giovedì 29 aprile 2010

Grecia, speculazione e rating


Cronache dalla crisi
La Grecia fa il capro espiatorio eppure il suo bilancio, e il suo debito, è tra i più piccoli d'Europa. Eppure è stata mollata per settimane favorendo la speculazione. Che arricchisce le banche tedesche e francesi. Il ruolo, truffaldino, delle agenzie di rating e i rischio per l'intera Ue


Salvatore Cannavò
La Grecia sembra essere messa al bando d'Europa. Il paese è additato come nemico della stabilità finanziaria, sull'orlo della bancarotta, spesso bugiardo e responsbile di aver truccato i conti. C'è ovviamente del vero in alcune di queste affermazioni. Ma c'è anche la sensazione che la vicenda sia esplosa non solo per ragioni tecniche e strutturali - il deficit greco venuto fuori all'improvviso -ma anche per il peso della speculazione internazionale.
E' vero che la Grecia ha imbrogliato i suoi conti e, ad esempio, grazie a meccanismi finanziari come gli swap ha ridotto di oltre 2 miliardi di euro il proprio debito pubblico per entrare così nella zona euro. Ma la Grecia non è sola, e altri paesi della zona euro hanno spregiudicatamente manipolato i conti. Nel 1996 l'Italia ha ridotto artificialmente il suo deficit grazie a uno swap con la banca J.P.Morgan, mentre la Francia ha lanciato vari prestiti, inserendo in bilancio il rimborso degl'interessi alla fine dei 14 anni di durata. Nel 2004, Goldman Sachs e Deutsche Bank hanno realizzato per conto della Germania una costruzione finanziaria (Aries Vermoegensverwaltungs), grazie alla quale il paese ha raccolto prestiti a un tasso nettamente superiore a quelli di mercato evitando di far apparire il debito nei conti pubblici (dati questi tratti dal settimanale della Confindustria francese Expansion).
Il rapporto debito pubblico/Pil della Grecia è del 115%, ma quello dell'Italia è già al 116% (per ora) e anche se il rapporto deficit/Pil di Atene è schizzato al 15% è anche vero che la media dei paesi più avanzati (Usa compresi) è intorno al 9%. Il Pil della Grecia, inoltre, è di circa 250 miliardi di euro, solo il 2% di quello dell'Unione europea: può una realtà così piccola mettere tutto in pericolo?
E poi, cosa ha fatto la Commissione europea in questi anni, perché non si è accorta di nulla? E la stessa Germania, solo ora ha deciso di dedicarsi al debito greco? Eppure i segnali non mancavano: bastava, ad esempio, guardare al moltiplicarsi dei costi e alle spese pazze fatte per i Giochi olimpici per verificare le anomalie. La Commissione non poteva ignorare la situazione reale, ma in effetti non ha voluto denunciarla;. La Grecia è utile a quel nocciolo franco-tedesco le cui banche possiedono l'80% del debito greco.

Ma un ruolo nevralgico lo giocano le agenzie di rating. Non dimentichiamo che sono state queste a fornire la tripla A a società finanziarie imbottite di mutui subprime e nonostante la crisi globale fanno il bello e il cattivo tempo sui mercati internazionali. Sono loro ad aver abbassato la valutazione sui titoli greci così come ora fanno con quelli spagnoli. Proprio in questo momento? Non è una scelta dei tempi del tutto imbarazzante, come notava ieri il Corriere della Sera? E allora il sospetto che tutto ciò serva alla speculazione si fa molto più corposo.
Del resto, la decisione di Angela Merkel di concedere gli aiuti alla Grecia se fosse stata presa con risoluzione qualche settimana fa avrebbe comportato un costo assai più ridotto per le casse di quello Stato e dell'Europa intera. Si calcola che dai 45 miliardi di aiuti complessivi ipotizzati a febbraio le necessità ora saliranno a 100-120 miliardi. Costo che ovviamente finirà per aumentare considerevolmente i profitti degli investitori in titoli pubblici greci, cioè le banche o gli hedge fund.
Le agenzie di valutazione fanno così il loro gioco. Il segretario del più grande sindacato francese, la Cgt, ha definito questi istituti alla stregua di «milizie private». La loro origine data dal 1975, quando la Sec statunitense volle introdurre organismi al di sopra delle imprese e degli Stati in grado di emettere certificati di garanzia sui loro bilanci. Delle sette iniziali oggi ne sono rimaste fondamentalmente tre: Standar&Poor's, Moodys e Fitch. Sono tutte agenzie private che quindi non rispondono a nessuno. Seconda la giurisprudenza statunitense, infatti, le loro valutazioni sono considerate solo delle libere opinioni che gli investitori possono più o meno seguire. E infatti non hanno mai pagato per i loro "errori": su Enron i giudizi favorevoli furono mutati solo 5 giorni prima del crack; sui subprime è bene stendere un velo pietoso visto che le triple A sono state assegnate a titoli che in due anni hanno perduto il 97% del loro valore. Senza poi contare gli scandali. E' stato l'economista Paul Krugman a denunciare gli scambi di mail interne a Standard & Poor's in cui si discuteva dei rating da assegnare in virtù delle commesse eo dei guadagni che la società ne avrebbe potuto ottenere.
Lo schema, del resto, è sotto gli occhi di tutti. Quando le agenzie di rating riducono le loro valutazioni la speculazione internazionale trova conferma ai propri comportamenti e prosegue su quella strada. Lo abbiamo già visto nel 1992 nel caso della Lira e della Sterlina e oggi lo vediamo nel caso della Grecia e, da domani, in quello della Spagna. I tassi di interesse sui titoli di quei paesi schizzano in alto e gli investitori guadagneranno moltissimo; i prezzi dei titoli si detereriorano e chi ha scomesso al ribasso guadagna ancora di più.
Ma al di là della speculazione occorre capire meglio se non sia in atto una partita ancora più grande che riguarda l'euro e il suo rapporto con il dollaro. La crisi greca ha portato la moneta europea al limite di 1,30 sul dollaro, una quotazione tra le più basse degli ultimi anni. L'indebolimento non potrà che continuare in presenza di difficoltà per la Spagna e il Portogallo. E in questa situazione l'Ue ha dimostrato di non sapere e di non avere gli strumenti per reagire. Una fase si è chiusa anche per l'Europa e non è detto che quella che si apre sia migliore.

martedì 27 aprile 2010

Referendum acqua, 100mila firme in 48 ore


Una partenza straordinaria quella della raccolta firme per i referendum per l’acqua pubblica. Più che raddoppiato l’obiettivo che il Comitato promotore si era dato alla vigilia del lancio.


Comitato promotore referendum
Una partenza straordinaria quella della raccolta firme per i referendum per l’acqua pubblica. Più che raddoppiato l’obiettivo che il Comitato promotore si era dato alla vigilia del lancio. Sono infatti oltre centomila le firme raccolte nel fine settimana della Liberazione in centinaia di piazze italiane.
Una mobilitazione impressionante che ha visto lunghe file ai banchetti di tutte le città e dei paesi. Un folla consapevole e determinata, che in alcuni casi ha fatto anche diversi chilometri per trovare il banchetto più vicino a casa (l'elenco dei banchetti è qui).

Oltre 12mila firme in un solo giorno in Puglia, 10mila a Roma, 4mila firme a Torino città, 3500 a Bologna, 2500 a Milano. Dati impressionanti dalle piccole città: 4200 firme a Savona e provincia, 2mila firma a Latina e Modena, oltre 1500 ad Arezzo e Reggio Emilia. Dati sorprendenti sui paesi 1300 firma ad Altamura, 850 a Lamezia Terme.

Molti sindaci e amministratori hanno firmato in piazza, tra cui i sindaci di Ravenna ed Arezzo (entrambi Pd). In Molise Monsignor Giancarlo Bregantini (Arcivescovo metropolita di Campobasso) ha firmato in rappresentanza dei 4 vescovi delle Diocesi della Provincia.

