro. Che stia massacrando i civili è chiaro, ma impreciso: lo fa da anni, se non da decenni. E noi, come Italia, abbiamo contribuito, per esempio col rifornimento di armi. Se il principio è che bisogna intervenire dovunque non c’è democrazia, mi aspetto che qualcuno cominci i preparativi per bombardare il Bahrein. Che facciamo, potenzialmente bombardiamo tutto il pianeta? Sia chiaro, non ho nessuna simpatia per Gheddafi, ma non credo che l’uso della violenza attenui la violenza. Quanti dittatori ci sono in Africa? Bisogna bombardarli tutti? E poi: con questo ragionamento, la Spagna potrebbe decidere di bombardare la Sicilia perché c’è la mafia.

Questo conflitto però viene percepito come intervento umanitario, più di quanto non sia accaduto, per esempio, con quelli in Afghanistan e in Iraq. Lei non crede che questo caso sia diverso da quelli?
Ogni situazione è diversa dall’altra. I cervelli più alti del pianeta hanno una visione della politica che esclude la guerra. Voglio rifarmi a ciò che scrivono Einstein e Russell, non a ciò che dicono i Borghezio e i Calderoli. Sarkozy non mi sembra un grande genio dell’umanità. E dietro ci sono sempre interessi economici.

Ma qual è la soluzione?
A questo punto è molto difficile capire cosa si può fare. Si affrontano le questioni quando divengono insolubili. A questo punto che si può fare? Niente, trovarsi sotto le bombe. Non è possibile che si ragioni sempre in termini di “quanti aerei, quante truppe, quante bombe”. Invece, magari avremmo potuto smettere di fare affari con Gheddafi.

Che cosa pensa della posizione italiana?
Vorrei conoscerla. Frattini un paio di giorni fa ha detto che “il Colonnello non può essere cacciato”. Cosa vuol dire: che non si deve o non si può? Noi non abbiamo nessuna politica estera, come d’altra parte è stato ai tempi dell’Afghanistan e dell’Iraq.

Salta agli occhi come questa guerra stia scoppiando senza una vera partecipazione emozionale. E senza nessuna mobilitazione pacifista. Per protestare contro l’intervento in Afghanistan ci furono manifestazioni oceaniche in tutto il mondo.
A Roma eravamo tre milioni.

E adesso dove sono quei tre milioni?
Non è un dettaglio il fatto che le forze politiche che allora promuovevano le mobilitazioni, in Parlamento poi hanno votato per la continuazione della guerra. E, infatti, la sinistra radicale ha perso 3 milioni di voti.

Ma al di là della politica, l’opinione pubblica tace.
Questa guerra è arrivata inaspettata: se andrà avanti sicuramente ci sarà una mobilitazione per chiedere che si fermi il massacro.

Inaspettata o no, il silenzio del movimento pacifista colpisce.
Il movimento pacifista esiste e porta avanti le sue battaglie, da quella per la solidarietà, alla lotta contro la privatizzazione dell’acqua, al no agli esperimenti nucleari. E certamente si farà sentire per chiedere la fine del massacro.

Dunque, secondo lei non c’è un addormentamento delle coscienze?
Certo che c’è, e non potrebbe essere il contrario. Abbiamo un governo guidato da uno sporcaccione, e nessuno dice niente. Ha distrutto la giustizia, e nessuno dice niente. Sono anni che facciamo respingimenti e si incita all’odio e al razzismo. Non sono cose che passano come gocce d’acqua.

di Wanda Marra
Dal Fatto Quotidiano del 20 marzo 2011

Le ragioni del no alla guerra


L'aggressione militare sembra ormai l'unica soluzione per risolvere i problemi. Ma è così solo perché non si perseguono altre strade e perché i governi occidentali sono tarati su questa misura. Dire no può apparire in controtendenza ma è l'unica possibilità per pensare a un futuro diverso


Salvatore Cannavò
La guerra torna d'attualità, sconvolge le agende politiche e alimenta le nostre inquietudini. Mentre il mondo si interrogava sul disastro di Fukushima le potenze occidentali hanno iniziato una loro macabra gara per colpire d'anticipo le postazioni del colonnello Gheddafi accorgendosi, con mesi di ritardo, di quanto sta accadendo dall'altra parte del Mediterraneo.
La guerra è già scoppiata, con buona pace del Presidente della Repubblica che la nega, e sarà una guerra ancora una volta fondativa: di nuovi equilibri e di nuovi corsi politici. E a noi tocca, ancora una volta, spiegare e giustificare il nostro No perché la guerra è ormai diventata parte della soluzione politica, elemento integrante dell'agire comune, sbocco condiviso di una rassegnazione collettiva. Anche stavolta, come in Afghanistan, in Kosovo, in Iraq, il nostro No è controcorrente ma nondimeno importante e basato su un ragionamento lucido, per nulla ideologico o precostituito per quanto il rifiuto della guerra è un principio da cui far discendere, legittimamente e doverosamente, l'azione civile. Ma, nonostante l'attacco alla Libia si ammanti di ragioni umanitarie e progressiste - la difesa dei civili - non si possono omettere domande e considerazioni rilevanti.

