venerdì 22 luglio 2011

La bolla del carbonio o la vita?


[Europe Solidaire sans Frontiéres]
La bolla del carbonio o la vita?
TANURO Daniel
17 luglio 2011

Carbon Tracker Initiative è una ONG niente affatto sovversiva e ben conosciuta per i suoi seri lavori sul «bilancio del carbonio»: in altri termini, la quantità di carbonio fossile che l’umanità può ancora immettere nell’atmosfera sotto forma di gas di carbonio da qui al 2050, se si vuole avere una possibilità di non superare (troppo) i 2°C di aumento della temperatura.
Il suo ultimo rapporto non manca di interesse. Basandosi sui lavori del Potsdam Institut, Carbon Tracker mette in fila i seguenti elementi:
► Nel 2011, l’economia mondiale ha già utilizzato un terzo del bilancio del carbonio di 886 gigatonnellate (= miliardi di tonn.) di gas di carbonio (GtCO2), di cui disponeva per il periodo 2000-2050. Il saldo disponibile è solo più di 565 GtCO2.(= miliardi di tonn.).
► Le riserve provate di combustibili fossili in mano alle compagnie pubbliche private e governative corrispondono all’emissione di 2.795 GtCO2.
► Le parti di queste riserve in mano alle 100 più grandi compagnie private nel settore del carbone e delle 100 più grandi nei settori del gas e del petrolio corrispondono a 745 GtCO2, il resto è in mano agli Stati, in particolare il regno saudita.
Il fatto che il saldo di carbonio fossile disponibile è solo di 565 GtCO2 su un totale di 2.795 equivale a dire che per non sconvolgere troppo il clima, l’80% delle riserve conosciute di carbone, petrolio, e gas naturale devono restare nel sottosuolo per non essere mai bruciate.
Ora, queste riserve sono evidentemente contabilizzate come degli attivi da parte dei loro proprietari, e contribuiscono di conseguenza a determinare il valore delle azioni (per lo meno quando questi proprietari sono delle imprese; la famiglia reale dell’Arabia saudita non è evidentemente quotata in borsa a Wall Street…)
Queste azioni sono particolarmente apprezzate in borsa. È dunque falso e ipocrita puntare il dito contro «i cinesi» e «gli indiani» che, bruciando carbone a più non posso sarebbero, secondo alcuni, i grandi impedimenti alla saggia regolamentazione del clima: il capitale finanziario globalizzato tira le fila della corsa all’abisso climatico, è prima di tutto lui che deve essere messo sul banco degli accusati. È direttamente responsabile del fatto che l’economia capitalista continua a girare per l’80% sulle energie fossili.
A questo proposito, il rapporto della Carbon Tracker ha prodotto un grafico interessante che mostra la distribuzione delle azioni delle compagnie private del carbone, del gas e del petrolio sulle piazze borsistiche del pianeta. Questo permette di confrontare il bilancio del carbonio di un paese al suo impegno nel proseguimento dello sfruttamento criminale dell’energia fossile. Si constata, ad esempio, che un paese come il Regno Unito, il cui bilancio del carbonio non è che di 10 GtCO2 circa, controlla, tramite la borsa di Londra, riserve fossili corrispondenti a 105,5 GtCO2.
Perché il capitale continua questa politica insensata, quando oggi tutti sanno quanto il riscaldamento costituisce una grave minaccia per l’umanità? La risposta è nota: le rinnovabili costano più care, il costo dei danni del riscaldamento sono talmente elevati che la loro «internalizzazione» è impossibile, le lobby del fossile – o che dipendono dal fossile (automobile, petrolchimico, aeronautica, ecc.) – sono più potenti dei governi.
Il rapporto della Carbon Tracker permette di avere tutta la misura di quest’ultimo fattore. In effetti, se l’80% delle riserve provate di combustibili fossili dovessero restare sotto terra, ne deriverebbe semplicemente che le compagnie interessate dovrebbero accettare l’immediata distruzione dell’80% del loro capitale.
Rispetto a questo, il fallimento di Lehman Brothers sembrerebbe un po’ uno scherzo, dato che le compagnie in questione sono dei giganti, pilastri del capitalismo mondiale – come Shell, BP, Exxon, ad esempio – le cui azioni figurano in buona posizione nei portafogli dei fondi pensione e di altri grandi investitori capitalisti.
Come scrive il Guardian, «Se la maggior parte delle riserve di petrolio, di carbone, di gas naturale non può essere bruciata, i beni primari delle più grandi compagnie energetiche del mondo potrebbero diventare altrettanto tossici degli spinosi debiti ipotecari che hanno portato al crollo finanziario del 2008».[1] Si parla dunque sempre più del rischio di una «bolla finanziaria del carbonio».
Sacrificare quattro quinti dei loro beni per evitare una catastrofe climatica? Inutile dire che le Sette Sorelle che controllano il settore petrolifero non ci sentono da quest’orecchio, non più che i capitalisti del settore del carbone, ad esempio! Lo attestano gli investimenti pianificati da questi vampiri. In particolare, il gigante multinazionale del carbone Glencore ha realizzato recentemente la più grande raccolta di capitali da parte di una multinazionale sulla piazza di Londra. Quanto alla Shell, nei prossimi quattro anni investirà 62 miliardi di sterline per produrre 3,7 milioni di barili al giorno nel 2014 (un aumento del 12% rispetto al 2010). [2]
Il capitale finanziario è sulla stessa lunghezza d’onda, dato che è lui che presta le enormi masse di denaro necessarie ai grandi investimenti a lungo termine in capitale fisso, particolarmente pesanti nel settore energetico (raffinerie, centrali elettriche, ecc.).
«Ciò illustra fino a che punto i mercati mondiali dei capitali sono scollegati da qualsiasi obiettivo mirante a combattere il cambiamento climatico – si rammarica James Leaton sul sito GreenBiz.[3] Ciò dimostra che l’approccio basato sul profitto a breve termine (che è quello) degli attuali strumenti finanziari non riconosce i segnali dell’azione regolatrice di lungo termine per limitare il cambiamento climatico.
Questo commento non è lontano dalla verità. Salvo che «l’approccio basato sul profitto a breve termine» non è specifico degli «attuali strumenti finanziari »: è semplicemente quello del capitalismo. In effetti, il caso della «bolla del carbonio» mostra fino a che punto la questione dei limiti ecologici è al cuore della crisi capitalista e contribuisce a farne una crisi sistemica, di civiltà
O si arresta questo sistema criminale con misure criminali per fare scoppiare la «bolla del carbonio» senza che la maggioranza della società debba pagare le spese di questo nuovo sperpero – ciò che richiede la doppia nazionalizzazione con esproprio del settore energetico e del settore del credito – oppure si corre spediti verso un riscaldamento di 4°C che farà centinaia di milioni di vittime … tra i poveri dei paesi poveri. La bolla del carbonio o la vita?
Daniel Tanuro
[1] The Guardian, Duncan Clark, 15 July 2011
[2] The Guardian, Ben Caldecott, 12 July 2011
[3] http://www.greenbiz.com/

