domenica 17 febbraio 2013

Oltre le elezioni politiche per un secondo turno dei movimenti sociali!

Questa campagna elettorale è il mercato delle bugie e delle false promesse: Berlusconi promette di restituire l’IMU, che il suo governo (con la Lega Nord) ha introdotto;
l’uomo delle banche, Monti, dopo averci massacrato con le tasse e distrutto le pensioni, promette di ridurre le imposte (a chi, ai lavoratori o ai capitalisti?); Bersani, parla di lavoro e di diritti, dopo che il suo partito, il PD ha approvato tutte le misure della Fornero contro la classe lavoratrice (e Vendola lo
fiancheggia con bei discorsi di sinistra, ma si è impegnato a votare sempre insieme al PD in parlamento).

Tutti e tre le coalizioni si sono distinte per un’ininterrotta e feroce aggressione ai diritti e a tutte le principali conquiste delle classi popolari: la distruzione della previdenza pubblica, l’annullamento dell’articolo 18 e la reintroduzione della libertà di licenziamento arbitrario, la controriforma degli ammortizzatori sociali, le disposizioni per la svendita del patrimonio pubblico e dei servizi, i tagli lineari agli enti locali, allo stato sociale, alla scuola e alla sanità pubbliche, gli aumenti delle imposte a carico dei redditi più bassi.

Mentre polemizzano tra loro per strapparsi i voti, questi partiti hanno approvato norme e trattati che vincolano il nostro paese a sottostare alle imposizioni del padronato e delle istituzioni europee accettando che tutti i prossimi decenni siano segnati da tagli feroci alla spesa pubblica e ai diritti.

Nel frattempo si trovano i soldi (miliardi pubblici) per coprire le sporche operazioni di qualche banca.

La loro propaganda è dunque pura ipocrisia. Dopo il 26 febbraio faranno esattamente il contrario di quanto hanno promesso. Non solo non vanno votati, ma vanno contrastati in ogni modo.

Le scelte di Sinistra Critica

Sinistra Critica ha sostenuto la necessità di una coalizione di sinistra ampia, plurale, costruita dal basso e con un programma di rifiuto dell’austerità, di eguaglianza sociale, di difesa dei diritti economici, sociali e civili.
 Le elettrici e gli elettori avevano bisogno di una lista alternativa al centro destra, al centro sinistra e a Monti, che però non ha però potuto realizzarsi: la lista Grillo e la lista Ingroia, per ragioni diverse, hanno infatti un carattere molto più indefinito, senza un chiaro riferimento alla classe lavoratrice e una netta alternativa a questo ingiusto sistema capitalista..

Per queste ragioni Sinistra Critica, in queste elezioni, non ha preso una posizione di sostegno ad alcuna lista, né dà indicazione di voto; nello stesso tempo non ha ritenuto che ci fossero le condizioni politiche per una sua presentazione autonoma, e lascia invece che i suoi iscritti, simpatizzanti ed elettori decidano autonomamente la loro scelta elettorale.

La partita decisiva infatti si giocherà dopo le elezioni. Qualunque governo si formerà (il solo Bersani, il tandem Bersani-Monti, o il più improbabile, anche se apparentemente “resuscitato”, Berlusconi), sotto la spinta della Confindustria, userà nuovamente il ricatto dello spread e del debito e metterà in atto nuove durissime manovre contro le classi popolari. Ci diranno ancora una volta che non si può fare diversamente, che “bisogna evitare la catastrofe greca”, mentre in realtà passo dopo passo ci precipitano nella situazione di quel martoriato paese.
Ci si può difendere solo con la mobilitazione popolare. Dobbiamo lavorare perché, dopo il primo turno elettorale, il secondo turno, quello sociale, della mobilitazione popolare, sia vinto dalla classe lavoratrice. Infatti
solo la lotta unitaria di tutte le lavoratrici e lavoratori, precari, studenti potrà sconfiggere la nuova aggressione del governo, della Confindustria e della BCE; non possiamo delegare il nostro futuro a presunti “salvatori” che non
esistono, dobbiamo invece unirci al nostro compagno o compagna di lavoro e di studio per trovare la forza di scendere in piazza e lottare.
 Sappiamo quanti sacrifici costi scioperare e anche che le lotte possono essere
sconfitte, ma chi non lotta, chi non sciopera, ha già perso in partenza, prima ancora di combattere, consegnandosi mani e piedi ai padroni del vapore.