Il comitato promotore esprime tutta la sua soddisfazione per il successo delle iniziative. Siamo di fronte ad un vero e proprio risveglio civile, un risveglio che parte da associazioni e da cittadini liberi, un risveglio che parte dall’acqua.

lunedì 26 aprile 2010

Contro la crisi, unire le lotte, rafforzare l'autorganizzazione, costruire una nuova sinistra


COORDINAMENTO NAZIONALE DI SINISTRA CRITICA
DOCUMENTO CONCLUSIVO
17/18 APRILE 2010



Il Coordinamento nazionale di Sinistra Critica, riunitosi a Roma il 18 aprile 2010, approva la relazione introduttiva al meeting nazionale di Sinistra Critica del 17 aprile.
Un meeting di cui va sottolineata la riuscita con circa 250 partecipanti e un numero qualificato di interventi espressi da realtà di movimento e di lotta.
Un meeting che è riuscito a offrire un profilo importante di Sinistra Critica, progetto e soggetto politico che oggi offre spazio e dialoga con le varie forme di radicalizzazione sociale. Un profilo evidente già nel pomeriggio di sabato, con una partecipazione numerosa alla piazza di Emergency a San Giovanni.
Anche per questo proponiamo di replicare a livello locale la forma del meeting, con la presenza di realtà di lotta e con la presentazione pubblica della campagna nazionale "Le nostre vite valgono più dei loro profitti".

Una campagna che oggi ha l'occasione di rafforzare la nostra iniziativa contro la crisi e la sua gestione da parte delle destre, una gestione mirata a smantellare conquiste storiche del movimento operaio come dimostra il Ddl al collegato Lavoro e lo Statuto dei lavori proposto dal ministro Sacconi. Su questo costruiremo una particolare attenzione e mobilitazione già nei prossimi giorni.

La campagna ha oggi l'occasione di intrecciarsi con importanti scadenze di movimento la più importante delle quali, a cui decidiamo di conferire particolare centralità, è il Referendum per l'Acqua pubblica.
Sinistra Critica parteciperà e sosterrà i lavori del Comitato promotore, con la massima lealtà. Allo stesso tempo decide di realizzare anche una propria campagna, con volantone nazionale, di raccolta firme nell'ambito delle "nostre vite valgono più dei loro profitti".

Un'altra scadenza a cui partecipare, nelle forme di movimento adeguate, è la MayDay di Milano del 1 maggio, passaggio utile per un'iniziativa diffusa sui temi della crisi, la precarietà e il lavoro: Sinistra Critica lavorerà perchè questa iniziativa possa collegarsi alla Marcia europea contro la precarietà e la disoccupazione il prossimo 17 ottobre a Bruxelles.

Il coordinamento, nel suo dibattito, ha messo al centro della prossima fase politica, in piena continuità con l'esito del nostro congresso nazionale, il rilancio e la costruzione di Sinistra Critica, le sue strutture, le sue sedi di discussione, i suoi strumenti a partire dall'autofinanziamento che diventa una priorità evidente, il consolidamento programmatico. Sinistra Critica non rinuncia al progetto di fondo di una nuova sinistra anticapitalista ma è consapevole che oggi, questo progetto, passa in primo luogo per la strutturazione di una Sinistra Critica più forte, più coesa, più capace di iniziativa politica.

Strumento importante di questa impostazione sarà il nostro Seminario annuale di settembre che quest'anno vogliamo potenziare significativamente sia in termini di durata che di programma. In questo senso il Coordinamento nazionale gli dedicherà una sessione speciale entro giugno.

Anche il Campo Anticapitalista dei, delle giovani che si terrà dal 24 al 30 luglio a Perugia costituisce un'ottima occasione di rafforzamento di Sinistra Critica e di rilancio del suo profilo politico. Chiediamo a tutta l'organizzazione di partecipare all'iniziativa che avrà, accanto al programma tradizionale pensato dai, dalle giovani, anche una sezione dedicata al nuovo internazionalismo.

L'attacco delle destre è un attacco a tutto campo, utilizza la crisi per far marciare progetti autoritari e di massacro sociale nell'ottica del ristabilimento dei profitti. In questo contesto "Contro la crisi, unire le lotte" resta un orientamento di fondo e qualsiasi strumento unitario in grado di organizzare una resistenza sociale andrà valorizzato. Allo stesso tempo lavoriamo alla costruzione di un'organizzazione che punti al suo consolidamento programmatico - con un'attività specifica e dedicata del Centro studi - e alla razionalizzazione del suo intervento sociale con progetti mirati di radicamento. Sinistra Critica, oggi, è questa organizzazione.

Sinistra Critica - Organizzazione per la Sinistra Anticapitalista

sabato 24 aprile 2010

I ricatti di Marchionne e Elkann


Il nuovo piano di sviluppo della Fiat magnificato da giornali e televisioni ha in realtà un programma molto chiaro: "lacrime e sangue". Il progetto di Marchionne e del "Giovin signore" Elkann riguarda ancora il futuro complessivo del mondo del lavoro in Italia che prova a resistere alla crisi.


Franco Turigliatto
“Lacrime e sangue” è questo il programma che lo sportivo ed ammirato amministratore generale Marchionne e il moderno “giovin signore” presidente della Fiat, Elkan hanno prospettato per il futuro dei lavoratori, vergognosamente coperti e sostenuti dai media di ogni colore che non hanno avuto paura del ridicolo nella loro attività incensatoria.
Al di là degli ipotetici piani di sviluppo del futuro, totalmente dipendenti dall’evoluzione della crisi economica del sistema capitalistico, i due capi della Fiat hanno detto cose fin troppo chiare:
1) nel prossimo periodo ci sarà una flessione fortissima del mercato e quindi si farà ricorso massiccio alla cassa integrazione (almeno per un anno e mezzo) e si procederà alla chiusura di Termini Imerese; naturalmente questa situazione produrrà non solo gli esuberi dello stabilimento siciliano, ma molti altri esuberi in altri stabilimenti.
2) se il mercato mondiale riprenderà a tirare tra due anni, la Fiat ha pronto un grande piano di sviluppo, compreso una forte ripresa di produzione in Italia, quello magnificato da giornali e televisioni.
3) questo piano, per altro ipotetico viste le turbolenze dell’economia, verrà attuato solo se i lavoratori accetteranno di lavorare alle condizioni dei loro compagni di altri paesi dove i diritti del lavoro valgono poco o niente, cioè se rinunceranno agli accordi di tutela, alle pause e ai riposi e se accetteranno la fatica immonda dei 18 turni settimanali, cioè se accetteranno di farsi sfruttare come e quando vogliono i padroni. Meno lavoratori, maggiore produttività e maggiore produzione.
4) nel caso in cui i sindacati e i lavoratori non volessero dimostrare entusiasmo per questa generosa offerta/ricatto dei padroni delle ferriere in guanti bianchi, Marchionne ha pronto il piano B, cioè lo spostamento delle produzioni in altre parti del mondo dove ci sono tanti disoccupati desiderosi di produrre più facili profitti agli azionisti della Fiat.
Naturalmente dopo due anni di cassa integrazione, con stipendi che scendono sotto i mille euro al mese, Marchionne e Elkan sono abbastanza convinti che anche i sindacati e i lavoratori più combattivi saranno abbastanza ammorbiditi, pronti allo scambio: lavoro contro diritti elementari.
Come avviene nell’economia monetaria dove la moneta cattiva, quella che vale poco, scaccia quella buona, così il lavoro cattivo deve scacciare il lavoro buono, quello tutelato da diritti.
5) i padroni della Fiat hanno preso la decisione definitiva di scorporare il settore auto dal resto delle attività produttive, da una parte l’auto dall’altra la Fiat industriale. Lo scopo naturalmente è quello di poter valorizzare maggiormente i capitali investiti nei due settori, di poter integrare pienamente la Fiat nella Chrysler, cioè di disporre di una multinazionale dell’auto maggiormente competitiva, che significa una Fiat sempre più fuori da Torino e dall’Italia, un colosso i cui dirigenti guardano la cartina del mondo e spostano le pedine da una parte e dall’altra, cioè il futuro di uomini e donne per realizzare più alti profitti. Vale la pena di ricordare che questa nuova creatura è frutto della fatica dei lavoratori, dei tanti soldi dati dallo stato italiano alla Fiat, ma anche dei miliardi di dollari dello stato americano per il salvataggio della Chrysler, affidata a Marchionne senza che la Fiat tirasse fuori un soldo.