La "comunità internazionale" si è accorta solo ora che Gheddafi è un pericolo? che la popolazione civile libica viene umiliata e, ora, massacrata? E prima? Perché hanno fatto a gara a stipulare contratti, a vendere armi, a sostenere un regime impresentabile? Che dire dell'Italia ma anche degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, della Spagna, un po' meno della Francia? Davvero, Gheddafi andava bene fino a quando garantiva commesse petrolifere e bloccava il flusso degli immigrati dal sud al nord e diventa un nemico da eliminare quando la popolazione libica - e non altri! - lo ha messo in crisi e alle strette? E perché intervenire con tale ritardo e non quando Gheddafi era schiacciato all'angolo e in chiuso in qualche bunker? Rispondere che dietro tutto questo c'è un ragionamento geopolitico e una spinta al profitto è fin troppo facile. Ma questo va detto.
La "comunità internazionale", tramite l'Onu, ha deciso un intervento militare attraverso una "No fly zone", cioè un'area interdetta al volo aereo libico in funzione repressiva. E allora perché c'è stata la "gara" tra Francia e Usa a chi colpiva per primo? Perché la Francia, mentre si discuteva di come rendere operativa la risoluzione Onu, si è mossa all'improvviso cercando di intestarsi la guida dell'operazione? Anche qui, è facile vedere come le potenze occidentali abbiamo ricominciato il loro "piccolo risiko" nordafricano con un gioco di alleanze e competizioni incrociate di cui, stavolta, la vittima sacrificale è l'Italia. La Francia, infatti, dopo aver perso parte della sua influenza in Tunisia e vedendo traballare la situazione algerina ha colto al volo la possibilità di "occupare" politicamente, ma per via militare, la Libia costruendo una relazione privilegiata con il governo "ribelle" di Bengasi, agendo con forza per cacciare via Gheddafi e divenire, così, il nuovo referente occidentale dell'area. Gli Usa hanno agito nello stesso modo e l'Italia si è ritrovata al traino di una situazione che non ha voluto e che, anzi, ha cercato di evitare per molto tempo. E mentre il filo-Usa La Russa cerca di sembrare l'allievo modello agli occhi di Washington, Berlusconi mastica amaro perché la guerra è anche contro la sua politica estera e di approvigionamento delle fonti energetiche. Gli Usa lo avevano avvertito più volte e i dispacci resi pubblici da Wikileaks lo avevano confermato: l'amicizia con la Libia non piaceva all'amministrazione statunitense e oggi è venuta l'occasione per regolare un po' di conti. Come si vede, il destino del popolo libico c'entra poco.

Si va quindi alla guerra ma c'è qualcuno che ha tratto un bilancio serio delle altre guerre umanitarie? Davvero non si vede che l'Afghanistan è terra di nessuno, che l'Iraq è restato un campo di battaglia e che, dopo dieci anni, anche il Kosovo sta per esplodere di nuovo? Gli analisti più seri possono davvero sostenere che la politica, inaugurata agli inizi degli anni 90 da Bush senjor e poi rilanciata da Bush figlio abbia aiutato l'umanità, i popoli, il miglioramento della qualità delle relazioni internazionali? O non sia servita, invece, a migliorare l'approvvigionamento petrolifero degli Usa, a riequilibrare per via militare il declino economico degli Usa?
Stavolta, tra l'altro, si è fatto di peggio, perché la risoluzione ha dato il via libera a un attacco indiscriminato con la possibilità di intervento di ciascun paese lo desiderasse con lo "spettacolo" un po' imbarazzante di missili lanciati ora dalla Francia, ora dagli Usa e con l'Italia nella parte del servo sciocco.
Non solo, ma nessuno sente il bisogno di giustificare l'ipocrisia con cui si aiutano i libici mentre regna l'indifferenza nei confronti di altri popoli e altre repressioni: in Arabia Saudita, in Bahrein, in Siria, nello Yemen o nella stessa Palestina. Quale migliore dimostrazione che la ratio della missione militare è politica ed economica e non umanitaria? E dunque, si può obiettare, che proponi? Occorre bombardare tutti i governi dell'area, per par condicio, oppure ritirarsi e non fare nulla?