giovedì 21 luglio 2011

È l’ora dell’indignazione e della rivolta !


Il debito pubblico non lo abbiamo fatto noi, non vogliamo pagarlo !
Ribelliamoci alla manovra economica fatta dal governo !
La manovra economica fatta dal governo, voluta dai banchieri e dai padroni, non ostacolata dal centrosinistra e
dai sindacati confederali, benedetta da Napolitano ci deruberà, peggiorerà le nostre condizioni difficili, già
costretti a sopravvivere chiedendo anticipi della liquidazione, a fare prestiti da parenti o dagli strozzini delle
finanziarie.
Da adesso dovremo pagare di più le cure mediche; andremo in pensione ancora più tardi così peggiora la
disoccupazione dei giovani; blocco dei salari e della assunzioni nel pubblico impiego –quindi con i comuni che
non potranno più erogare servizi‐; avremo meno asili per i bambini; se subiamo un’ingiustizia, dovremo pagare
una tassa per fare il ricorso, anche per le cause di lavoro; aumenteranno le tasse sui beni di prima necessità, più
tasse per chi lavora, aumento delle bollette.
Ai ricchi poco o nulla è chiesto. Non dobbiamo pagare noi il debito che è stato causato dalle continue riduzioni
delle tasse ai ricchi, perché i soldi pubblici sono stati regalati agli imprenditori e alle multinazionali senza aver
avuto in cambio garanzie occupazionali e buoni salari.
Le banche si sono arricchite prima con la speculazione finanziaria, poi con i nostri soldi sono state salvate dai
loro debiti, indebitando lo stato. Ora noi dovremmo ripianare il debito !
Se non vogliamo pagare noi, bisogna nazionalizzare le banche e i lavoratori del settore
devono controllarne l’operato !
E i soldi che il governo vuole rubarci, saranno anche usati per finanziare le grandi opere inutili e dannose –come
l’ALTA VELOCITA’‐ : denaro pubblico trasferito ad affaristi e alla criminalità organizzata. Anche per questo, la
lotta dei NO TAV deve essere rafforzata e deve vincere !
Facciamo come gli abitanti della VAL SUSA, facciamo come le popolazioni del Nord‐Africa,
come i lavoratori greci e spagnoli, INDIGNAMOCI E RIBELLIAMOCI !
Non accettiamo l’invito alla pace sociale fatto da Napolitano per convincerci ad accettare il peggioramento della
nostra condizione !
Incazziamoci e respingiamo indignati il patto sociale tra governo, confindustria e sindacati complici, accettato
anche dalla cgil.Con quel patto sociale si da tutto il potere alle aziende,si toglie ai lavoratori lo strumento del
contratto nazionale per abbassare ancora i salari e per farli lavorare di più in condizioni peggiori. E per impedire
che si ribellino, gli si vuole togliere il diritto di eleggere i propri rappresentanti sindacali e rendere impossibile il
ricorso allo sciopero. La sentenza del giudice Ciocchetti sul ricorso della Fiom, che condanna la fiat per attività
antisindacale, è un risultato importante nella difesa del diritto alla rappresentanza sindacale
Con Sinistra critica ricostruiamo l’organizzazione dei lavoratori,
per tornare a far valere i nostri diritti,
primo fra tutti il diritto ad una vita dignitosa
Con SINISTRA CRITICA per far pagare chi si è solo arricchito
e non ha mai pagato
Con SINISTRA CRITICA per creare un grande movimento
di opposizione contro i padroni e i loro governi