La situazione per il movimento dei lavoratori non è facile anche perché parte dei sindacati è passata armi e bagagli dalla parte dei padroni, la demoralizzazione e la rassegnazione coinvolge numerosi settori di lavoratori, e complessivamente i rapporti di forza si sono fortemente deteriorati negli ultimi anni.
Tuttavia deve essere chiaro, che pur non avendo più questa azienda la dimensione di 30 anni fa, quello che succederà alla Fiat riguarda tutto il movimento dei lavoratori, le dinamiche delle organizzazioni sindacali ed avrà incidenza sugli stessi livelli di democrazia nel nostro paese, per non parlare del futuro di una città come Torino, così come è già oggi per Termini Imerese.
In primo luogo bisogna riaffermare un diritto democratico elementare: che il futuro e il destino, la vita stessa di migliaia di persone non possono essere decisi da due individui e da ristretti consigli di amministrazione dei potenti in nome dei loro profitti e delle loro rendite. Certo questa è la realtà del capitalismo, ma proprio per questo non può essere accettata.
Proprio per questo fin da quando è scoppiata la crisi abbiamo affermato con forza che il futuro delle lavoratrici dei lavoratori, le nostre vite, valgono più dei loro profitti.
La prima condizione per resistere è impedire che un settore di lavoratori sia contrapposto a un altro, che gli stabilimenti siano messi in concorrenza per fare la migliore offerta (per i padroni) per “tenere” il lavoro.
Questo discorso vale per gli stabilimenti in Italia, ma deve valere per tutti gli altri stabilimenti del gruppo Fiat, a partire dall’Europa. È molto negativo che mentre la crisi dell’auto ormai dura da tantissimi mesi, le organizzazioni sindacali del settore o per lo meno della stessa multinazionale non abbiano trovato forza e volontà per cercare una strada comune, ma abbiano continuato a ragionare “speriamo che me la cavo”. Per questa via si finisce solo per essere affettati fetta dopo fetta come un salame.
Non c’è dubbio che il settore dell’auto è saturo e che è impossibile continuare a produrre 90 milioni di macchine nel mondo all’anno quando se ne vendono al massimo 60.
Le scelte sono solo due: o passa la politica padronale di ridurre numero di stabilimenti e operai, aumentando la produttività e garantendosi i profitti; o si riesce a creare un rapporto di forza in Italia, ma forse è necessario crearlo a livello europeo, anche se è difficile, per imporre una ripartizione del lavoro esistente tra tutti, una riduzione dell’orario a parità di salario e quindi anche ritmi di lavoro più umani, meno profitti per i padroni, lavoro per tutti.
Le difficoltà sono immense, ma ogni altra strada che non si ponga questo obbiettivo e questo problema, rischia di perdere i pezzi per strada e consegnarsi, nel migliore dei casi all’elemosina dello stato con gli ammortizzatori sociali, per altro sempre pagati con le tasse e i contributi di tutti i lavoratori, dentro una sconfitta complessiva.
Per questo serve oggi rispondere alle provocazioni della Fiat con una vasta campagna di informazione della posta in gioco, della denuncia del vergognoso ricatto, sulla paziente, ma urgente costruzione di una risposta che coinvolga le lavoratrici e i lavoratori di tutto il settore auto, ma che possa congiungersi con un processo di unificazione delle tante lotte in corso per difendere l’occupazione e il salario.
Per far questo è importante che i lavoratori sappiano tornare protagonisti, che non si arrendano, che costruiscano fabbrica per fabbrica gli strumenti sindacali e organizzativi per reggere la sfida. È importante che i sindacati che non hanno accettato di diventare complici del padronato e che si pongono il compito di restare sindacati, cioè organizzazioni di lavoratori per i lavoratori, contro l’involuzione corporativa, agiscano insieme, trovino gli strumenti di unità; è questa è la strada per cui un maggior numero di lavoratori può diventare consapevole che bisogna dire no a Marchionne e Elkan, che si può provare a imporre i diritti del lavoro, impedire che altri determino il futuro della loro vita.

giovedì 15 aprile 2010

17 aprile: MEETING NAZIONALE DI SINISTRA CRITICA



SABATO 17 APRILE MANIFESTAZIONE DI EMERGENCY ALLE ORE 15 IN PIAZZA NAVONA.
IL MEETING NAZIONALE DI SINISTRA CRITICA E' ANTICIPATO ALLE 10 DEL MATTINO (Auditorium di via Rieti,Roma) PER PARTECIPARE ALLA MANIFESTAZIONE DEL POMERIGGIO

Contro la crisi per costruire una prospettiva anticapitalista. E' il senso della nostra assemblea-convegno che si terrà a Roma il 17 aprile - dalle ore 10 - !orario modificato! - al Centro Congressi di via Rieti - e che costituirà un'occasione di confronto e di discussione, dentro e fuori Sinistra Critica, dopo le elezioni. Elezioni che non offrono grandi novità ai fini di un'ipotesi anticapitalista. Il grande tema della crisi è infatti del tutto assente dalla campagna elettorale e le stesse forze della sinistra istituzionale, nella scelta di rimanere agganciati al carro del centrosinistra, ai suoi candidati e, quindi, ai suoi temi ha perso l'ennesima occasione per presentare un progetto politico alternativo. Le elezioni contribuiranno a chiarire gli scenari, certamente non modificheranno un dato di fondo: la crisi continua a essere dura, attacca il mondo del lavoro, precarizza le nostre esistenze, rafforza il razzismo e la xenofobia, distrugge l'ambiente.
Per questo ci vediamo a Roma il 17 aprile: per costruire una riflessione unitaria attorno alla crisi a partire dalle differenti vertenze e dai diversi ambiti in cui ognuno, ognuna di noi vive e opera. E per cercare di ribadire il concetto che "contro la crisi occorre unire le lotte": per questo all'assemblea parleranno i lavoratori che si mobilitano, le vertenze territoriali, studentesche, per i diritti civili. E un particolare spazio avrà l'avvio del Referendum contro la privatizzazione dell'acqua.
Un momento di confronto e di riflessione anche per progettare il futuro della sinistra anticapitalista e rilanciare la proposta di uno "Spazio comune", che mobiliti energie politiche, sociali, associative, sindacali, individuali oggi prive di un punto di riferimento credibile. Uno spazio comune plurale ma coerente, determinato a non far morire nel nostro paese l'ipotesi di un altro mondo possibile e di una sinistra alternativa

Fiom, lo schiaffo di Epifani


Il segretario della Cgil chiude qualsiasi mediazione con il sindacato dei metalmeccanici e annuncia che la confederazione si siederà al tavolo negoziale con Cisl, Uil e Confindustria al termine del periodo di sperimentazione del nuovo modello contrattuale. Gelo in sala. E il congresso Fiom si chiuderà con due documenti contrapposti


L'intervento nella sala dove si tiene il congresso Fiom, è suonato nitido come uno schiaffo e infatti la sala ha reagito in larga parte con il gelo. Epifani, dopo aver ascoltato l'altro ieri, la relazione con cui Rinaldini, segretario dei metalmeccanici, diceva chiaro e tondo che la Fiom non aderirà al modello contrattuale di Cisl, Uil e Confindustria, ieri ha spiegato che invece La Cgil tornerà al tavolo della riforma contrattuale, al termine del triennio di sperimentazione del nuovo modello del 2009, perchè «l'obiettivo della Cgil e della Fiom deve essere riconquistare un modello contrattuale degno di questo nome». «Quello che ci distingue di più dalla Fiom - ha spiegato Epifani - è la contrattazione. Rinaldini ha detto che il sindacato deve essere il sindacato del conflitto e della democrazia, io dico che dobbiamo essere il sindacato della contrattazione, della democrazia e del conflitto perchè senza la contrattazione l'identità di un sindacato si smarrisce».
I delegati lo ascoltano in silenzio: qui gli epifaniani hanno avuto "solo" il 27% dei voti beneficiano di una gestione regolare del congresso, senza "seggi volanti" - nuovo ossimoro coniato per questo congresso un po' particolare. Del resto, ieri, quando Gianni Rinaldini aveva detto, alzando un po' la voce, che «concertazione e politica dei redditi fanno parte del passato», e che la Fiom si sarebbe opposta a «un rientro silenzioso nel sistema contrattuale» la sala era scattata in un applauso lungo e convinto.
Ma Epifani non ha tentannamenti. Del resto l'83% ottenuto dalla sua mozione gli dà la forza per cercare di piegare la Fiom. Epifani spiega che «di fronte all'accordo separato bisogna fare di tutto per riconquistare un modello condiviso dalla Cgil e dalla Fiom. Non si può mettere questo nell'orizzonte delle cose che potranno capitare o meno nei prossimi decenni, perchè il sindacato non può vivere senza contrattare e senza fare accordi. Nei prossimi due anni dobbiamo lavorare con questo obiettivo». E a Rinaldini risponde che questo non vuol dire «rientrare dalla finestra». «Non c'è dubbio - conclude Epifani - che torneremo al tavolo al termine della sperimentazione del nuovo modello contrattuale, anzi lo chiederemo noi. Non possiamo immaginare una stagione lunga in cui la Cgil e le sue categorie non vengano messe nelle condizioni di esercitare la loro responsabilità contrattuale».
«Lo avesse detto con tale chiarezza nei congressi di base - commenta Giorgio Cremaschi, esponente della segreteria nazionale e leader della sinistra di Rete28Aprile, nonché candidato alla segretaria generale della Fiom - il congresso tutto ne avrebbe giovato. Quella di Epifani è una linea di rientro, la nostra invece è una linea di lotta». Con il suo intervento, Epifani scava un solco con la Fiom che infatti si appresta a concludere il congresso con due documenti contrapposti: da un lato quello degli "epifaniani", dall'altro la maggioranza Rinaldini-Cremaschi che ora sembra molto più compatta e che ieri ha potuto ascoltare una relazione asciutta, rigorosa e seria del suo segretario uscente. Una relazione senza fronzoli fondata su una linea sintetizzata dallo stesso Rinaldini nel binomio: democrazia e conflitto.