Su questo punto, che è ovviamente il più difficile, valgono innanzitutto le parole utilizzate da Gino Strada: "A questo punto è molto difficile capire cosa si può fare. Si affrontano le questioni quando divengono insolubili. A questo punto che si può fare? Niente, trovarsi sotto le bombe. Non è possibile che si ragioni sempre in termini di “quanti aerei, quante truppe, quante bombe”. Invece, magari avremmo potuto smettere di fare affari con Gheddafi". La tattica del lasciare incancrenire le situazioni per risolverle solo con l'accetta delle bombe è vecchia quanto le diplomazie militari (senza contare che in tempi di recessione "consumare" un po' di armi fa bene anche alle commesse militari). Per rispondere a cosa fare dovremmo avere a disposizione le leve della politica e del governo di cui dispongono i vari Berlusconi, Sarkozy, Obama (come è uguale la sua politica estera rispetto ai predecessori...) e non soltanto parole. Perché se il mondo fosse governato meglio avremmo visto un accerchiamento e un isolamento di Gheddafi realizzato in tempi insospettabili; avremmo visto parlamenti e governi rifiutarsi di stipulare Trattati di amicizia con il solo scopo di fermare l'immigrazione africana (con la conseguenza di farla morire di fame e di sete nel deserto sahariano); avremmo visto una politica estera ed economica in grado di realizzare uno sviluppo concreto dei paesi più poveri senza rapinare le loro risorse, senza la centralità dei profitti occidentali ma con lo scopo di accrescere il benessere delle popolazioni. Avremmo visto cooperazione e sviluppo andare di pari passo: le risorse energetiche del nordafrica sono tali da far crescere tutta l'area con profitti economici, sociali e anche ambientali distribuibili equamente; avremmo visto governi e parlamenti scendere immediatamente al fianco delle popolazioni ribelli: e invece ora si fa finta di non ricordare l'imbarazzo delle cancellerie occidentali, la protezione francese riservata a Ben Ali, Berlusconi che non chiamava Mubarak o Gheddafi "per non disturbare", Obama che non sapeva cosa fare. Quelle rivolte hanno dato il senso e il segno di un nuovo corso che, oggi, l'intervento militare rischia di frenare e, in parte, proprio questo è il suo scopo. Perché se è vero che la Francia vuole insediare un nuovo governo a Tripoli, tutto composto da ex uomini di Gheddafi, nessun governo vuole vedere crescere la rivoluzione tunisina e fare i conti con la sua estensione in Algeria, in Egitto, e nel resto del mondo arabo. Altrimenti, avremmo visto mobilitare forze, portare aiuti, pensare anche a interposizioni di protezione che nulla hanno a che fare con la guerra, con le bombe, con l'aggressione militare ma sono guidate da altre modalità operative - una volta il movimento pacifista discuteva di "caschi bianchi" e la stessa ipotesi di truppe Onu schierate a difesa delle popolazioni civili è stata sabotata dal loro utilizzo in chiave di occupazione militare, peraltro con esiti disastrosi - da altri progetti, da una visione del mondo che poco ha a che fare con la pace. A quelle rivolte, alla speranza araba, l'occidente ha risposto con l'unico volto che ormai sa presentare: l'aggressione militare, la voce delle bombe, il profilo dell'occupazione militare. Un monito e un avvertimento a chi tenterà di spingersi troppo in là e non è un caso se ieri mattina, domenica 20 marzo, in Tunisia si è manifestato contro le bombe.

Il nostro no alla guerra si salda, quindi, al sostegno alle rivolte arabe, unica via per garantire la cacciata dei tiranni e progettare una nuova democrazia in tutta l'area. A ostacolare questa vocazione, però, non ci sono solo i governi ma anche una sinistra che oscilla tra due posizioni sbagliate: difendere l'attacco militare, anzi farsi paladina dell'oltranzismo atlantico chiedendo al governo italiano di essere più fedele di quanto la riottosità della Lega possa garantire; difendere Gheddafi in nome di un "antimperialismo" astratto per cui i nemici dei miei nemici sono comunque miei amici. Un riflesso minoritario ma che si è fatto largo e che sta condizionando la reazione di chi la guerra la ripudia. Due riflessi e due politiche che hanno impedito di essere al fianco delle rivolte arabe con tutta la determinazione necessaria. Epppure, proprio mentre si iniziano a ricordare i dieci anni dal G8 di Genova, quello che allora fu definita "la seconda superpotenza mondiale" avrebbe nuove ragioni da presentare e nuovi argomenti da far sentire.

