lunedì 23 giugno 2008

Ripartiamo dal lavoro

Si è svolto il 16 febbraio a Torino il primo convegno sul lavoro di Sinistra Critica. Con circa 200 partecipanti ai lavori complessivi, il convegno ha visto una forte presenza operaia che si è manifestata con numerosi interventi e testimonianze, molto puntuali e indicative dello stato di "salute" del lavoro nella sua quotidiana guerra con il capitale. Di seguito la relazione introduttiva

di Gigi Malabarba
Poche settimane fa, alla fine del 2007, i lavoratori e le lavoratrici della Powertrain di Torino, ossia le Meccaniche Fiat Mirafiori, hanno respinto con un referendum un accordo sindacale che prevedeva l’introduzione di 17, 18 e anche 20 turni di lavoro, cancellando di fatto il sabato come giornata non lavorativa: una conquista di quasi 40 anni fa, frutto delle lotte dell’autunno ’69, che introdussero le 40 ore su 5 giorni lavorativi.
Questi operai sono stati letteralmente linciati in questa città, perché ‘privilegiati ed egoisti’: il loro No avrebbe impedito l’assunzione di 250 interinali, in gran parte peraltro già in produzione. Tutti contro: dalle istituzioni ai partiti, ai sindacati, compresa la dirigenza della Fiom e persino dei nostri ex compagni di partito. Lasciati soli da tutti, quei lavoratori comuni e quei militanti combattivi con la tessera della Fiom o dell’Sdl hanno incontrato la solidarietà di Sinistra Critica e del compagno Franco Turigliatto.
Sono passati poco più di tre anni e sembra un secolo. Dov’è finito il sostegno alla gloriosa lotta di Melfi che aveva rilanciato il conflitto di classe in questo paese, proprio sul rifiuto di quei turni di lavoro?
La resistenza alla Powertrain parlava e parla a tutta la classe operaia italiana e va valorizzata perché pone un freno al totale arbitrio padronale, che ha già ottenuto sfondamenti nella maggioranza delle categorie e dei settori di lavoro, che non conoscono più da tempo sabati liberi (e spesso neanche domeniche) e che lavorano su cicli continui anche quando le esigenze tecniche non lo richiedono affatto.
Era una resistenza e la si è voluta criminalizzare. Non ci piace essere rimasti da soli con loro, ma siamo orgogliosi di stare con loro!