mercoledì 14 aprile 2010

«Il sindacato è in crisi, serve vera autonomia»


Intervista al segretario nazionale della Fiom, Gianni Rinaldini che apre oggi a Montesilvano il congresso dei metalmeccanici: «La sinistra deve riflettere su decenni in cui non ha proposto nulla di alternativo al liberismo»


Salvatore Cannavò
(da Il Fatto quotidiano)
«Il sindacato è in crisi perché la nostra gente sta male e quindi il sindacato non può stare bene. Non possiamo cavarcela con palliativi o beandoci dell'aumento degli iscritti. Ricostruire sarà impegnativo e per lo meno dobbiamo partire dall'autonomia della Cgil e dalla centralità della democrazia». Gianni Rinaldini sta finendo di preparare la sua relazione al congresso nazionale della Fiom che inizia oggi a Montesilvano. E' segretario dei metalmeccanici da otto anni e - entro l'estate, precisa - lascerà l'incarico per limiti statutari. In questi anni ha combattuto, con la Fiom, una battaglia difficile, controcorrente, anche in Cgil al cui congresso ha partecipato con la mozione alternativa "La Cgil che vogliamo" che ha ottenuto il 17%.«Con le due mozioni abbiamo cercato di aprire un dibattito reale sul futuro di questa organizzazione nel momento di una grave crisi economica e sociale e in presenza di un accordo separato sul modello contrattuale che non ha precedenti nella storia repubblicana. La discussione però è stata solo parziale».

Giudizio negativo, dunque, sul dibattito congressuale e sul suo esito?
In realtà è prevalsa la tentazione di negare le differenze e di favorire una rappresentazione basata sullo scontro tra gruppi dirigenti. Certamente per noi non è stato positivo perdere la maggioranza nella Funzione pubblica e nella Fisac (ma non in Fiom, ndr) anche se va detto che sulla massa degli attivi, senza i pensionati, la mozione 2 ha il 24% dei consensi. C'è un grande problema di democrazia che emerge da questo congresso dove noi non abbiamo potuto presentare la nostra piattaforma in circa la metà dei congressi di base.

Ma com'è la Cgil che ha in mente Rinaldini e la Fiom?
Il punto di partenza è che la Cgil si deve riappropriare di autonomia negoziale e rivendicativa. Le compatibilità sono quelle decise dal sindacato non dalle controparti. La Cgil, invece, sembra propendere a una riduzione del danno quando invece l'attacco che colpisce i lavoratori è profondo e devastante.

Ma da dove arriva l'attacco, qual è l'insidia maggiore?
Innanzitutto la condizione di crisi che è tutt'altro che superata, e il governo la usa per allargare la precarietà e ridurre le tutele, vedi articolo 18. In queste condizioni l'autonomia è condizione imprescindibile per un progetto di riunificazione del lavoro a partire dalla lotta alla precarietà che è stata la prima vittima della crisi, come dimostrano le migliaia di contratti non rinnovati alla Fiat. Poi occorre rilanciare su politica industriale, raddoppio ed estensione degli ammortizzatori sociali e una politica fiscale che riduca le tasse al lavoro dipendente e le aumenti alla rendita. L'idea di Tremonti di tassare i consumi e non le persone è una trappola.

Ma come la metti con il clima sociale e politico. E' vero che gli iscritti Fiom votano Lega?
La questione va capovolta. Bisogna chiedersi invece perché un operaio che si iscrive alla Fiom poi non vota. E dunque bisognerebbe riflettere sull'isolamento del lavoro, la diffidenza rispetto alla politica quel refrain che dice "tanto sono tutti uguali". La sinistra, dal canto suo, deve riflettere su decenni in cui non ha proposto nulla di alternativo al liberismo. Per questo credo che bisogna tornare a interessarsi dei lavoratori, alla loro vita reale. Si fanno accordi e non si chiede il loro parere. C'è una torsione autoritaria che favorisce costituzionale. Per questo noi poniamo l'accento sulla democrazia e lanciamo una Legge di iniziativa popolare per la validazione degli accordi mediante referendum.

Con questo congresso cambia qualcosa nel rapporto di contestazione o di pungolo che la Fiom ha svolto nei confronti della Cgil?
Noi abbiamo mantenuto una dialettica con la Confederazione specialmente negli anni di governo del centrosinistra. Non abbiamo intenzione di rientrare o di modificare la nostra impostazione.

Il congresso Cgil nella fase decisiva


Si apre a Montesilvano il congresso della Fiom diretta da Gianni Rinaldini. Un passaggio importante per capire come si snoderà il congresso nazionale della Cgil che si terrà agli inizi di maggio. Il futuro della seconda mozione, il prossimo segretario della Fiom e, soprattutto, il successore di Epifani


Salvatore Cannavò
Il congresso della Cgil entra in una fase delicata, quella dei congressi di categoria che si svolgono subito dopo i congressi regionali intercategoriali. Alcuni si sono già conclusi e i più importanti, quello della Fiom e della Funzione pubblica, le due categoria più "pesanti" politicamente, si svolgono da oggi, 14 aprile fino al 16 (il primo a Montesilvano in provincia di Pescara e il secondo a Sorrento).

Come si ricorderà il congresso della Cgil ha visto una mozione di minoranza che ha riunito la Fiom, la Rete28Aprile, di Giorgio Cremaschi e settori tradizionalmente schierati in maggioranza, come la Funzione pubblica di Carlo Podda o i bancari della Fisac. La mozione "La Cgil che vogliamo" ha ottenuto il 17% dei consensi nei congressi di base, un risultato giudicato molto al di sotto delle aspettative e che consegna a Epifani non solo un rotondo successo complessivo ma anche la "conquista" di due delle tre categorie "ribelli", la Funzione pubblica e la Fisac. Con oltre l'80% dei consensi, il segretario generale della Cgil può impostare un congresso nazionale in cui la partita più delicata è il recupero del rapporto con Cisl e Uil che evidentemente flirtano con il governo e soprattutto con Confindustria. Solo sabato scorso Raffaele Bonanni, segretario Cisl, ha avuto una vera e propria ovazione dall'assemblea di Confindustria riunita a Parma.

Il risultato non buono ha messo in tensione la minoranza congressuale che ha già tenuto lo scorso 20 marzo una sua prima assemblea nazionale in cui si sono confrontate, di fatto, due posizioni: quella più radicale, proposta da Giorgio Cremaschi, di costituirsi in vera e propria "Area programmatica", cioè componente interna alla Cgil con una propria struttura e disciplina interna; e quella più "moderata" e non del tutto esplicitata, di mantenere un blando coordinamento per recupare un rapporto con la maggioranza vittoriosa. In mezzo a queste due posizioni, il segretario della Fiom, Rinaldini, che non ha sciolto il proprio orientamento di fondo. Anche per questo, il congresso della Fiom che sta per aprirsi costituisce un test importante anche perché la Fiom è l'unica categoria a non aver firmato un contratto nazionale in accordo con Cisl e Uil.