LIBIA: CACCIARE GHEDDAFI, NO ALL'INTERVENTO MILITARE IMPERIALISTA


La repressione brutale del dittatore libico contro la rivoluzione popolare costituisce il miglior supporto per l'intervento militare imperialista, con l'effetto di frenare il processo rivoluzionario in corso in tutto il mondo arabo. La 'no fly zone' decisa dal Consiglio di sicurezza dell'Onu avviene dopo che è stato concesso a Gheddafi di riprendere possesso di gran parte del territorio liberato, costringendo gli insorti di Bengasi e Tobruk - dopo aver esplicitamente rifiutato aiuti interessati per settimane - ad invocare ora comprensibilmente un aiuto internazionale di qualsiasi natura per non essere sopraffatti dal pugno di ferro del regime: questo sì è il cinico calcolo che le potenze occidentali hanno ordito ai danni del popolo libico e di tutti i popoli in rivolta nell'area, premendo loro di riconquistare margini di controllo geopolitico e sulle risorse energetiche, rimesso in discussione dall'abbattimento delle dittature in Egitto e Tunisia. Chi ha parlato finora di rivoluzioni pilotate dagli Stati Uniti ha finito per sabotare una delle più grandi sollevazioni democratiche di tutta la storia del mondo arabo, frutto della crisi capitalistica che ha fatto saltare i regimi dittatoriali alleati dell'Occidente e di Israele. Con ben altra mobilitazione possibile in tutta Europa oggi il dittatore libico avrebbe già subito la sorte di Ben Alì e di Mubarak!
Noi diciamo risolutamente NO a qualsiasi intervento militare in Libia, perchè non esiste guerra umanitaria e perchè nessun aiuto porterebbe alla lotta di liberazione. Il sostegno più grande che possiamo dare è quello di una mobilitazione di massa in tutti i paesi, schierandoci senza esitazioni per la cacciata del colonnello e contro i tentativi imperialisti di mettere le mani sulla Libia: non c'è altra soluzione. Su questo, la sinistra e il movimento operaio hanno una responsabilità enorme, per la passività e per le ambiguità dimostrate finora; mentre ogni sostegno oggi, anche 'critico', all'intervento militare di paesi della Nato costituisce una tragica sciagura.
No quindi all'intervento militare! No alla concessione delle basi italiane per l'intervento imperialista!
Esigiamo la fine della repressione e degli attacchi delle forze armate di Tripoli! Gheddafi se ne deve andare e il popolo deve decidere liberamente del proprio futuro come in Egitto e in Tunisia. Pieno e incondizionato sostegno al popolo libico in lotta! La rivoluzione può subire battute d'arresto, ma la forza generale di cui dispone in molti paesi arabi può di nuovo far capovolgere il fronte!

Sinistra Critica - Organizzazione per la Sinistra Anticapitalista

Il capitalismo uccide. No al nucleare!


La furia dello Tsunami ha fatto emergere in tutta la sua drammaticità una verità inconfutabile: il nucleare può distruggere l'uomo. La storia sembra ripetersi. Il Giappone che con Hiroshima e Nagasaki aveva già vissuto in prima persona la furia distruttrice del nucleare, oggi si trova di nuovo a vivere quell'incubo. Stavolta però non per le conseguenze di uno scontro bellico, ma per aver scelto la strada dello sviluppo ad ogni costo. Queste le conseguenze di un sistema economico che ha imposto di costruire su un territorio altamente sismico, ben 53 centrali nucleari.
Ovviamente non c'è solo il Giappone a ricorrere all'energia nucleare. In Francia le centrali sono 59, negli Usa 104, 31 in Russia, 23 nel Regno Unito e 17 in Germania. Senza dimenticare lo sblocco di ben 8,3 Miliardi di Dollari da parte di Obama, nel Febbraio del 2010, per costruire due nuove centrali a Burke, in Georgia. D'altronde il Presidente Usa, da tempo non fa mistero di pensare di liberarsi dalla dipendenza da petrolio puntando sull'atomo. In questo il Governo Berlusconi si dimostra molto Obamiano. Così di fronte all'evidente disastro di Fukushima, il Governo pensa soltanto a rassicurare la lobby nostrana dell'atomo: Alstom, Ansaldo, Areva, Enel, Suez, Techint, Finmeccanica, Confindustria oltre a Cisl e Uil. “Il Governo proseguirà per la sua strada” ha tuonato il Ministro Prestigiacomo. Senza accorgersi che anche in Europa iniziano a sorgere forti ripensamenti, dovuti alla pressione di una opinione pubblica sempre più preoccupata e terrorizzata. In Francia è iniziato un controllo straordinario di tutte le centrali, in Germania hanno spento sette impianti, in Russia il premier Putin deve dichiarare a denti stretti la necessità di rivedere le prospettive dell'energia nucleare.
La domanda da farsi è quindi, a chi conviene il business dell'atomo?