NO alle politiche di austerità per pagare il loro debito

Noi non abbiamo debiti da pagare, ma solo crediti che devono esserci restituiti.
Non abbiamo bisogno dell’uomo della provvidenza, ma di un programma e di obiettivi di difesa delle nostre condizioni di lavoro e di vita che possiamo realizzare con la lotta e l’azione collettiva:
1) Nessun lavoratore, nessuna lavoratrice può essere licenziata.
2) Se un padrone chiude, delocalizza e non garantisce la prosecuzione dell’attività, l’impresa deve passare in mano pubblica. I lavoratori garantiranno lo svolgimento delle attività produttive o di servizio e decideranno di eventuali riconversioni produttive. E’ questo il modo per garantire un futuro ai lavoratori dell’ALCOA, altrimenti licenziati dalla
multinazionale americana; per il risanamento ambientale e rilancio produttivo all’ILVA di Taranto; per un piano nazionale per i trasporti che garantisca l’occupazione in tutti gli stabilimenti FIAT e dell’indotto.
3) Il lavoro esistente deve essere distribuito tra tutti quelli che ne hanno bisogno, riducendo l’orario di lavoro con una legge nazionale: così a tutti è assicurato il posto. I profitti che non intascherà più il padrone, sosterranno i salari e gli stipendi e saranno reinvestiti nell’impresa.
4) Ripristino della pensione di anzianità dopo 35 anni di lavoro e della pensione di vecchiaia a 60 anni, per dare lavoro ai giovani.
5) Stabilire un salario sociale per garantire reddito a chi è senza lavoro e ridare valore al contratto nazionale di lavoro.
6) Un piano di assetto idrogeologico che metta in sicurezza il territorio. Oltre che dare sicurezza, si creerà buona e qualificata occupazione.
7) Un piano nazionale di sviluppo delle energie alternative per difendere l’ambiente, dare occupazione qualificata,ridurre l’importazione del petrolio.
8) Un piano di rilancio e sviluppo della scuola e delle università pubbliche che elimini la precarietà e dia lavoro ai giovani.
9) Il ripristino dei diritti democratici di tutti i lavoratori e di tutte le lavoratrici: piena libertà di associazione e di rappresentanza sindacale. Eliminazione di ogni discriminazione sessista e razzista.
10) In alleanza con gli altri lavoratori, sviluppare una lotta europea per un SALARIO MINIMO EUROPEO, che impedisca ai padroni e alle multinazionali di mettere i lavoratori in concorrenza tra loro.

Per finanziare queste misure, i soldi si trovano con:

a) Un sistema fiscale realmente progressivo che faccia pagare i ricchi con una tassa su patrimoni e grandi ricchezze.
b) Una campagna popolare contro l’evasione fiscale basata sui controlli dal basso di lavoratori e utenti.
c) No alla privatizzazione del patrimonio pubblico, che regala ai privati i beni comuni.
d) No alle grandi opere inutili (TAV, ponte sullo Stretto, MOSE), che devastano l’ambiente e regalano soldi pubblici a privati e mafiosi.
e) Blocco delle spese militari e delle costosissime missioni internazionali.
f) Nazionalizzazione del sistema bancario, per garantire il credito alle attività produttive e per gestire le politiche economiche democraticamente decise.
g) Sospensione del pagamento del debito pubblico (che all’origine era un debito privato), verifica su come si è formato e chi ne è responsabile. Non pagare il debito illegittimo dei banchieri, imprenditori, speculatori.

Uniamo la forza dei lavoratori e delle lavoratrici, dei precari, dei disoccupati, dei giovani e degli studenti, in una lotta per la giustizia sociale, la garanzia dell’occupazione e del reddito, servizi pubblici di qualità per tutti, per il
nostro futuro.

Sinistra Critica Torino   Giornale Febbraio



lunedì 11 febbraio 2013

Interventi di Gigi Malabarba e Piero Maestri – Assemblea “Per una nuova finanza pubblica”



A sarà düra


Felice Mometti

Nel libro sul movimento No Tav curato dal centro sociale Askatasuna, non ci si ferma al racconto ma si va in profondità per ricercarne identità e strategia. Serve però una riflessione più di fondo sulle forme e gli strumenti dell'autorganizzazione dell'odierna composizione di classe.