Intanto alcuni congressi di categoria si sono già svolti e gli orientamenti congressuali si sono più o meno mantenuti anche se con alcune eccezioni. Al congresso dei chimici e in quello del Nidil (i precari) la mozione 2 ha mantenuto fermi i propri giudizi votando contro il documento finale proposto dalla maggioranza. Lo stesso non è accaduto al congresso della Filt (trasporti) dove invece la minoranza si è spaccata - così come si era spaccata nel congresso regionale della Cgil lombarda. Solo i delegati della Rete28Aprile, infatti, non hanno votato il documento finale proposto dalla maggioranza mentre il resto della mozione ha votato a favore. La spaccatura ha avuto anche una coda negativa con la discriminazione della Rete28Aprile che è stata penalizzata sia negli organismi che nella delegazione al congresso nazionale.

Per quanto riguarda le categorie che si sono schierate con la minoranza, la segreteria della Cgil ha già deciso di sostituire i segretari che non hanno vinto il congresso. Nella Funzione pubblica il nome che si appresta a sostituire Carlo Podda è stato già reso pubblico e si tratta dell'attuale segretaria nazionale, responsabile Enti Locali, Rosanna Dettori. Per la Fisac la soluzione trovata è di garanzia con l'elezione di Carlo Ghezzi, presidente della Commissione di garanzia incaricato di unificare la maggioranza uscita dal congresso - che pure ha diverse "anime", da quella "riformista" alla sinistra di Lavoro e Società - e si profila una soluzione di transizione.

Nella Fiom, la partita è invece interna alla mozione di minoranza. Dal congresso non uscirà un nuovo segretario in quanto si va alla riconferma di Rinaldini ma solo per un breve periodo in quanto il segretario della Fiom è a fine mandato (in Cgil, dopo otto anni si deve lasciare l'incarico). Rinaldini ha già di fatto candidato il suo "braccio" destro Landini ma anche Giorgio Cremaschi ha avanzato la propria candidatura per cercare di tenere il più possibile a sinistra la Federazione dei metalmeccanici. La partita si giocherà subito dopo la fine del congresso in quanto l'elezione del segretario è di competenza del Comitato centrale che sarà eletto al congresso.

Sullo sfondo resta poi la questione del nuovo segretario della Cgil. Epifani sarà rieletto al congresso ma anche lui si avvicina alla scadenza degli otto anni e dovrà lasciare a breve. Chi sarà il sostituto, o la sostituta - il nome che ricorre di più è quello di Susanna Camusso, presenza ormai frequente in televisione bersaniana, ma si parla anche di Carla Cantone, più aperta anche ad altre aree del centrosinistra - dipenderà da come si concluderà il congresso nazionale, dagli equilibri con le altre due organizzazioni sindacali e, in parte, anche dalle fibrillazioni interne al Pd. Il congresso della Cgil non è mai soltanto una questione sindacale.

lunedì 12 aprile 2010

Liberate la pace!


Sabato scorso militari afgani e dell’Isaf (coalizione militare della Nato che conduce l’operazione di guerra in Afghanistan e di cui fanno parte anche le Forze armate italiane) hanno arrestato 9 membri dello staff internazionale di Emergency nell’ospedale di Lashkar-gah, tra i quali gli italiani Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani.

Le pesantissime accuse (collaborazione con talebani e Al Qaeda) e le vicende che ne rappresentano il contorno – voci pilotate di ammissioni di colpevolezza e manifestazioni organizzate contro l’ospedale di Emergency che sarebbe “un pericolo per la sicurezza della regione” – confermano solamente che ancora una volta qualcuno cerca di colpire Emergency e il suo ruolo in Afghanistan, con l’obiettivo di screditarne la credibilità e indurla a lasciare il paese. Come sostiene giustamente Gino Strada “non vogliono testimoni” – che, aggiungiamo noi, possano raccontare al mondo la realtà della guerra della Nato, una guerra fatta di bombardamenti, morti civili, corruzione politica e violazione dei diritti della popolazione afghana, in un “gioco” speculare a quello dei fondamentalisti (siano essi talebani o gruppi alleati di Karzai e della Nato).

Ci preoccupano le parole del ministro Frattini e del sottosegretario Mantica (gli arresti devono “far riflettere Gino Strada e la sua organizzazione, che forse da umanitario fa un po' troppa politica”), perché mostrano la volontà politica del governo di coprire l’attacco a Emergency.

Noi stiamo con Emergency e chiediamo a quello che in questi anni è stato ed è il “popolo della pace” di mostrare in tutti i modi la sua solidarietà a questa organizzazione e di tornare a manifestare la sua opposizione alla guerra della Nato – chiedendo ancora una volta che siano rispettati i diritti di tutte/i i in Afghanistan: i diritti delle donne e delle forze progressiste, il diritto di chi opera davvero per la pace e la convivenza.


Esecutivo nazionale Sinistra Critica – organizzazione per la Sinistra anticapitalista

IO STO CON EMERGENCY


Quello che segue è l'appello che si può trovare sul sito dell'associazione di Gino Strada e che serve a testimoniare la massima vicinanza possibile da parte di chi non crede, come noi non crediamo, alla montatura che è stata allestita per screditare Gino Strada e il suo lavoro


Io sto con Emergency: quello che segue è l'appello che si può trovare sul sito dell'associazione di Gino Strada e che serve a testimoniare la massima vicinanza possibile da parte di chi non crede, come noi non crediamo, alla montatura che è stata allestita per screditare Gino Strada e il suo lavoro. Purtroppo l'attacco sembra essere concentrico: il govenro di Kabul dirama la notizia che i tre volontari arrestati hanno già "confessato" il loro coinvolgimento nelle operazioni guidate dai Talebani; il governo italiano fa da sponda e si limita ad "augurarsi di cuore" che gli italiani non c'entrino niente.
Dimostriamo a Strada, a Emergency, all'avamposto di pace rimasto in Afghanistan che non sono soli. E' l'unico modo per non permettere che Emergency, e tutti noi, venga sconfitta.

L'appello:
Sabato 10 aprile militari afgani e della coalizione internazionale hanno attaccato il Centro chirurgico di Emergency a Lashkar-gah e portato via membri dello staff nazionale e internazionale. Tra questi ci sono tre cittadini italiani: Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani.
Emergency è indipendente e neutrale. Dal 1999 a oggi EMERGENCY ha curato gratuitamente oltre 2.500.000 cittadini afgani e costruito tre ospedali, un centro di maternità e una rete di 28 posti di primo soccorso.
IO STO CON EMERGENCY

domenica 11 aprile 2010

Che mangino spazzatura: capitalismo e alimentazione


Intervista di Socialist Project a Rob Albritton*. [Estratti]

Let Them Eat Junk: How Capitalism Creates Hunger and Obesity [Che mangino spazzatura: come il capitalismo crea fame ed obesità] di Rob Albritton, ci offre un’analisi di cui c’è grande bisogno di «come la fissazione del capitale sul profitto ci ha portati in profondità dentro un sistema di produzione alimentare pericolosamente insostenibile, un sistema totalmente fallimentare rispetto alla giustizia distributiva e alla salute dell’ambiente». La sua analisi mostra come le «strutture profonde» del capitalismo gestiscono i sistemi agricolo ed alimentare in modi irrazionali.

Socialist Project: Lei ha scritto molti libri sulla teoria marxista e sull’economia politica: perché un libro sul cibo?

Rob Albritton: Dopo il mio ritiro dal Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di York, dove ho insegnato teoria politica ed economia politica per 36 anni, ho avuto più tempo per fare ricerca e studiare……e ho dedicato la maggior parte del tempo a scrivere questo libro sul sistema alimentare: un argomento che si è rivelato molto più ampio delle mie aspettative iniziali. Più approfondivo la materia, più scoprivo le numerose interconnessioni tra le nostre crisi ecologica, sociale e sanitaria, la crisi economica e il sistema alimentare globale.
Lo studio dell’impatto del capitalismo sul cibo e sull’agricoltura è una fonte particolarmente ricca per individuare le connessioni tra la lotta per il socialismo e la lotta per la sostenibilità ecologica……

SP: Molti libri e articoli pubblicati di recente offrono critiche del controllo delle multinazionali sul sistema alimentare. Che cosa possono attendersi i lettori di trovare nel suo libro che manca in altre critiche?