Per rispondersi basta sfatare alcuni luoghi comuni. In primis il nucleare non riduce la dipendenza da petrolio. La Francia, 78% di energia prodotta col nucleare, è uno dei paesi col consumo di petrolio pro-capite più alti d'Europa. Inoltre va ricordato il problema uranio. Le riserve di uranio sono in esaurimento e inoltre l'85% dei giacimenti è in mano a sette compagnie. Ci si vuole quindi metter in mano alle lobby dell'uranio che, una volta consolidato il rilancio del nucleare, decideranno a loro piacimento i prezzi?
Altra argomentazione, sostenuta dai nuclearisti, è quella secondo cui il nucleare fa diminuire le emissioni di Co2. Falso. Solo il processo di fissione del reattore non produce emissioni, invece presenti in tutte le altre fasi a partire dall'estrazione dell'uranio. Inoltre sulle scorie radioattive ancora non si è trovata un soluzione sicura per la salute e l'ambiente. La custodia e i depositi di scorie hanno costi altissimi, insostenibili per un economia in crisi come la nostra. Non a caso si aggira il problema affidandosi ai traffici illegali di rifiuti nucleari nei paesi del Terzo mondo.
Inoltre sul reale fabbisogno energetico dell'Italia non si continua a dire la verità. Da noi il problema del mal funzionamento della rete elettrica deriva dalle privatizzazioni e dagli interessi delle compagnie. In Italia abbiamo installati 98.625 MW a fronte di un picco di domanda di 55.292. Sarebbe utile sapere dove finisce il resto dell'energia prodotta. Infine è assolutamente falsa la divisione tra nucleare civile e militare. Tutti i paesi che hanno costruito la bomba atomica, hanno iniziato costruendo reattori. L'espansione della tecnologia nucleare si è sempre abbinata alla proliferazione militare.
Così come è falso che il nucleare comporterebbe un abbassamento dei costi dell'energia: dal 2004 in Italia l'energia elettrica è venduta quotidianamente con un sistema borsistico che attraverso il meccanismo del prezzo marginale premia i profitti. In parole povere ogni produttore di energia elettrica stabilisce un prezzo di vendita e in base al fabbisogno energetico si paga a tutti il prezzo dell'offerta più costosa tra quelle accettate. Basta che anche uno solo tra i produttori, anche se irrilevante per Kwh prodotti, stabilisca un prezzo altissimo e quello diviene il prezzo di riferimento.
Se anche una parte dell'energia venisse prodotta a costi più contenuti, il prezzo resterebbe quello della produzione più costosa tra quelle utilizzate, aumentando semplicemente i profitti delle aziende nucleari!
L'alto costo dell'energia in Italia (+39% rispetto al resto della UE) è dunque colpa dei profitti che vengono realizzati sulla nostra pelle, regali ingiustificati all'industria dell'energia!
Tutto questo finora in Italia ha trovato una forte resistenza. Il movimento anti-nuclearista negli anni ottanta ha saputo parlare alla maggioranza del paese, riuscendo a vincere il referendum nel 1987. Oggi si vuole rimettere in discussione quella vittoria.
Noi invece vogliamo rimettere in discussione questo sistema! A partire dalla vittoria dei referendum su acqua e nucleare!

Sinistra Critica - Organizzazione per la Sinistra Anticapitalista

lunedì 14 marzo 2011

Nucleare: scacco matto a Fukushima


E' ancora una volta la realtà, con tutta la sua drammaticità, a spiegare cosa significa concretamente cosa significa la scelta nucleare.


Marco Bersani
Mentre il Forum Nucleare spendeva 2 milioni di euro per presentare un’ingannevole campagna sul nucleare come una discussione da salotto tra una mossa di scacchi e l’altra; mentre il prof. Veronesi dichiarava che avrebbe dormito senza alcun problema con le scorie radioattive sotto il letto (non risulta al momento pervenuta l’opinione dei condomini); mentre Kikko Testa si sbracciava tra un dibattito e l’altro a spiegare le magnifiche sorti e progressive del nucleare (e del suo conto corrente da quando ha abbandonato l’ecologismo), la realtà, ancora una volta e con tutta la sua drammaticità, si premurava di spiegare cosa significa concretamente la scelta nucleare.
Il terremoto che ha stravolto il Giappone ha provocato un’esplosione dentro un reattore nucleare a Fukushima, provocando una nube radioattiva, l’evacuazione di 140.000 persone e il ricovero immediato di oltre un centinaio di persone; nel frattempo, anche il sistema di raffreddamento di altri due reattori dello stesso complesso nucleare dimostra anomalie non ancora risolte e foriere di ulteriori drammatiche preoccupazioni.
Di fronte a tale scientifica dimostrazione del fatto che le centrali nucleari sono intrinsecamente insicure, per cui ogni consesso civile dovrebbe fare l’unica scelta di buon senso possibile –
l’ abbandono di una strada energetica obsoleta, insicura, diseconomica e pericolosa- riparte la campagna ideologica dei nuclearisti sulla base delle ormai vetuste dichiarazioni “da noi non potrebbe mai succedere” / “le nuove centrali non comporterebbero questi problemi”/ “e comunque in Giappone non è successo nulla di grave” etc. etc.
Non succederà certo un’inversione di rotta del Governo e dei poteri forti.
Ma quello che può succedere è la ribellione popolare a chi non esita a destinare 40 mld di euro per una tecnologia che rimette l’energia, la sicurezza e la democrazia nelle mani dei soliti noti.
Il popolo dell’acqua ha convocato per il prossimo 26 marzo a Roma una manifestazione nazionale per la ripubblicizzazione dell’acqua e per la difesa dei beni comuni, dei diritti e della democrazia.
Sarà la manifestazione di quanti lottano per la vita e contro la sua consegna ai profitti dei mercati finanziari.
Dovrà essere il luogo dentro il quale anche l’opposizione antinucleare dimostri la propria capacità di presenza diffusa e reticolare, la propria radicale alternativa verso un modello energetico “pulito, territoriale e democratico”, il proprio insopprimibile desiderio di futuro per il pianeta, le generazioni presenti e future.
Tutte e tutti assieme, allegri e determinati, attivi per non divenire radioattivi, pronti a sommergere con tre valanghe di SI ai referendum della prossima primavera i poteri forti della privatizzazione dell’acqua e del ritorno al nucleare.
Tutte e tutti in piazza, perché tra la Borsa e la vita, abbiamo scelto la vita e la speranza di futuro.