A sarà düra, Storie di vita e di militanza notav, a cura del Centro sociale Askatasuna (DeriveApprodi, 2013) è un libro utile e importante. Non è la semplice radiografia di un movimento desunta dalle interviste di rito ai protagonisti. E' la proposta di un metodo, di un punto di riferimento, di un immaginario per un nuovo agire sociale e politico. Non ci si ferma alla rappresentazione del movimento No Tav, si va in profondità a ricercare le ragioni ultime, irriducibili, che ne definiscono l'identità e la strategia. In cui si combinano scelte di vita, storie di militanza, rapporti di forza con l'avversario, costruzione di comunità, diffusione delle pratiche di lotta. Non si propongono certezze ma "solo prime ipotesi tutte da confrontare e ripensare". Un approccio che permette al tempo stesso condivisione, dialogo e critica. Il testo è articolato grosso modo in tre parti: la metodologia, le interviste, la teoria. Non è il solito schema rigido che riproduce una supposta linearità tra teoria-prassi-teoria, spesso ridotto a costruire ( o immaginare ) una prassi orientata a giustificare una teoria. Nel caso in questione, invece, si assumono i rischi della verifica sul campo dei soggetti e dei processi. Nel libro c'è indubbiamente, e non poteva essere altrimenti, un retroterra teorico che ne costituisce la struttura e, se così si può dire, l'ambito da cui vengono generate le categorie interpretative messe all'opera. E' un sostrato teorico in cui si vuol far interagire l'elaborazione di Romano Alquati su conricerca e soggettività, la Teoria del partigiano di Carl Schmitt e l'analisi dei movimenti sociali proposta da Alain Touraine. Un'impresa non facile, non tanto per "l'eterogeneità" dei riferimenti, ma per la difficoltà nella traduzione odierna di campi di ricerca riferiti a una composizione di classe di movimenti sociali e operai che hanno esaurito la loro spinta politica e quindi non riproducibili.

Il movimento No Tav ha attraversato diverse stagioni politiche, ha rappresentato in certi periodi il punto di coagulo delle opposizioni sociali. Ha costituito il "modello implicito" di altre resistenze ed ha costretto gli apparati dello Stato - dalla magistratura, all'amministrazione, alla polizia - a riorganizzarsi e ridefinirsi per poter affrontare un'opposizione con un forte radicamento sociale e territoriale. Quindi più che una disamina del libro, misurando gli elementi condivisi e i punti di divergenza, è senz'altro più interessante vederne alcuni snodi problematici, alcune oscillazioni e ambivalenze.

Nell'introduzione metodologica si sottolinea la differenza tra inchiesta e conricerca nei metodi, negli scopi e nei linguaggi. La prima produce la conoscenza dei soggetti che sono parte del conflitto, la seconda forma soggettività e definisce la progettualità. Una differenza che, nell'articolazione del ragionamento, diventa distinzione ed a volte evoca una separazione. Se la soggettività, riprendendo la definizione di Alquati, è un " sistema caratterizzato da storicità e socialità e quindi che evolve processualmente", la distinzione in due momenti dell'inchiesta e della conricerca corre il rischio di non cogliere fino in fondo le caratteristiche del processo di soggettivazione. Un processo che nel libro, sia nella parte metodologica che analitica, viene descritto lungo una sequenza quasi lineare tra radicamento territoriale, produzione di comunità e conflittualità irriducibile del movimento No Tav. Dove il rapporto tra territorio e comunità viene individuato come asse centrale della radicalità e delle continuità del movimento. Ora, i due concetti di territorio e comunità diventano altamente problematici se non sono chiaramente connessi rispettivamente alle contraddizioni, e alla crisi, dell'attuale modello di accumulazione capitalistica e alla dinamica di uno specifico movimento di classe. L'analogia che viene proposta tra uno dei capisaldi della tradizione operaista, la relazione tra composizione tecnica e politica di classe, e le definizioni di Marx di classe in sè e classe per sè non risolve il problema. Si rimane a mezz'aria, oscillando tra una concezione determinista - l'accumulazione progressiva di forza sociale tende a tramutarsi in radicalità politica - e un'impostazione al limite del problem solving: gerarchizzare i fini da perseguire, le variabili che si presentano nell'azione di movimento e quindi anche i soggetti ?

La questione della collocazione e del ruolo dei militanti politici nel movimento è posta avendo ben presente tutti i guasti provocati dai ceti politici istituzionali, dai meccanismi della rappresentanza, dalla sottovalutazione della necessaria pluralità politica e sociale del movimento. Giustamente si criticano sia una concezione astratta delle cosiddette avanguardie che sono sempre già formate e pronte a dirigere il conflitto che una rappresentazione del movimento come una sommatoria di tanti antagonismi individuali o di piccolo gruppo. Si sceglie un posizionamento intermedio che permette di "salire" nei momenti di maggior conflitto e "scendere" nei momenti di stasi e di mediazione. Questo implica una maggior definizione del rapporto che oggi esiste tra spontaneità e organizzazione dove non è sufficiente presentare i due termini come complementari. Qui una riflessione non semplice sulle forme e gli strumenti dell'autorganizzazione dell'odierna composizione di classe riguarda tutti e le risposte non sono a portata di mano.