domenica 17 luglio 2011

Capitalismo tossico


Crisi della competizione e modelli alternativi
I “titoli tossici”, alla base dell’esplosione della crisi economica internazionale, sono solo la punta dell’iceberg di un capitalismo malato. Andando oltre le interpretazioni prevalenti, che individuano in fattori superficiali e contingenti le cause della crisi, il libro di Bertorello e Corradi prova a riflettere sulle ragioni strutturali, proponendo una carrellata dei vari tentativi di uscita, rivelatisi inefficaci o controproducenti, messi in atto a livello globale, comprese le proposte neokeynesiane. Consapevoli che la crisi del capitalismo non significa la sua morte, gli autori rovesciano l’idea secondo cui l’economia ha le sue leggi naturali, sottolineando la natura umana di questo sistema sociale, e quindi i soggetti che potrebbero trasformarlo, in primo luogo i lavoratori e le lavoratrici. Di fronte a crisi strutturali e cicliche occorre uscire dal capitalismo ma per farlo bisogna bloccare la progressiva messa in concorrenza di settori crescenti dell’umanità, superando l’idea della propensione del genere umano alla competizione per arrivare alla de-competitività del sistema, reinventando luoghi non privati, de-mercificati.

AUTORI

Marco Bertorello lavora nel porto di Genova ed è dirigente della Filt-Cgil del capoluogo ligure. Ha pubblicato Il movimento di Solidarnosc. Dalle origini al governo del paese (Lacaita Editore, 1997), Un nuovo movimento operaio. Dal fordismo all'accumulazione flessibile (Edizioni Alegre, 2004). Collabora con la rivista Erre.

Danilo Corradi è dottorando in storia economica all’università di Roma “Sapienza” e insegnante precario di storia e filosofia nei licei. È autore di numerosi articoli sulla crisi e sulle riforme dell’istruzione per la rivista Erre. Per Edizioni Alegre ha curato il volume collettaneo Studiare con lentezza (2006).

Riccardo Bellofiore insegna Economia monetaria e Storia del pensiero economico all’Università di Bergamo. Tra le sue pubblicazioni recenti la cura del volume Da Marx a Marx? Un bilancio dei marxismi italiani del Novecento (Manifestolibri, 2007)

sabato 16 luglio 2011

Articolo Nuova Periferia

sinistra critica a genova


In occasione delle iniziative di genova 2001-2011 Sinistra Critica organizza venerdì 22 Luglio a Genova (la sera prima della manifestazione), presso la Sala della rappresentanza- Palazzo Tursi - via garibaldi 9, un importante incontro pubblico di portata internazionale: LA RIVOLUZIONE E' POSSIBILE, le risposte alternative alla crisi: le resistenze politiche e sociali in Europa e le rivolte Arabe (in allegato la locandina).


Intervengono:
Omar El Shafei - Socialist Renewal, Egitto
Un/a compagno/a della Ligue de la Gauche Ouvrière, Tunisia
Gael Quirante- Nouveau Parti Anticapitaliste, Francia
Josip-Maria Antentas- Revolta Global, Catalunia
Pasquale Loiacono - delegato Fiom Fiat Mirafiori
Enrico Lancerotto - Atenei in Rivolta
Un/una esponente Movimento No Tav
Marco Filipetti - Comitati Acqua Pubblica
Introduce e coordina: Cristina Tuteri - Coord. Nazionale Sinistra Critica
Conclusioni: Piero Maestri - Portavoce Nazionale Sinistra Critica


La manifestazione nazionale si terrà sabato 23 Luglio con ritrovo alle ore 16.30 in Piazza Montanaro. Sinistra Critica sarà presente con un proprio spezzone.
Le compagne e i compagni sono invitati a partecipare.

mercoledì 13 luglio 2011

Il loro debito non lo paghiamo!


Respingiamo la manovra lacrime e sangue del governo:
50 miliardi di euro rubati alle classi popolari

Sapevamo tutti che la crisi del capitalismo non era finita e che ben presto, dopo Grecia e Portogallo e Spagna, anche l’Italia sarebbe finita nella tormenta. Le classi dominanti in Europa, come in Italia non hanno nessun vero progetto per il futuro se non quello di scaricare sulla classe lavoratrici tutte le contraddizioni sociali, economiche ed ambientali del loro iniquo sistema basato sul profitto, la concorrenza e il mercato. Ora vogliono che l’enorme debito con cui banche e padroni si sono arricchiti nel corso degli anni sia pagato dalle classi popolari. Quando televisioni e giornali di ogni colore dicono “c’è la speculazione, abbiamo il fuoco in casa, dobbiamo fare sacrifici per rassicurare i mercati” vogliono dire che le lavoratrici e i lavoratori dovrebbero lasciarsi spogliare di salari, pensioni, tempo di lavoro e di vita, servizi sociali e sanitari per dare ai capitalisti e alla speculazione finanziaria
Per raggiungere questo obbiettivo è stata già messa insieme una “sacra unione” che unisce partiti di governo e di “opposizione”, la confindustria, le tre confederazioni sindacali (che non a caso hanno firmato un patto sociale per legare le mani ai lavoratori), con a capo il Presidente delle repubblica che svolge il ruolo di supremo rappresentante istituzionale del capitalismo italiano.
Tutti pronti a sostenere e varare rapidamente la paurosa stangata da 40 miliardi del governo Tremonti Bossi Berlusconi, (in realtà l’insieme delle misure nel corso dei prossimi anni vale circa 68 miliardi di euro), cioè una vergognosa aggressione sociale contro tutte le classi popolari.