RA: Dopo 40 anni di studio del capitalismo credo che nessuna singola opera è più avanzata de Il Capitale per capire la sua logica e la sua dinamica interne. È stata la mia guida, più di ogni altro lavoro, nel mio obiettivo centrale di capire come il capitalismo ha strutturato il nostro sistema alimentare…..,.Questo libro è la critica più radicale scritta finora del sistema alimentare capitalista….perché mette in luce la connessione tra la crisi alimentare e le altre crisi del capitalismo avanzato, e illustra come l’indifferenza del capitale verso il valore d’uso è particolarmente distruttiva quando il capitalismo incorpora e mercifica il sistema alimentare.

SP: Quali sono le scoperte più interessanti e/o sorprendenti che ha fatto nelle ricerche e nello scrivere il libro?

RA: …Ne cito qualcuna. La prima, sono stato colpito dall’immenso potere dell’industria dello zucchero. Lo zucchero è uno dei componenti dell’alimentazione che costa meno, dà più dipendenza e più profitti. Come risultato ce n’è sempre di più nei nostri cibi elaborati, anche se è il primo sospetto nell’attuale epidemia mondiale di diabete… La seconda, sapevo in generale che [ci sono] fame e malnutrizione, non sapevo che circa metà della popolazione mondiale guadagna 2$ al giorno o meno, e che circa un miliardo di persone sono handicappate mentalmente a causa della malnutrizione. Infine, il nostro sistema alimentare diffonde veleni nell’ambiente; ha avuto la parte più importante nella deforestazione, nella diminuzione delle nostre riserve di acqua e nella degradazione dei suoli; dà un pesantissimo contributo al riscaldamento globale, e sta rapidamente esaurendo le rimanenti risorse di combustibili fossili. In breve, non solo mina la salute umana ma ci porta anche al disastro ecologico.

SP: Quali sono i temi principali che lei tratta? Quali i maggiori fallimenti associati ad un sistema agroalimentare controllato dalle «strutture profonde» del capitale?

RA: ………..I temi principali del libro sono il fallimento del sistema alimentare nel promuovere la salute umana, la salute dell’ambiente e la giustizia sociale, e la connessione tra la crisi alimentare e le miriadi di altre crisi caratteristiche del tardo capitalismo.
Il comportamento razionale sotto il capitalismo richiede che i capitalisti spostino continuamente la produzione dai beni e servizi che non danno profitto (e che con il tempo li porterebbero alla bancarotta) ai beni e servizi che danno profitto. Dato che la concorrenza li costringe a massimizzare il profitto a breve termine, è questo risultato quantitativo e non la qualità dei valori d’uso che diventa l’obiettivo preponderante. Ad esempio, se un capitalista sa che aggiungendo più zucchero ai cibi per bambini i profitti aumenteranno, sia perché lo zucchero è un ingrediente a costo molto basso sia perché i bambini mangeranno più cibi per bambini e da adulti mangeranno più zucchero, un capitalista razionale lo farà, malgrado i molti studi che dimostrano che un desiderio per lo zucchero che confina con la dipendenza si può stabilire molto presto nei bambini tramite una dieta di cibi ricchi di zucchero. Il capitalista non può permettersi di preoccuparsi per una intera vita di obesità con le malattie connesse che una tale dieta può determinare. In breve, per essere razionale, il capitalista deve concentrarsi sul profitto (quantità) e non sulla qualità di vita degli umani (o valori d’uso), a meno che quella qualità possa essere facilmente convertita in profitti. Ugualmente, se l’olio di palma dà profitto, e il modo più facile per espandere la sua produzione è tagliare le rimanenti foreste pluviali del Sud-Est asiatico, un capitalista razionale non esiterà a farlo. Infine, se i proprietari traggono profitto dal dare paghe basse a braccianti senza documenti, qualsiasi proprietario che non lo faccia perderà rispetto alla concorrenza. Sfortunatamente queste e molte altre tendenze distruttive sono fin troppo correnti.

SP: Come la crisi nel sistema alimentare si relaziona con le più ampie crisi economica ed ecologica dell’attuale fase del capitalismo neoliberista? Come si ripercuoteranno e saranno risentiti globalmente i suoi impatti?

RA: La crisi alimentare nutre le altre crisi che a loro volta la nutrono. Il sistema alimentare americano è talmente dipendente dai combustibili fossili che è stato stimato che se tutto il mondo adottasse il sistema USA, tutte le riserve conosciute di combustibili fossili verrebbero esaurite in sette anni. In effetti, con circa un terzo del totale, il sistema alimentare contribuisce più di ogni altro settore dell’economia al riscaldamento globale. A sua volta il riscaldamento globale ridurrà il rendimento dei raccolti a causa delle temperature più elevate e dei fenomeni estremi. Inoltre, per citare solo due delle molte cause di inquinamento: il massiccio uso di prodotti petrolchimici in agricoltura, combinato con l’inquinamento delle masse di acqua fresca da parte degli allevamenti di animali al chiuso rende il sistema alimentare capitalista uno dei principali responsabili dell’avvelenamento dell’ambiente, che sta raggiungendo livelli preoccupanti.
Infine, data la dipendenza del sistema alimentare dal petrolio, il prezzo dei prodotti alimentari aumenterà con il prezzo del petrolio, e l’uso di terreni agricoli per la produzione di etanolo spingerà i prezzi ancora più in alto. Anche la diminuzione dei raccolti dovuta al riscaldamento globale e ai fenomeni estremi farà aumentare i prezzi dei prodotti alimentari. In assenza di un’ azione immediata, questi aumenti dei prezzi diventeranno presto disastrosi per il 40 per cento della popolazione mondiale che vive con 2$ o meno al giorno.


SP: La sua risposta riguarda come il capitalismo crea la fame. Può spiegare come nello stesso tempo produce l’obesità?

RA: I produttori di cibo spazzatura, che si approfittano della facilità con la quale le persone diventano semidipendenti dallo zucchero, dai grassi e dal sale, forniscono ai consumatori una grande quantità di calorie ma scarse sostanze nutritive. Dipendenti dal cibo spazzatura e mancando del reddito per permettersi cibi più nutrienti, le persone consumano troppe calorie e insufficienti sostanze nutritive. Questa è una ricetta per l’obesità, un sistema immunitario indebolito e infine malattie e morte. Un rapporto pubblicato dalla American Medical Association sostiene che se l’attuale pratica continua, un terzo dei bambini americani nati nel 2000 contrarrà il diabete. Ancora più gravi di quella che molti hanno chiamato la «pandemia dell’obesità», sono la fame e la malnutrizione sofferte da oltre un miliardo di persone nel mondo. È stato calcolato che ogni mezz’ora una media di 360 bambini di meno di cinque anni muore di fame o di malattie causate dalla fame.

……………………………………………………..

SP: Lei descrive l’attuale fase del capitalismo in termini di «economia capitalista di comando». Può spiegare brevemente che cosa significa e come inquadra i problemi che lei pone nel capitolo conclusivo del suo libro su «la lotta per la democrazia, la giustizia sociale, la salute e la sostenibilità»?

RA: L’industria alimentare esalta sempre la straordinaria scelta che offre ai moderni consumatori, ma è un’illusione. Primo, perché la maggior parte delle persone nel mondo sono troppo povere per comprare altro che i cibi a prezzo più basso. Secondo, quelli che hanno il denaro si trovano di fronte una enorme sfilza di cibi elaborati che sono in larga misura rielaborazioni di soia, granoturco, grassi, zucchero e sale. Chi è allergico alla soia GM dovrà evitare la maggior parte dei cibi elaborati, poiché moltissimi di questi contengono soia e sottoprodotti della soia e non c’è obbligo di etichettatura per gli OGM. Terzo, l’indottrinamento alimentare è talmente diffuso e potente che molte scelte alimentari sono già pesantemente condizionate dal sistema alimentare avvelenato e dalle sue potenti tecniche di mercato. Quarto, quasi tutti i cibi in un tipico supermercato sono prodotti da poche colossali multinazionali (ad es. Nestlé e Kraft).