Parlerà tra poco da questo microfono ol compagno Ciro Argentino, Rsu della Thyssenkrupp, che ringraziamo per aver accolto l’invito a partecipare al nostro convegno. All’indomani della tragedia che è costata la vita a sette lavoratori, ci raccogliemmo in un minuto di silenzio nel corso della Conferenza nazionale di Sinistra Critica a Roma. Oggi invece vogliamo dar voce alla nostra rabbia contro l’arroganza e le menzogne di questa azienda, ma anche contro la gigantesca montagna di ipocrisia del mondo politico-istituzionale e anche sindacale riguardo agli omicidi bianchi.
La macabra contabilità dell’Inail ha censito già 125 morti in queste prime settimane del 2008. E sappiamo che è persino un conto in difetto: vengono infatti registrate solo le morti che producono una rendita ai familiari. Quando la vittima non ha eredi residenti o magari è un immigrato ‘irregolare’ esce dalle stesse statistiche.
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Ma la rabbia è soprattutto politica. Che cosa sta facendo il Ministero del lavoro in questi giorni rispetto ai cantieri edili, il luogo principale dove avvengono gli infortuni? Un decreto legislativo minimo del 19 luglio 2005 (governo Berlusconi) prevedeva che entro due anni le imprese dovessero realizzare obbligatoriamente dei corsi di formazione di 28 ore per i propri addetti che operano sui ponteggi (con una parte teorica, una parte pratica e una dedicata al primo soccorso). Poco, ma non secondario specie per chi è sbattuto a lavorare senza preparazione alcuna e spesso non conosce neppure la lingua…
Ma a luglio 2007 (governo Prodi) non è successo niente, proprio mentre si discuteva del nuovo testo unico sulla sicurezza. E qualche giorno fa una circolare del ministero di Cesare Damiano ha prorogato di un altro anno i tempi per applicare questa norma sui cantieri, persino violando le procedure: una circolare infatti non può sostituire una legge!
Le norme per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro in Italia esistono e dalla scorsa estate sono state anche migliorate sulla carta, lo sappiamo. Il problema è farle applicare. E quindi il problema sono i controlli: sono decenni che lo si afferma perentoriamente dopo ogni cosiddetto incidente, dopo ogni crimine padronale, chiamiamolo con il suo nome! E allora perché centrodestra e centrosinistra – Cosa rossa compresa – hanno respinto, tutti insieme, gli emendamenti di Sinistra Critica che raccoglievano le semplici richieste dei lavoratori che si occupano di salute, degli operatori e di organizzazioni come Medicina Democratica?
Parlo dell’incremento degli ispettori del Lavoro e delle Asl che, con i numeri attuali, se fossero tutti mobilitati, potrebbero ispezionare un’azienda sì e no ogni 30 anni…
Ma soprattutto parlo del rafforzamento dei poteri, dei permessi e dell’autonomia dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, i Rls: quello è il punto decisivo contro cui, invece, si alza un muro invalicabile: solo chi è interno a quello specifico ciclo produttivo può predisporre le tutele necessarie, lo sappiamo. Ma non si passa! Prima si respingono in parlamento quei poteri necessari ai Rls e poi ci si lamenta – potrei fare i nomi dei politici in questione! – che i Rls non hanno poteri…
Per non parlare poi, subito dopo la tragedia della Thyssenkrupp, dell’approvazione del Protocollo sul welfare che sancisce la precarietà a vita nei rapporti di lavoro (fonte di disastri anche in tema di sicurezza) e con lo stesso decreto si rendono meno costosi gli straordinari. Era stata anche questa una piccola conquista di civiltà a metà degli anni ’90. Forse non ci si ricorderà, ma la maggiorazione delle contribuzioni a carico delle imprese per le ore straordinarie è stato il sottoprodotto della battaglia per la riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore: non c’è stata la riduzione, ma almeno gli straordinari diventavano più costosi. Il tutto è stato cancellato con un colpo di spugna e in silenzio dal governo di centrosinistra. E poi si grida allo scandalo per i morti sul lavoro, quando magari le vittime erano al lavoro da 14 e più ore di seguito…

E consentitemi ancora un riferimento d’obbligo ai problemi della salute: la questione amianto. Sappiamo che il picco di mortalità arriverà attorno al 2015, mentre alle decine di migliaia di ammalati di asbestosi è stato cancellato il beneficio
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previdenziale esistente. Nella finanziaria, anche in questa ultima, sono state negate elementari risorse anche per le cure, non tutte coperte dal Ssn. Persino sui risarcimenti delle vittime si è voluto lesinare: 30 milioni è il fondo complessivo per tutti, ossia una risorsa identica – pensate un po’- al finanziamento per realizzare il vertice G8 all’isola della Maddalena nel 2009…Anche questo è un crimine e va denunciato!

Mi ero ripromesso di non polemizzare direttamente con un altro convegno che si è tenuto qualche giorno fa qui a Torino, ma proprio non è possibile: bisogna capire a quale livello di devastazione si è arrivati dopo meno di due anni di sinistra di governo.
E’ facile polemizzare con il PD che mette sullo stesso piano padroni e operai, o, per meglio dire, che dialoga con Montezemolo tutti i giorni e mette in lista qualche operaio il giorno delle elezioni. Meno facile è affrontare un progetto alternativo al PD, che da quel convegno non esce. Anzi, esce un aggancio evidente con le politiche del PD.
I rapporti di forza tra le classi si erano deteriorati a causa delle sconfitte dell’ultimo ventennio, a partire dalla Fiat nell’80 (presentata allora come una vittoria), per passare poi alle politiche di concertazione dei primi anni ’90 e per tutte le normative introdotte dai governi di centrosinistra e di centrodestra. Ognuno di quei provvedimenti ha indebolito la classe e, se non rimosso, continua a spostare ulteriormente verso il basso i rapporti di forza e ad incidere profondamente sulla solidarietà di classe e sulla coscienza stessa di lavoratori e lavoratrici.
Se il Protocollo sul welfare consolida e persino convalida con il trucco plebiscitario la distruzione del sistema giuridico del lavoro confermando la legge 30 e i contratti a termine infiniti, non si può voltar pagina e ricominciare da capo. Quelle norme, come già il pacchetto Treu da 10 anni, disarticolano ogni possibilità di resistenza. Vanno rimosse, se si vuole ricominciare davvero.
Se negli ultimi anni il 15% di chi lavora è stato al di sotto della soglia di povertà e oggi ci avviciniamo al 20%; se i lavoratori dipendenti negli ultimi 5 anni hanno perso mediamente quasi 2.000 euro; se il 10% delle famiglie italiane possiede quasi la metà delle ricchezze prodotte come nel Terzo mondo, non è colpa del destino!