I contenuti della manovra
La manovra economica è la combinazione di 2 provvedimenti, un decreto legge, in vigore già da lunedì e una legge delega di modifica radicale del sistema fiscale ed assistenziale, da approvare nei prossimi mesi. Uno è peggio dell’altro. Secondo Tremonti il prima rapina vale 25 miliardi di euro, la seconda 15 milioni.
Il primo decreto prevede:

 9, 6 miliardi rubati alle Regioni, alle province e ai comuni. Si aggiungono ai 10 miliardi già rubati l’anno scorso a questi stessi enti locali. Crolleranno i servizi pubblici, i trasporti, l’assistenza, gli asili, le spese più elementari per garantire la qualità di vita dei cittadini, la riparazione delle strade, le lampadine, ecc ecc.

 5 miliardi euro rubati alla sanità; dal prossimo anno viene reintrodotto il ticket di dieci euro su visite specialistiche e analisi che si aggiungono a quelli già introdotti dalle regioni; dal 2014 il governo introdurrà ticket aggiuntivi su qualsiasi prestazione sanitaria. L’obbiettivo è chiaro, distruggere la sanità pubblica a vantaggio di quella privata; peggio per tutti quelli che non hanno i soldi per pagarsi la salute……

 2-3 miliardi rubati lavoratrici e lavoratori del pubblico impiego, della scuola, della sanità, i salari di questi dipendenti sono bloccati per 4 anni fino al 2014. Chissà cosa succederà dopo…Blocco totale delle assunzioni e perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro.

 3,8 miliardi di euro rubati alle pensioni; nei prossimi anni: aumento dell’età pensionabile a 65 per le lavoratrici del settore privato (quelle del settore pubbliche già sottostanno a questa norma penalizzante); accelerazione del meccanismo automatico di aumento dell’età della pensione per tutti, uomini e donne anni (anni di lavoro rubati e regalati ai padroni, togliendo occupazione ai giovani); blocco o riduzione per una larghissima fetta di pensionati dei modestissimi aumenti collegati al carovita.

Ma ci sono anche ulteriori porcherie.
 Viene aumentato l’imposta da bollo sul deposito dei titoli. Cosa significa?
 Coloro che hanno messo i loro modesti risparmi (la liquidazione per esempio) in banca investendolo in BOT o altri titoli pubblici pagheranno una imposta da bollo molto più cara. Per chi ha un deposito al di sotto dei 10.000 euro, il costo dell’imposta mangerà il modesto rendimento annuale dei risparmi.
 Viene completamente liberalizzato il collocamento, che perde sempre di più il suo carattere pubblico, quindi di controllo della società sui meccanismi delle assunzioni al lavoro e diventa sempre più un affare dei privati. Oltre agli enti privati che già lo possono esercitare ad essi vengono aggiunti le scuole medie superiori, le università, i comuni, i patronati, gli enti bilaterali, i gestori dei siti internet. ecc.
 Costerà più caro accedere alla giustizia di fronte alle prepotenze di qualche mascalzone o dei padroni. Viene aumentato il contributo unificato, cioè quella tassa che si paga per poter rivendicare giustizia in una causa civile, per esempio in una contenzioso di condominio.
 Ma soprattutto viene introdotta questa gabella anche per una serie di cause che finora erano esenti dal pagamento della tassa. Ora pagheremo anche per:
 le cause di lavoro
 le cause previdenziali
 le cause del pubblico impiego
 le cause di separazione dei coniugi.
 Per un lavoratore licenziato ricorrere alla giustizia costerà subito 37 euro, ma secondo alcune stime il costo reale sarà di 228 euro.
 Sarà più difficile chiedere un prestazione di invalidità all’INPS. Prima bisognerà sottoporsi a una speciale visita disposta dal tribunale presso un consulente tecnico d’ufficio.

Il peggio del peggio

Il peggio del peggio viene con la controriforma del fisco e dell’assistenza

Il disegno di legge collegato alla manovra economica che il governo vuole far approvare prevede una rapina di 15 miliardi così articolata.