sabato 12 marzo 2011


Ciclo di iniziative "La Rivoluzione è possibile"




In occasione della giornata mondiale di solidarietà con le rivoluzioni arabe lanciata dal Social Forum Mondiale di Dakar, Sinistra Critica organizza un ciclo di iniziative in tutta Italia.

Alle iniziative parteciperà Omar El Shafei del comitato di appoggio alla lotta egiziana.

19 marzo Torino, ore 18.00 via santa giulia 64
20 marzo Milano, ore 10.00 piazzale selinunte
20 marzo Livorno, ore 17.30 circolo arci borgo cappuccini 276
21 marzo Napoli, ore 17.30 aula lorusso via mezzocannone 16
22 marzo Roma, ore 18.00 Arci Malafronte via dei monti di Pietralata 16

Sinistra Critica - Organizzazione per la Sinistra Anticapitalista

mercoledì 9 marzo 2011

Uno sciopero di 4 ore non basta


Il coordinamento lavoratori autoconvocati giudica insufficiente e tardivo lo sciopero generale di 4 ore indetto dalla Cgil per il 6 maggio. Serve una manifestazione di tutte le opposizioni sociali come vero percorso di generalizzazione


Coordinamento autoconvocati
La terza assemblea nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori autoconvocati, svoltasi a Roma il 26 febbraio scorso, si è espressa con un sostegno a tutte le mobilitazioni e agli scioperi in programma in questo
periodo: il 1 marzo degli immigrati sostenuto dall'USI, l'11 marzo di USB-Slai Cobas e altri, il 25 marzo di FLC e FP Cgil, il 15 aprile di CUB e SI Cobas, i prossimi Stati Generali della Precarietà 3.0 a Roma ad aprile e
la preparazione dello sciopero precario di San Precario. Ogni manifestazione di lotta che contribuisca a un maggiore protagonismo di lavoratrici, lavoratori, precari ed immigrati è un segnale positivo di resistenza alla
crisi che va valorizzato. Tuttavia auspichiamo, e lavoreremo, affinché tutti questi momenti di lotta sparsi convergano al più presto in una sola grande giornata di mobilitazione nazionale contro le politiche antipopolari del Governo Berlusconi, della Confindustria e della BCE.
Lo sciopero generale di 4 ore proclamato dalla Camusso per il 6 maggio prossimo è sicuramente il risultato delle enormi pressioni dal basso arrivate da dentro e fuori la Cgil, dai precari e dai movimenti di lotta.
Tuttavia è una proposta inefficace, testimoniale, smobilitante che rischia di alimentare la rassegnazione. La rivendicazione di uno sciopero generale e generalizzato, vero, unitario, resta totalmente inevasa dalla indizione della giornata del 6 maggio. Serve, infatti, una mobilitazione che si generalizzi a milioni e milioni di persone bloccando il paese come successo in Grecia, Francia, Portogallo ecc...
Per arrivare a questo risultato quindi tutti dovremo dare il nostro contributo e aumentare ulteriormente la pressione perchè questa richiesta di tantissimi lavoratori e lavoratrici non resti inascoltata. Invitiamo pertanto tutti i movimenti sindacali, sociali, ambientali che si oppongono all’offensiva padronale e governativa a individuare un percorso comune che costruisca tempestivamente, al di là della proliferazione di scioperi parziali, delle ambiguità e dei continui rinvii della Cgil, una giornata di lotta e di mobilitazione nazionale e una grande manifestazione a Roma. Per questo proponiamo a tutti i soggetti interessati, un percorso dal basso e
partecipato che lanci la mobilitazione.