Durante la «guerra fredda», gli economisti occidentali spesso mettevano in contrasto le «economie di comando totalitarie», caratteristiche del blocco comunista, con le «economie del libero mercato», caratteristiche del blocco capitalista. Oggi, l’economia capitalista mondiale dovrebbe essere definita come una «economie di comando delle grandi imprese», poiché le grandi imprese gestite da piccole élite hanno un immenso potere incontrollato per determinare il futuro dell’umanità. Oggi i mercati sono in gran parte strumenti di pianificazione utilizzati dalle grandi imprese per creare sia l’offerta che la domanda. Si fanno grandi profitti, mentre i costi sociali ancora più grandi (esternalità non comprese nei prezzi di mercato) dovranno essere pagati dai contribuenti e dalle future generazioni.

In realtà i mercati non hanno mai funzionato come sono dipinti dall’ideale di ottimalità che molti economisti hanno ipotizzato, ma attualmente questo ideale è talmente radicato che può ancora essere usato per giustificare i «liberi mercati», quando in realtà vediamo le grandi imprese usare sempre più i mercati come strumenti di pianificazione per massimizzare i loro profitti a breve termine mentre creano pesantissimi costi a lungo termine per la società. Tali costi possono essere visti come debiti che le future generazioni dovranno pagare. Che si tratti di debiti economici, ecologici o sanitari.

Dobbiamo ribaltare questo stato di cose, e dobbiamo farlo presto. Ciò richiede di liberare le nostre menti dal mito del libero mercato, cosicché possiamo cominciare ad usare consapevolmente i mercati come meccanismi di pianificazione democratica per promuovere il benessere umano e ambientale.

Oltre a democratizzare i mercati dobbiamo anche democratizzare le grandi imprese e i governi. Democratizzare le grandi imprese significa rendere trasparenti i loro processi decisionali in modo da renderle controllabili pubblicamente. Il primo passo per democratizzare i governi è trovare il modo di impedire che siano tenuti in ostaggio dalle grandi imprese.

Nelle attuali circostanze, è particolarmente importante democratizzare il mercato del lavoro. Ci saranno sempre bisogni sociali insoddisfatti, e perciò ci dovrebbero sempre essere lavori per soddisfare tali bisogni. I mercati del lavoro attuali sono strumenti estremamente inefficienti per mobilitare le energie umane in funzione del soddisfacimento dei bisogni umani. La tecnologia informatica potrebbe essere usata per trovare nuove vie per dare la priorità ai bisogni umani e per mobilitare l’intelligenza umana e la ricchezza materiale al fine del loro soddisfacimento. Chiunque voglia lavorare e sia in grado di farlo non dovrebbe mai essere disoccupato se non per acquisire le capacità necessarie a soddisfare bisogni particolari, e una tale educazione dovrebbe essere sovvenzionata.

Infine, e questo è forse il più difficile, dobbiamo trovare il modo di ridistribuire la ricchezza su scala mondiale al fine di fare progredire l’uguaglianza necessaria affinché la democrazia sia effettiva e la libertà abbia un senso. Democratizzare i mercati, le grandi imprese e i governi non è, a mio avviso, una «via di mezzo» che compromette la sua anima con il neoliberismo, ma è la miglior via in avanti a cui posso pensare, che offre una via d’uscita giusta ed umana dalla miriade di crisi che abbiamo di fronte.

* da http://www.socialistproject.ca/rela...

* Rob Albritton è Professore emerito dell’Università di York.

[da : Europe solidaire sans frontières]

sabato 10 aprile 2010

Acqua alta tra Di Pietro e movimenti


Dopo la protesta del "mail bombing" Di Pietro scrive al Forum per l'acqua pubblica e rivendica la sua linea: l'Idv raccoglierà le firme su un proprio quesito referendario spaccando così il movimento. Di Pietro accusa i quesiti del Forum di possibile incostituzionalità ma in realtà cerca visibilità. Incontra però l'opposizione di De Magistris e Sonia Alfano che chiedono uno stop, un incontro e una nuova unità


Salvatore Cannavò
Lo scontro tra il comitato promotore del referendum per l’acqua pubblica e l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro si fa problematico. Tanto che i due eurodeputati dipietristi, ma non pienamente allineati, come De Magistris e Sonia Alfano, sono dovuti intervenire per cercare di spingere per una mediazione.
I fatti sono un po’ ingarbugliati: la coalizione del Forum dei movimenti per l’acqua pubblica ha depositato tre quesiti referendari contro la privatizzazione dell’acqua. Il primo riguarda il famigerato articolo 15 della Legge Ronchi che impone di vendere a privati quote azionarie di proprietà degli enti locali in modo da scendere sotto il 50%, mentre il secondo punta alla soppressione della gara o della gestione attraverso Società per Azioni come unica modalità di affidamento del servizio idrico. L’abrogazione di questo articolo non consentirebbe più il ricorso né alla gara, né all’affidamento della gestione a società di capitali, favorendo il percorso verso l’obiettivo della ripubblicizzazione del servizio idrico, ovvero la sua gestione attraverso enti di diritto pubblico con la partecipazione dei cittadini e delle comunità locali. Il terzo quesito si propone di abrogare la norma che consente al gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7% a remunerazione del capitale investito, senza alcun collegamento a qualsiasi logica di reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio. Norme, le ultime due, che portano la firma del centrosinistra. Contemporaneamente, però, l’Italia dei Valori ha depositato un suo quesito che punta alla sola abrogazione dell’articolo 15 della Legge Ronchi realizzando di fatto una duplicazione della campagna referendaria. Inizialmente il movimento di Di Pietro si riconosceva nelle posizione del Comitato unitario ma dopo la richiesta di tenere fuori dal medesimo i partiti politici, l’Idv ha deciso di fare da solo, depositando il quesito.

Dal comitato promotore è dunque partita prima una lettera di protesta nei confronti dell’Idv e poi anche una “rumorosa” contestazione fatta di “mail bombing” in cui si definisce la scelta “gravissima” e si chiede un ripensamento.
Alla protesta del Forum dei movimenti ha risposto lo stesso Di Pietro con una lettera in cui conferma di fatto le accuse. Ricorda infatti che è stato il Comitato promotore “a non volere la presenza del partito tra i firmatari in Cassazione” e però ribadisce che l’Idv non si accinge a presentare un nuovo quesito “ma semplicemente a ridepositare in Cassazione in forma corretta il quesito referendario da noi già depositato l’anno scorso il 17 dicembre. Il deposito odierno - aggiunge Di Pietro – non è quindi una mancanza di riguardo nei Vostri confronti, ma semplicemente la prosecuzione di un’attività pubblica che Idv ha iniziato l’anno scorso”. Da dicembre, però, è avvenuto un fatto nuovo: si è creata una vasta coalizione di strutture capillari capace, lo scorso 20 marzo, di portare a Roma decine di migliaia di persone, di imporre un’iniziativa unitaria in cui è stato chiesto ai partiti di fare un piccolo passo indietro. Tutte le altre organizzazioni presenti nel Comitato – Federazione della Sinistra, Sinistra e Libertà, Sinistra Critica – hanno accettato mentre l’Idv ha deciso di procedere da sola. Di Pietro ventila poi il sospetto che nel caso dei quesiti del Forum “si corre il concreto rischio che la Corte Costituzionale possa dichiararlo inammissibile per sopravvenuto vuoto legislativo”. Dalle parti del Comitato promotore fanno però sapere di aver avuto la consulenza e il sostegno di giuristi come Rodotà, Ferrara e Lucarelli.

Dalla risposta di Di Pietro si evince che l’Idv andrà avanti: “Riteniamo aperto e prioritario mantenere il dialogo con Voi e, per questo, dichiariamo fin d’ora la nostra disponibilità a ospitare nei nostri banchetti di raccolta firme anche la modulistica riportante i vostri quesiti, invitando i cittadini a sottoscriverli”. Il problema invece rischia di essere molto più serio perché due campagne, due quesiti, due iniziative parallele possono contribuire a far fallire la stessa richiesta di referendum. Ecco perché il Forum ha immediatamente replicato a Di Pietro chiedendo di svolgere “in tempi urgenti un incontro tra il Comitato referendario e Italia dei Valori, in modo tale che si possa arrivare ad un chiarimento e, soprattutto, giungere, nel rispetto dei ruoli di ciascuno, ad una posizione unitaria sul merito e sul percorso referendario.