 Una drastica riduzione della progressività dell’imposta personale sul reddito (IRPEF) riducendo il sistema a tre solo aliquote 20, 30, 40 per cento. Questo significa che i redditi più alti che finora avevano una aliquota al 43% si vedranno drasticamente ridotte le tasse. I ricchi gioiscono.
 Contemporaneamente un drastico taglio (almeno 3,5 miliardi) delle agevolazioni fiscali collegate a situazioni che lo stato voleva giustamente tutelare e per i redditi medio bassi.
 6 miliardi di aumento dell’imposizione indiretta, cioè dell’IVA. I prezzi di tutti i generi di consumi aumenteranno e naturalmente ad essere fortemente penalizzate saranno le classe popolari, i pensionati e i giovani.
 5 miliardi di tagli all’assistenza; una vergogna, una infamia; si specula sulla sofferenza e sul disagio delle persone; come rubare il portafoglio a una vecchietta paralitica. Centinaia di migliaia di persone precipitate insieme alle loro famiglie, nella disperazione e nella solitudine.
 Stretta sulle pensioni di reversibilità. Se ne vuole concedere meno e di minore importo. A pagare di più saranno ancora e soprattutto le donne (moltissime percepiscono una pensione personale bassissima), che oltre a dover subire la perdita del coniuge, si vedranno anche private di tutta o parte della reversibilità, per cui la morte del marito significherà anche la precipitazione nella miseria.

Tremonti dopo aver annunciato una misura draconiana nel caso in cui il parlamento avesse fatto “fatica” ad approvare queste misure, una clausola di salvaguardia da inserire nella legge di stabilità (la vecchia legge finanziaria) per cui tutte le agevolazione fiscali e assistenziali sarebbero state automaticamente tagliate del 10-15% (il cosiddetto taglio lineare) al fine di impadronirsi dei 15 miliardi necessari a tacitare (forse) le borse e i mercati, con l’apertura del dibattito parlamentare ha proposto che questa norma capestro sia inserita direttamente nel decreto legge e quindi diventi subito operativa.
Inoltre si preannuncia un’altra vergognosa operazione, la svendita dei beni pubblici a partire dalle aziende municipalizzate e in totale spregio al risultato del referendum.

Occorre reagire, dire basta a queste infamie.
E’ necessaria un reazione immediata, una mobilitazione di tutte le lavoratrici, di tutti i lavoratori, giovani, pensionati, dal basso, per respingere la manovra “lacrime e sangue” del governo italiano che agisce insieme e per conto del governo unico dell’Unione Europea e della Banca europea.

Dobbiamo batterci per la difesa dei diritti, dei salari, dell’occupazione, dei servizi sociali e pubblici, della qualità dell’ambiente; una mobilitazione che unisca tutti i movimenti che si stanno manifestando in questo paese, che riaffermi che:

LE NOSTRE VITE VALGONO PIU’ DEI LORO PROFITTI
IL LORO DEBITO NOI NON PAGHIAMO

A pagare devono essere le banche, che vanno nazionalizzate, i capitalisti, le rendite, i ricchi, tutti coloro che hanno speculato impunemente in questi anni.

Dobbiamo unire la nostra battaglia a quella che si combatte in tante altre piazze di Europa, dalla Grecia alla Spagna per difendere il nostro futuro e quello delle nostre figlie e figli. Dobbiamo unire le forze e costruire la convergenza di tutte le opposizioni politiche e sociali del paese e in Europa.

OPPOSIZIONE ALLO SFRATTO


Comunicato Stampa
In data odierna, l'ufficiale giudiziario, accompagnato dalle forze dell'ordine, si presentava a casa di un lavoratore di origine marocchina, dipendente della New Holland di San Mauro ( TO ) e abitante in via Galliari 12 Torino, per dare seguito all'ordinanza del giudice consistente nel fare eseguire lo sfratto intimato dal proprietario dell'appartamento occupato dal lavoratore, sua moglie e il figlio della coppia. Un bimbo di un anno o poco più.
Ad attendere padrone di casa, ufficiale giudiziario e forze dell'ordine, però, c'era anche USB con una folta delegazione.
Già da subito i padroni di casa facevano intendere che non c'erano spazi per alcuna trattativa: il lavoratore e la sua famiglia dovevano andare via! Dopo due ore di trattative e discussioni, in qualche momento anche dai toni accesi e quando un fabbro sorvegliato dagli agenti già si era adoperato a rompere la serratura del cancelletto di ingresso, si riusciva ad ottenere una proroga di 20 giorni per dare il tempo al lavoratore di trovare una sistemazione che non fosse quella di trovarsi di punto in bianco sul marciapiede con moglie e figlio.
A questo punto abbiamo accompagnato Abdelilah, a sollecitare , presso l'ufficio emergenza abitativa del comune di Torino , una soluzione idonea al suo nucleo familiare .
Lo sfratto è stato determinato da morosità incolpevole , in quanto il lavoratore proveniva da oltre due anni e mezzo di salario ridotto perchè in cassa integrazione : sono questi i frutti della crisi voluta dai padroni e che continua a scaricare costi e sacrifici facendo pagare le fasce più deboli del paese.
Come organizzazione sindacale continueremo a sostenere i soggetti più deboli di questa società malata, siano essi lavoratori, disoccupati, precari e migranti. E saremo altresì sempre presenti al fianco di chi è costretto a subire gli effetti di una crisi che non ha certo voluto ne tanto meno creato.
Torino 12 Luglio 2011
AS.I.A.-USB

domenica 10 luglio 2011

Voglia di vincere


LEGGI IL SOMMARIO DEL NUOVO NUMERO DI ERRE E SOTTOSCRIVI SUBITO L'ABBONAMENTO!