Il coordinamento delle lavoratrici e dei lavoratori autoconvocati contro la crisi

martedì 8 marzo 2011

Il ritorno delle rivoluzioni


IL RITORNO DELLE RIVOLUZIONI - ERRE N. 42

EDITORIALE
Come in Egitto (Salvatore Cannavò)

PRIMO PIANO
La rivoluzione araba in marcia (Jerome Duval e Fathi Chamkhi)
Tunisia, Egitto: le prime rivoluzioni del XXI secolo (Dichiarazione della IV internazionale)

TEMPI MODERNI
Fiat, una vittoria precaria (Franco Turigliatto)
Economia globale in corto circuito (Marco Bertorello e Danilo Corradi)
Marghera, mancava l'eccedenza (Checchino Antonini)
Contro Berlusconi non basta Ruby (Lidia Cirillo)

FOCUS
14 dicembre, la battaglia per il futuro (Dario Di Nepi)
Rebel, rebel (Cinzia Arruzza e Felice Mometti)
I fought the law (Piero Maestri)
Leggi speciali: oggi per gli ultà domani in tutt le città (Antonio Ardolino e Fabio Arcieri)
Non solo studenti... la rivolta operaia (Eliana Comu)

IDEEMEMORIE
L'impossibile capitalismo verde (Marco Bersani)
Scrittori contro il rogo
Libreria

CORRISPONDENZE
Cambiare il mondo al tempo della crisi (Francois Sabado)

sabato 5 marzo 2011

APPOGGIAMO LA RIVOLUZIONE LIBICA! VIA GHEDDAFI!


Comunicato del Bureau della IV Internazionale sul processo rivoluzionario in Libia

L'onda d'urto delle rivoluzioni in Tunisia ed Egitto continua ad allargarsi attraverso il mondo arabo e oltre. Da diversi giorni è la Libia il centro della sollevazione rivoluzionaria. Gli eventi stanno evolvendo giorno dopo giorno, ora dopo ora, ma oggi tutto dipende dalla straordinaria mobilitazione del popolo libico. Centinaia di migliaia di Libici si sono lanciati, spesso a mani nude, all'attacco della dittatura di Gheddafi. Intere città, intere regioni sono cadute nelle mani dei rivoltosi. La risposta della dittatura è stata spietata: repressione senza pietà, massacri, bombardamenti sulla popolazione con armi pesanti e incursioni aeree. Oggi siamo di fronte ad una battaglia all'ultimo sangue tra il popolo e la dittatura. Una delle caratteristiche della rivoluzione libica, in rapporto alle rivoluzioni in Tunisia ed Egitto, è la divisione degli apparati militari e di polizia. Ci sono scontri interni all'esercito stesso, una divisione territoriale caratterizzata da scontri tra le regioni e le città passate agli insorti e l'area di Tripoli sotto il controllo militare della dittatura. La dittatura libica rappresenta troppe ingiustizie sociali e democratiche, repressione, attacchi a libertà e diritti elementari. Deve essere cacciata.

La rivoluzione libica è parte di un processo complessivo che riguarda tutto il mondo arabo, e oltre, arrivando fino all'Iran e alla Cina. I processi rivoluzionari in Tunisia ed Egitto si stanno radicalizzando. In Tunisia i governi cadono uno dopo l'altro. Il movimento dei giovani e quello dei lavoratori si stanno spingendo ancora più avanti. Tutte le forme di continuità con il vecchio regime sono chiamate in questione. La richiesta di un'assemblea costituente, opposta a tutte le operazioni di recupero del regime, sta diventando sempre più forte. In entrambi i paesi, Tunisia ed Egitto, il movimento dei lavoratori si sta riorganizzando con il lancio di un'ondata di scioperi per la rivendicazione dei bisogni sociali elementari. Questa sommossa rivoluzionaria prende forme diverse e particolari, a seconda dei paesi: scontri violenti in Yemen e Bahrein, manifestazioni in Giordania, Marocco e Algeria. L'Iran è ancora una volta attraversato da lotte e manifestazioni per la democrazia e contro il regime di Ahmadinejad.

In questo contesto la situazione in Libia riveste un'importanza strategica. Questa nuova rivolta già porta con sé cambiamenti storici, ma il suo sviluppo può dipendere dalla battaglia in Libia. Se Gheddafi riprende il controllo della situazione, con migliaia di morti, il processo sarà frenato, contenuto o anche bloccato. Se invece Gheddafi sarà rovesciato, come risultato l'intero movimento ne gioverà e ne risulterà amplificato. Per questa ragione, tutte le classi dirigenti, tutti i governi, tutti i regimi reazionari del mondo arabo stanno più o meno supportando la dittatura libica.

Sempre in questo contesto l'imperialismo statunitense, l'Unione Europea e la Nato stanno moltiplicando le operazioni per cercare di controllare il processo in atto. Le rivoluzioni in corso indeboliscono, al di là di cosa affermino gli imperialisti nei loro discorsi, le posizioni dell'imperialismo occidentale. Così, come accade spesso, l'imperialismo utilizza il pretesto della “situazione caotica”, come la chiamano, o della “catastrofe umanitaria” per preparare un intervento e riprendere il controllo della situazione. Nessuno dovrebbe essere ingannato dalle intenzioni delle forze Nato: vogliono togliere dalle mani delle popolazioni locali le rivoluzioni in corso e sfruttare la situazione per occupare nuove posizioni, soprattutto in merito al controllo delle regioni petrolifere. Per questo ragione fondamentale è necessario rifiutare ogni intervento militare dell'imperialismo americano.