Combinare processi di soggettivazione e pratiche di democrazia diretta è il problema che ci sta davanti che non permette scorciatoie.

L'ultimo paragrafo di A sarà düra è intitolato Conflitti a venire. C'è la consapevolezza del rischio dell'isolamento, delle illusioni di coloro che vedono l'espansione del movimento No Tav mediante l'imitazione della Val Susa. Il libro interpella tutti i soggetti che si battono contro il domino capitalista e probabilmente per dare un contributo alla più che mai necessaria ricomposizione sociale delle resistenze bisogna tradurre e "tradire", con altre forme e altri percorsi, l'esperienza del movimento No Tav della Val Susa.



venerdì 8 febbraio 2013

Tunisia: blogger Ben Mhenni, "Temo altre violenze"

Luciana Borsatti

Dopo l'assassinio di Chokri Belaid, la "Tunisian girl" accusa in primo luogo il ministero dell'Interno, primo responsabile di quanto accaduto, e indirettamente anche il partito islamista Ennahda.

E' pessimista sul futuro e vi vede ''il caos'', la blogger tunisina Lina Ben Mhenni, dopo l'assassinio di Chokri Belaid, esponente dell'opposizione laica freddato stamani mentre usciva dalla sua abitazione a Tunisi. ''Quando cominciano gli omicidi, non c'e' che da aspettarsi altra violenza'', dice parlando al telefono con ANSAmed.

Voce tenace della rivoluzione con il suo blog 'Atunisiangirl', e' appena tornata a casa dalla manifestazione di viale Bourghiba, e racconta di violenze della polizia e di gas lacrimogeni contro i manifestanti che gridavano la loro rabbia davanti alla sede del ministero dell'Interno. Quella morte ''e' stato uno shock per tutti noi. Anche se ci aspettavamo un altro assassinio, dopo quello di pochi mesi fa a Tataouine'', racconta. Il riferimento e' a Lofti Naguedh, segretario regionale dello stesso partito, morto a seguito di un pestaggio nell'ottobre scorso nella citta' del sud.

Quella di oggi e' dunque la seconda vittima di una serie di aggressioni contro Nidaa Tounes, per le quali i principali sospettati sono gli uomini della Lega per la difesa della rivoluzione. Anche la giovane blogger chiama in causa per le violenze questa organizzazione, nelle cui file, accusa, vi sono ''ex carcerati pagati proprio per questo''. Per capire chi siano i colpevoli di quest'ultimo omicidio bisogna pero' attendere i risultati delle indagini, premette Lina, sicura comunque che i responsabili ''stanno mandando un messaggio a tutti''. Ma accusa in primo luogo il ministero dell'Interno, primo responsabile di quanto accaduto, ''perche' non e' in grado di garantire la sicurezza dei cittadini''. E indirettamente e' dunque responsabile, aggiunge, anche il partito islamista Ennahda, al governo del Paese.

Lei stessa - nemmeno 30 anni, minuta e dalla voce sottile, insignita nel 2011 del Premio Roma per la Pace e l'Azione umanitaria - e' stata ripetutamente oggetto di minacce, tanto che nel maggio scorso anche il ministro degli Esteri Giulio Terzi le ha fatto giungere un messaggio di solidarieta', dopo che era stata picchiata da tre poliziotti in un locale nel centro di Tunisi. Anche la settimana scorsa, racconta, e' stata seguita da qualcuno in automobile, in uno dei frequenti episodi, riferisce, che accadono ''a quelli che criticano il governo, giornalisti, cyber-attivisti''. Ma dopo l'assassinio di Belaid, esiste il rischio di una guerra civile, per certi aspetti simile a quella della vicina Libia? ''Certamente finora qui non sono circolate molte armi, se non forse in mano a qualche elemento islamista'', risponde. Ma certamente si attende piu' violenza di quella che vi e' stata finora. E anche le forze di opposizione, conclude, ''devono provare a fare qualcosa'' per salvare il Paese. (ANSAmed).



L’assassinio di Chokri Belaid è un attacco alla libertà delle/dei tunisine/i

Comunicato di Sinistra Critica

Solidarietà con il Fronte popolare tunisino contro le politiche reazionarie e neoliberiste.
Sostegno alle/ai rivoluzionari/e tunisine e alle/ai lavoratrici/lavoratori in sciopero .