VOGLIA DI VINCERE - ERRE N. 43

EDITORIALE
L'unica proposta alternativa

PRIMO PIANO
Referendum, la voglia di tornare a vincere (Emiliano Viti)
Puglia, una battaglia controcorrente (Federico Cuscito e Gianni de Giglio)
Il pubblico in comune (Nando Simeone)
Non c'è nucleare senza catastrofe: Fukushima lo dimostra (Daniel Tanuro)
Il nucleare, l'informazione lo può battere (Giorgio Carlin)

TEMPI MODERNI
I sindacati di base di fronte a un bivio (Roberto Firenze)
Il ritorno degli autoconvocati (Andrea Martini)
Nuove reti femministe (Lidia Cirillo e Flavia D'Angeli)
Organizzare la rivolta (Ateneinrivolta)

FOCUS
La rivoluzione è possibile (Piero Maestri)
I ragazzi che hanno fatto la rivoluzione (Fathi Ghamkhi)
La sollevazione dell'Egitto: non solo una questione di transizione (Adam Hanieh)
Tunisia, Egitto...di nuovo la rivoluzione permanente (Gigi Malabarba)

IDEEMEMORIE
Keep ya head up (Antonio Ardolino e Dario Firenze)
Le scritture resistenti (Checchino Antonini e Eugenia Foddai)
Libreria

mercoledì 6 luglio 2011

Cosa è successo in Val Susa?


Guardando ciò che in rete è accessibile a tutti si scopre che nella Valle è andata in onda una resistenza popolare come non si vedeva da tempo. Ma l'assalto mediatico e ideologica mostra un'unità nazionale di fatto tra centrodestra e centrosinistra


imq
Cos'è successo in Val di Susa? Alcuni siti, informazioni disponibili a tutti e tutte (ad es.qui, qui, qui) lo possono rivelare. E guardando quello che è accessibile a tutti si scopre che nella Vale, domenica 3 luglio, è andata in onda una resistenza popolare come non si vedeva da tempo. Frutto di uno dei movimenti popolari più organizzati e duraturi dell0ultimo decennio. Purtroppo, l'informazione, come dire?, "mainstream"?, uniformata, cieca e monodirezionale, preferisce giocare la solita divisione dei "cattivi" che ostacolano i "buoni", dei "violenti" - addirittiura responsabili di "omicidio", come dice oggi Maroni - che fanno ombra ai "pacifici". E tutti a far finta di non vedere l'evidenza: la Tav la Valle non la vuole e se a qualcuno è sfuggita un po' la mano, nessuno può far finta di non vedere l'esercito schierato a protezione di un cantiere, i lacrimogeni sparati ad altezza uomo, i manganelli che roteano per permettere a una classe politica che rappresenta sempre meno di poter portare in bocca ai propri padroni i denari del finanziamento europeo e dei mega-appalti che dovranno sventrare un territorio e rimpinguare profitti già grassi.
Tutto questo Napolitano lo sa ma fa finta che non sia successo. Il problema è che lo sanno bene quelle decine di migliaia di persone che ieri sono scese in strada e che lo faranno ancora, e che i black bloc non li hanno mai visti e non se ne preoccupano più di tanto come spiegano oggi in conferenza stampa i comitati.
La Tav è un'altra metafora del Paese, disegna plasticamente lo scollamento tra "l'alto" e il "basso", tra rappresentanti e rappresentanti e non è un caso che, suo malgrado, sia stato Beppe Grillo a finire stavolta nel frullatore delle polemiche.
L'assalto mediatico e ideologico è già partito e, ancora una volta, si dimostra che sulle cose serie - i conti con l'Europa, le Grandi opere, gli accordi sociali, etc - "l'unità nazionale" esiste di fatto e non a caso è benedetta dal Capo dello Stato. E davvero non si capisce dove vogliano andare a parare quei partiti della sinistra che si immaginano coalizioni vittoriose con quel Pd che oggi richiama il movimento all'ordine e minaccia interventi polizieschi.
L'unica speranza, ancora una volta, è quel movimento: la sua unità, tenuta e determinazione. Al di là degli "eroi", è il movimento che potrà fare la differenza e sconfiggere le cornacchie di regime.

venerdì 1 luglio 2011

Contratti senza conflitto


I punti dell'intesa siglata tra Cgil, Cisl e Uil e Confindustria. Vincolo ai sindacati "ribelli", deroghe e una norma scritta apposta per la Fiat. Una nuova pagina nelle relazioni sindacali


Salvatore Cannavò
L’accordo siglato da Cgil, Cisl e Uil con Confindustria regolerà la contrattazione aziendale, quella definita di secondo livello, ed è un testo che mette un punto alla lunga vertenza che ha visto fronteggiare la Fiat di Sergio Marchionne e la Fiom di Maurizio Landini. A una prima lettura del testo la vittoria del primo appare schiacciante anche se dal Lingotto vengono al momento fatte filtrare delle perplessità.
Pur ribadendo in premessa la “Centralità del valore del lavoro e “il ruolo del contratto collettivo nazionale” l’intesa del 28 giugno ha lo scopo di “favorire il ruolo della contrattazione di secondo livello per una maggiore certezza delle scelte operate di intesa tra aziende e rappresentanze sindacali dei lavoratori”. E’ quanto chiedeva Confindustria e la Fiat. L’accordo si basa su otto punti più un nono che regola, anche se non completamente, le modalità di negoziato degli accordi confederali e di categoria.