È compito del popolo libico, che ha iniziato il lavoro, portarlo a termine, con l'aiuto delle popolazioni locali, e tutte le forze progressiste a livello internazionale devono contribuire con la loro solidarietà e il loro supporto.
Da questo punto di vista siamo totalmente in disaccordo con le posizioni adottate da Hugo Chavez, Daniel Ortega e Fidel Castro. Fidel Castro ha denunciato il rischio di un intervento dell'imperialismo americano invece di supportare la lotta del popolo libico. Stessa cosa vale per Hugo Chavez, che ha confermato il suo appoggio al dittatore Gheddafi. Queste posizioni sono inaccettabili per le forze rivoluzionarie, progressiste e anti-imperialiste del mondo intero. Non ci si oppone all'imperialismo appoggiando dittatori che massacrano il loro popolo in rivolta. Questo può solo rafforzare l'imperialismo. Compito fondamentale del movimento rivoluzionario a livello internazionale è difendere queste rivoluzioni e opporsi all'imperialismo appoggiando loro, non i dittatori.

Noi siamo dalla parte del popolo libico e delle rivoluzioni arabe in corso. Dobbiamo esprimere la nostra solidarietà incondizionata, per i diritti civili, sociali e democratici che stanno emergendo in questa rivoluzione. Una delle priorità consiste nel fornire tutti gli aiuti alla popolazione libica – gli aiuti medici in arrivo da Egitto o Tunisia, gli aiuti alimentari necessari – chiedendo la cancellazione di tutti i accordi commerciali con la Libia e la sospensione della vendita delle armi. Dobbiamo prevenire il massacro del popolo libico.

Solidarietà con le rivoluzioni arabe!
Appoggiamo il popolo libico!
No all'intervento imperialista!
Giù le mani dalla Libia!

Bureau della Iv Internazionale

venerdì 4 marzo 2011

E’ TEMPO DI UNA LISTA DI CLASSE ALTERNATIVA


La nostra città è stata attraversata nei mesi scorsi da uno scontro politico e sociale di grande rilevanza: da una parte i lavoratori e le lavoratrici della Fiat, con il sostegno di tanti altri lavoratori e della parte migliore e solidale della città, a difesa dei loro diritti e delle loro condizioni di lavoro; dall’altra la direzione della Fiat e le forze confindustriali che propongono un modello sociale e produttivo di massimo sfruttamento della forza lavoro; un modello e che vogliono esportare rapidamente in tutte le aziende e in tutti i comparti produttivi e dei servizi.



In questo contesto le prossime elezioni comunali a Torino hanno acquisito una dimensione non solo politico istituzionale, ma un valore politico-sociale. E’assolutamente necessario che in questo scontro sia presente uno schieramento di classe con un programma alternativo a Marchionne cioè al centro destra e al centrosinistra che unanimemente lo sostengono.

Bisogna far valere i bisogni e le aspettative della classe lavoratrice che, da sempre, in questa città, è stata il presidio della democrazia e dell’avanzamento sociale.



La vittoria di Fassino nelle primarie del centrosinistra conferma semplicemente questa necessità. Fassino ha sostenuto fin dall’inizio il progetto della Fiat e gode dell’aperto sostegno dei poteri bancari ed economici nella nostra città, che vedono nella continuità di gestione istituzionale del centro sinistra - che da tempo ha sposato le politiche neoliberiste oggi dominanti - la più efficace e tranquilla difesa dei loro interessi.

Non è certo per questa strada che si combatte la destra reazionaria e xenofoba del Pdl e della Lega e la loro influenza su alcuni settori popolari, ma solo attraverso una capacità di iniziativa sociale e di lotta contro le scelte economiche e sociali capitalistiche.



Sinistra Critica ha discusso in queste settimane con le forze politiche della sinistra e le forze sociali di alternativa per dare vita a una ampia e partecipata coalizione che fosse espressione delle lotte delle lavoratrici e dei lavoratori, dei precari, delle studentesse e degli studenti, del mondo ambientalista, di tutti coloro che lottano per difendere il territorio dalle devastazioni ambientali.



Occorre che la sinistra stringa subito i tempi, definisca un programma e la/il candidata/o a sindacato alternativo a Fassino e all’esponente del centro destra, iniziando una vasta attività verso la città, dimostrando che sa camminare con le proprie gambe, dimostrando con i fatti, non a parole, di essere una reale forza di alternativa.



Sinistra Critica non sarà disponibile a nuovi indugi o ritardi e garantisce in ogni caso una lista e un/a candidato/a che possa esprimere la battaglia sociale in atto per la difesa dei diritti del lavoro, dei beni comuni, dell’ambiente, contro ogni forma di razzismo e xenofobia.



SINISTRA CRITICA TORINO



Torino 1 marzo 2011