La vicenda si è infine intrecciata al dibattito interno all’Idv con l’intervento di due battitori liberi come Luigi De Magistris e Sonia Alfano. Sul suo blog, il primo invita a “scongiurare di procedere divisi e di moltiplicare iniziative che vanno nella stessa direzione” e chiedendo ai partiti di “rispettare questo protagonismo del movimento ed essere uniti, tutti insieme, nelle varie fasi che seguono al deposito dei quesiti”. “Concordo con Luigi De Magistris, ha subito aggiunto Sonia Alfano, proponendo di “chiudere in fretta e con responsabilità da parte di tutti la questione relativa a quali siano i quesiti referendari da sostenere e passare alla vera campagna referendaria. Che i comitati promotori si incontrino, prendano una decisione in fretta e che sia comune!”.

Salvatore Cannavò

venerdì 2 aprile 2010

QUELLO CHE MANCA E' UNA VERA SINISTRA ALTERNATIVA ANTICAPITALISTA


Le elezioni regionali dello scorso weekend hanno dato alcuni risultati indiscutibili: su tutte la “vittoria” dell’astensionismo – quasi 2 milioni di elettori rispetto alle elezioni europee del 2009 questa volta non sono andati votare – che ha come effetto diretto il successo politico della Lega Nord, nel quadro di una tenuta della destra al governo e di Berlusconi (destra che non solamente strappa 4 regioni al centrosinistra, ma soprattutto non paga il prezzo delle sue politiche di governo e non perde consensi, almeno in termini relativi).
I numeri assoluti segnalano che l’astensionismo colpisce (quasi) ovunque: il PDL perde il 27% dei voti delle europee (anche se le liste civiche dei candidati della destra vanno meglio di quelli del centrosinistra); il PD perde il 16% dei voti delle Europee, mentre UDC e IDV circa il 25%; la Federazione della Sinistra perde ancora il 30% dei voti; nonostante la percezione evidente del suo successo anche la Lega perde il 4% dei voti dello scorso anno, con un arretramento di 60 mila voti nel Piemonte appena conquistato (solo in Emilia aumenta in voti assoluti, di 10 mila unità)

L’astensionismo
L’astensionismo è un segnale naturalmente non univoco: indifferenza; distanza crescente da una politica che non offre soluzione ai bisogni sociali; adesione ad un idea “spettacolare” della politica, per cui si assiste ma non si partecipa; mancanza di un referente politico che si senta vicino alle proprie idee e prospettive: questi e molti altri i motivi di una sempre maggiore disaffezione verso le elezioni. Un dato che non ci conforta e che anzi consideriamo estremamente negativo anche se ne vediamo le responsabilità nelle forze politiche – di centrodestra e di centrosinistra – che hanno prodotto questa politica e questa concezione non partecipativa della stessa, espropriando i luoghi della rappresentanza formalmente democratica e concentrando i poteri negli esecutivi e in enti non eleggibili e non controllabili democraticamente. In particolare, è frutto di una generale disillusione e demoralizzazione che trova fondamento nell'assoluta inconsistenza dell'alternativa politica e in una prospettiva credibile che faccia da contraltare al berlusconismo ma anche all'attuale crisi.

La Lega Nord
Anche per questo la Lega Nord riesce ancora una volta a presentarsi come partito “di lotta e di governo”, determinando scelte importanti a livello governativo (in particolare contro migranti e in materia di “sicurezza”), garantendo la tenuta del governo Berlusconi mentre allo stesso tempo si fa propaganda nei quartieri riuscendo a intercettare diversi settori di disagio sociale e gli umori razzisti che essa stessa (aiutata dal centrodestra e da profonde connivenze del centrosinistra) produce nel corpo sociale. Così risulta vincente sia dove governa che dove è all’opposizione. Per la prima volta governerà importanti regioni del nord e farà sempre più pesare il suo ruolo nella coalizione di governo.

La destra
Il centrodestra perde centinaia di migliaia di voti, ma non perde la scommessa di quelle che chiama “elezioni di medio termine” evitando quell' “effetto Sarkozy” che temeva e che ha spinto Berlusconi a intensificare la sua visibilità nelle ultime settimane di campagna elettorale. Certamente, il rafforzamento della Lega al Nord e un partito che al Sud si intreccia a un apparato clientelare-mafioso, potrà determinare crepe e contraddizioni. Ma al momento il governo Berlusconi è piuttosto saldo.

Il centro sinistra
Il centrosinistra esce sconfitto da queste elezioni – pur non perdendo nell’insieme più voti del centrodestra – perché la sua proposta non riesce a presentarsi come davvero alternativa e attenta a quanto si muove nella società. Perde voti per le astensioni e perde voti in molti casi verso liste civiche o legate alla protesta locale o “antiberlusconiana”: significativi in questo senso i risultati delle liste di Beppe Grillo in Emilia Romagna (7%) e nella Val di Susa – a Bussoleno raggiunge oltre il 28% contribuendo in gran misura alla sconfitta della Bresso, che contro il movimento NoTav aveva giocato una parte della sua battaglia politica.

La sinistra
Anche la “sinistra” arretra ancora – continuando la parabola discendente cominciata dopo la caduta del governo Prodi.
SEL non raggiunge grandi risultati – se non in Puglia dove il “fenomeno Vendola” sconfigge i suoi avversari fuori e dentro la coalizione, ponendosi come possibile ipotesi all’interno di un nuovo centrosinistra in vista delle prossime elezioni nazionali.
La Federazione della Sinistra, che perde quasi un terzo dei voti rispetto allo scorso anno, non riesce ad affermare una posizione chiara e un’identità forte, alternativa, navigando a vista dentro e fuori dal centrosinistra e perdendo consensi in due regioni significative: in Campania, dove il segretario nazionale non frena la caduta di un partito fortemente corresponsabile delle politiche di Bassolino negli scorsi anni; e in Lombardia, dove non è bastata la collocazione (subita e non scelta) fuori dal centrosinistra e un’immagine “movimentista” che contrasta con la realtà di un partito sempre più chiuso e incapace di radicarsi nel tessuto sociale. Il risultato delle Federazione, che pure raggiunge in alcune regioni percentuali accettabili, è la conferma che non si può fare gli alternativi alleandosi, per di più in maniera subalterna, al PD.

Una assenza
Queste elezioni hanno visto ancora una volta l’assenza di una sinistra anticapitalista, alternativa al centrodestra e al centrosinistra, capace di essere riferimento ed espressione delle lotte sociali, della protesta antirazzista e di un’idea innovativa della politica. Non crediamo che una sperimentazione elettorale di questa proposta politica avrebbe rappresentato già oggi un’alternativa elettoralmente credibile e quindi avrebbe avuto risultati significativi. Crediamo però, e riaffermiamo, che questa è l’unica strada praticabile e che deve essere perseguita già nei prossimi mesi.

Costruire il conflitto sociale e una sinistra anticapitalista
Una sinistra anticapitalista e alternativa che non potrà nascere come semplice accordo di “gruppi dirigenti" o di "sigle" o di ma che dovrà ricostruire la ragione stessa della sua necessità nella nuova e inedita composizione di classe (fatta di generi diversi, di culture diverse, di lavoratrici e lavoratori sempre più precari, di migranti collocati al centro della produzione e riproduzione sociale), nelle lotte e nelle resistenze sociali, nel radicamento territoriale e nella difesa intransigente dell’ambiente e dei beni pubblici, nella formazione di una nuova generazione politica senza la quale la sinistra non potrà più uscire dalla sua inefficacia e inutilità politica e sociale, prima ancora che elettorale.
Siamo da sempre impegnati nella definizione di questa prospettiva e oggi ancora una volta vogliamo indicarla a quelle forze, sociali e politiche, che non intendono farsi risucchiare dalla rassegnazione oppure accomodarsi ancora una volta nell'ennesimo giro di giostra dell'unità antiberlusconiana interna al centrosinistra. Proponiamo di realizzare uno "spazio comune", un perimetro di forze anticapitalista, ecologista, femminista che sappia innanzitutto sperimentare forme nuove di iniziativa sociali e, per questa via, ricostruire una credibilità perduta. Solo un percorso di questo tipo, un "nuovo inizio", potrà dare, quando se ne daranno le condizioni, anche un risultato elettorale. E' quanto discuteremo nel convegno-assemblea nazionale che si svolgerà a Roma il prossimo 17 aprile.
Oggi più che mai non esistono scorciatoie.



Esecutivo Nazionale di Sinistra Critica – 30 marzo 2010