Fondamentalmente si basa sulla certificazione degli iscritti che vengono ponderati con i consensi elettorali ottenuti dalle Rsu per valicare i contratti aziendali; sul consenso della maggioranza delle Rsu o delle Rsa prevedendo, solo in questo secondo caso, il voto dei lavoratori; apre alle deroghe che però vengono chiamate in modo diverso; apre al salario di produttività tanto caro a Sacconi; vincola in modo rigido l’agibilità dei sindacati di categoria che non potranno obiettare alle intese siglate dalla maggioranza delle Rsu e nemmeno potranno scioperare in caso di “tregua sindacale” (ma dal vincolo sono esclusi i lavoratori, il cui diritto allo sciopero è sancito dalla Costituzione). Stabilisce, infine, una norma redatta sulle specifiche esigenze della Fiat riconoscendo, ex post, la legittimità degli accordi di Pomigliano e Mirafiori.

I punti
E’ il primo paragrafo a regolare la certificazione degli iscritti prendendo a riferimento i contributi sindacali dei lavoratori trattenuti dall’Inps. I dati vengono trasferiti al Cnel, che opera da ente terzo, e per negoziare occorre godere, all’interno della categoria interessata, almeno del 5% dei consensi mixati tra iscritti e voti alle Rsu.
Si stabilisce poi che il Contratto nazionale continua a regolamentare le retribuzioni e le normative generali mentre quello aziendali si svolge su materie “delegate dal contratto nazionale”.
Al punto 4 si sancisce quella che Giorgio Cremaschi, della minoranza Cgil, chiama “la norma liberticida”: “I contratti aziendali sono “efficaci” (quindi vincolanti, ndr) per tutti i sindacati firmatari del presente accordo, operanti all’interno dell’azienda, “se approvati dalla maggioranza dei componenti delle Rsu elette secondo le regole interconfederali vigenti”. E’ il caso di Pomigliano: di fronte alla firma della maggioranza delle Rsu che la condiziona dal basso, e all’entrata in vigore dell’accordo firmato ieri, che la condiziona dall’alto, la Fiom non può far altro che adeguarsi. Con le clausole definite ieri non ci sarebbe più nemmeno il referendum che pure c’è stato a Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco. Il voto dei lavoratori, infatti, non viene contemplato ed è previsto nelle aziende in cui, invece delle Rsu – introdotte con l’accordo del 1993 – esistano solo le Rsa – rappresentanze sindacali aziendali, previste dallo Statuto dei lavoratori del 1970 – che non sono organi eletti ma nominati dai sindacati. In questo caso, quando un sindacato firmatario dell’accordo di ieri o il 30 per cento dei lavoratori, lo richiedono si può andare al voto tra i lavoratori che è valido se partecipa almeno la metà più uno degli aventi diritto.
Il vincolo ai sindacati ribelli può essere ribadito anche con “la tregua sindacale” qualora venga prevista dai contratti aziendali e che si applica sempre ai sindacati firmatari dell’accordo quadro ma non ai singoli lavoratori (cui spetta il diritto sancito dalla Costituzione).

Le deroghe

Il punto più corposo è il settimo ed è quello che regolamenta le cosiddette deroghe. Non vengono chiamate così ma l’accordo stabilisce che “i contratti collettivi aziendali possono definire, anche in via sperimentale e temporanea, specifiche intese modificative delle regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro nei limiti e con le procedure previste dagli stessi contratti collettivi nazionali di lavoro”. Dovrebbe essere quindi il contratto nazionale definire le procedure e i limiti per regole specifiche. Le deroghe appunto. Nel caso della Fiat, però, il contratto nazionale non ha previsto nulla del genere. Ed è qui che scatta la norma cucita addosso alla Fiat: “Ove non previste e in attesa che i rinnovi definiscano la materia nel contratto collettivo nazionale di lavoro applicati nell’azienda, i contratti collettivi aziendali conclusi con le rappresentanze sindacali operanti in azienda d’intesa con le organizzazioni sindacali territoriali firmatarie del presente accordo, al fine di gestire situazioni di crisi o in presenza di investimenti significativi per favorire lo sviluppo economico e occupazionale dell’impresa, possono definire intese modificative con riferimento agli istituti del contratto collettivo nazionale che disciplinano la prestazione lavorativa, gli orari e l’organizzazione del lavoro. Le intese modificative così definite esplicano l’efficacia generale come disciplinata nel presente accordo”. Il testo è molto chiaro, quello che è stato fatto negli stabilimenti del Lingotto – “al fine di gestire situazioni di crisi o in presenza di investimenti significativi” – è valido e ha efficacia generale. Resta da vedere se il testo sarà utilizzato in tribunale a favore della Fiat o meno. Camusso ha voluto specificare che la norma non è “retroattiva” ma l’ultima parola spetterà probabilmente al giudice.
L’ottavo punto dell’accordo è un peana per Sacconi. Si riconosce che le misure adottate dal governo in tema di sostegno alla contrattazione aziendale, e cioè la sua detassazione e il supporto ai salari di produttività, “hanno dimostrato reale efficacia” e quindi se ne chiede un rafforzamento “ai fini del miglioramento della competitività nonché ai risultati legati all’andamento economico delle imprese, concordati fra le parti in sede aziendali”.