Smentendo i troppi becchini che avevano già dato per morto e seppellito il processo rivoluzionario iniziato in Tunisia nel dicembre 2010, migliaia di donne e uomini sono scesi in piazza negli ultimi due giorni a Tunisi e nelle altre città del paese per protestare contro l’omicidio politico di Chokri Belaid, leader del «Partito dei patrioti democratici uniti» (Watad) e del «Fronte popolare per il raggiungimento degli obiettivi della rivoluzione», del quale Watad è parte.

Per protestare e per riaffermare gli obiettivi di quella rivoluzione.

Le proteste rappresentano infatti non solamente una risposta ferma e organizzata all’omicidio del leader democratico, ma soprattutto la consapevolezza dei settori rivoluzionari tunisini che quell’omicidio porta la responsabilità morale e politica dei settori islamisti al governo e dei loro alleati salafiti – che già avevano pesantemente minacciato Belaid nelle scorse settimane in seguito a suoi interventi in difesa delle libertà in Tunisia e di critica al partito di governo per le sue politiche reazionarie e per la sua tolleranza nei confronti di aree violente ed estremiste che agiscono indisturbate contro i diritti (e i corpi) delle donne e le libertà civili.

A queste proteste che ancora oggi hanno riempito le strade delle città tunisine, e che sono state ancora una volta violentemente represse, farà seguito (oggi) uno sciopero generale indetto dall’Ugtt nella giornata dei funerali del leader democratico, dopo che nei mesi scorsi altri scioperi erano stati condotti contro gli attacchi alle libertà sindacali e gli attentati nei confronti delle sedi delle organizzazioni dei lavoratori.

La solidarietà che esprimiamo oggi verso la sinistra tunisina, verso le lavoratrici e i lavoratori in sciopero e verso la popolazione nel suo insieme non è solamente una risposta all’omicidio di Chokri Belaid, ma una dichiarazione di sostegno alle rivendicazioni che i settori democratici e della sinistra rivoluzionaria avanzano nell’attuale situazione tunisina:

* contro la linea del partito di governo Ennahda, reazionaria, antidemocratica e contraria ai diritti delle donne;

*per la cancellazione del debito e degli accordi di cooperazione con le forze economiche e politiche che ancora vogliono tenere la Tunisia sotto il dominio neoliberista;

*contro la disoccupazione e per il diritto al lavoro;

* per la difesa delle classi popolari e delle regioni svantaggiate;

*per combattere le illusioni riguardo al polo liberale riunito intorno a vecchi esponenti del partito già di Ben Ali;

* per la caduta del governo e la creazione di governo popolare che risponda ai bisogni di lavoratrici e lavoratori e porti avanti i contenuti per i quali le/i tunisine/i hanno fatto la rivoluzione: libertà, giustizia sociale, democrazia, dignità.
La rivoluzione tunisina non è stata fermata – così come non lo sono state quelle degli altri paesi della regione araba – e deve avere il massimo sostegno delle forze democratiche, anticapitaliste e rivoluzionarie, in particolare del Mediterraneo.

Esprimiamo oggi il nostro lutto per la perdita di Chokri Belaid e dichiariamo il nostro impegno a partecipare alle iniziative di protesta che in Italia si stanno svolgendo nei pressi dei consolati della Tunisia a fianco delle/dei migranti tunisine/i nel nostro paese e agli incontri internazionali, contro il debito e le politiche di austerità, che il Fronte popolare tunisino sta organizzando.

Sinistra Critica



mercoledì 6 febbraio 2013

CONSEGNA FIRME RICHIESTA DELL'AUDIT SUL DEBITO DEL COMUNE DI TORINO



Due diversi presidi hanno animato piazza Palazzo di Città in occasione dell’ultima riunione del Consiglio comunale, lo scorso 4 febbraio. Il Comitato No Debito ha consegnato in Comune una petizione, corredata da un migliaio di firme, per ottenere l’istituzione di una Commissione indipendente che indaghi sulle cause del debito che grava sulle casse municipali.


I manifestanti, in un volantino diffuso durante l’iniziativa, hanno anche chiesto lo svolgimento di una seduta aperta della Sala Rossa, per una pubblica discussione sul “perché si è fatto ricorso ai derivati e cosa la Giunta intenda fare per chiudere questa partita che rischia di crollare in testa alla città”. Proprio i derivati sono particolarmente nel mirino del Comitato, “titoli altamente tossici, che in questi giorni hanno fatto saltare per aria il Monte dei Paschi di Siena e negli scorsi anni hanno mandato in bancarotta molte banche in Europa e anche Città e Comuni”. Mentre il presidio era in corso, una delegazione di cinque esponenti del Comitato No Debito è stata ricevuta dall’assessore al Bilancio.


http://www.comune.torino.it/cittagora/article_11551.shtml