Gli accordi confederali e di categoria
L’accordo ha un’appendice che riguarda gli accordi sindacali con valenza generale e quelli di categoria. Un testo che servirebbe a regolare eventuali divergenze. La procedura prevista per gli accordi confederali e di categoria prevede che siano le segreterie a definire le piattaforme, gli organismi dirigenti dei sindacati a discutere e approvarle prevedendo “momenti di verifica con gli iscritti” fino alla “consultazione certificata tra tutti i lavoratori come avvenuto nel 1993 e nel 2007”. Nel caso degli accordi di categoria, si demanda la questione a “specifici regolamenti (…) al fine di coinvolgere sia gli iscritti che tutti i lavoratori e lavoratrici”. Il referendum non viene mai citato ma ci si limita anche qui a “momenti di verifica per l’approvazione degli accordi mediante il coinvolgimento delle lavoratrici e dei lavoratori”.

Cambia il vento, non per la Cgil


Susanna Camusso firma il nuovo patto sociale con Confindustria, Cisl e Uil. Sconfitta la Fiom. Via libera alle deroghe, sotto falso nome, e tregua allo sciopero in caso di accordi aziendali


Sa.Can.
E’ una svolta delle relazioni sindacali e forse del quadro politico e sociale italiano. L’accordo tra Cgil, Cisl e Uil e Confindustria su contrattazione e rappresentanza è stato firmato nella tarda sera di martedì 28 giugno e questo giorno sarà ricordato a lungo. Si tratta di un testo di 9 punti, articolato in più parti e che tratta la rappresentanza, l'esigibilità dei contratti, cioè la loro efficacia, la contrattazione aziendale.
Le deroghe non vengono citate ma si dice che “si possono attivare strumenti contrattuali mirati a specifici contesti produttivi e specifiche intese modificative delle regolazioni previste dai Ccnl” nei limiti previsti da quest’ultimi. Come dice Marcegaglia "i contratti aziendali sono ora più forti ed esigibili".
Sulla rappresentanza, è definito un criterio basato sul mix tra iscritti certificati e voti nelle Rsu e per approvare un contratto serve il 50 per cento più uno. Dove esistono le Rsa si va al voto dei lavoratori. In caso di accordo valido scatta la “tregua dello sciopero” sul modello dell’accordo raggiunto con i sindacati Usa, cioè nessuna astensione dal lavoro per un certo periodo.
E’ un accordo che segna il rientro della Cgil nella concertazione degli ultimi anni, quella a guida Cisl e che permette a Confindustria di garantirsi un "patto sociale" e una possibile "pace sociale". "Una stagione nuova" dice Susanna Camusso anche se nell'accordo, come sottolinea Emma Marcegaglia, viene recepita la sostanza della vertenza Fiat, cioè la volontà di articolare la contrattazione aziendale e territoriale a seconda delle necessità delle imprese e viene sconfitta la Fiom che, a questo punto, potrebbe anche essere privata delle basi giuridiche che hanno portato al ricorso in tribunale contro la Fiat (l'udienza è prevista il 16 luglio). "È un accordo che estende a tutti i lavoratori il modello Fiat, è un cedimento gravissimo della Cgil che contrasteremo in Cgil, nelle fabbriche e nel Paese" dice Giorgio Cremaschi dell'area "La Cgil che vogliamo" che si riunirà al Roma il prossimo 13 luglio.
La Cgil sottoporrà da mercoledì l'accordo al vaglio dei segretari di categoria e poi chiamerà a esprimersi il direttivo nazionale. In ogni caso la scelta di Camusso è fatta e come dice ancora la presidente di Confindustria "chiude la stagione delle divisioni". Di fatto, chiude la lunga parentesi prodotta dallo scontro tra la Fiat e la Fiom. Ma non si tratta solo di un avvenimento sindacale, perché rientra in pieno nel clima di responsabilità nazionale che si respira in prossimità della manovra finanziaria e delle tagliole europee pronte a scattare. Non a caso il ministro Tremonti ha voluto rivolgere un sentito "grazie" ai leader sindacali e alla presidente di Confindustria "per quello che hanno fatto oggi per il bene del nostro paese". Un accordo su cui potrebbe anche aver influito, a giudicare da certi toni utilizzati nel direttivo nazionale della Cgil, non poco l'autorità e la "moral suasion" del Capo dello Stato.