Il declino di salari, stipendi e pensioni è diventato drammatico non a caso negli ultimi 15 anni ed è stato frutto della cancellazione del sistema contrattuale conflittivo e dell’introduzione della concertazione e della cosiddetta ‘politica dei redditi’, iniziata con l’abolizione della scala mobile il 31 luglio 1992. Ora, non è possibile denunciare la devastazione salariale e la miseria anche di chi lavora (cosa che dicono tutti peraltro: Confindustria, Padoa Scioppa, Bankitalia, Ue,…Vaticano) e poi non contrastare la concertazione. Certo, il relatore a quel convegno di partito non ha mai rinnegato il proprio sostegno agli accordi di luglio, ma oggi quell’orientamento è persino rafforzato da un’ipotesi di ulteriore istituzionalizzazione delle relazioni industriali, prendendo ad esempio il modello tedesco (anche su questo…).
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Cito: “Il consiglio di sorveglianza ha il compito di vigilare perché l’operato del consiglio di gestione non vada contro gli interessi generali dell’impresa, tra i quali (tra i quali!) ci sono gli interessi dei lavoratori”. La proposta diventa cioè quella della cogestione, ossia di organismi unitari di industriali e lavoratori. A dirlo non è Walter Veltroni, ma il responsabile economico del Prc Maurizio Zipponi.
Il ritorno probabile, quasi voluto, all’opposizione non significa per nulla rilancio del conflitto e dell’opposizione sociale, ma porta dritti dritti al mitbestimmung (giusto per usare la terminologia classica ripresa anche dai nostri amici chainworkers milanesi)!
Nonostante il suo totale fallimento, ci si crogiola ancora attorno al ‘compromesso dinamico con la borghesia produttiva’ anche dall’opposizione…(E vi risparmio le citazioni di Kennedy sul ‘chiedetevi cosa potete fare voi per il vostro paese’ perché è troppo, davanti a una platea di lavoratori).
Qui torna l’asse col PD, su questo si gioca il confronto con Cgil, Cisl, Uil sempre più dentro lo schema ormai egemone della Cisl.
Se è questa la sponda politica da ‘sinistra’ alla difesa dell’ultimo baluardo di solidarietà del lavoro rimasto, il Contratto collettivo nazionale oggi sotto attacco, i lavoratori sono fritti…

Secondo il Cnel, la contrattazione integrativa, quella di II° livello, non esiste nelle piccole imprese e non viene realizzata in più del 10% di quelle che hanno oltre 100 dipendenti. Questo dà l’idea di cosa conta il contratto nazionale per quasi tutti i lavoratori, tanto per capire cos’hanno in testa quelli che vogliono trasferire quasi tutto alla contrattazione decentrata.
Prendiamo il contratto dei metalmeccanici. Ricordo un’assemblea con i lavoratori di Termini Imprese nel 2002, a cui ho partecipato con Claudio Sabattini che aveva appena messo la Fiom sulla strada dell’anomalia dopo un decennio di crisi. Sabattini disse: “Basta, non c’è più niente da scambiare”.
Tentativi di imbastire un nuovo percorso conflittuale sono stati effettivamente fatti da parte della Fiom, arrivando anche a non sottoscrivere contratti nazionali o di grandi gruppi. Quest’ultimo contratto segna però la fine di questa anomalia della Fiom dentro la Cgil: siamo all’esplicito scambio tra salario e produttività (e flessibilità). In altri termini più popolari: ‘tu puoi avere più salario solo se lavori di più’. Punto. E’ il ritorno al cottimo, per dirla con Cremaschi.
Senza entrare troppo nel dettaglio (Sinistra Critica ha prodotto un volantino su questo per avviare la campagna per il No al referendum), dei 127 euro medi di aumento su due anni, che sono 97 al 5° livello, per il 1° anno corrispondono ai 60 euro che voleva dare Federmeccanica. In cambio di 11 ore e 40’ annuali non retribuite agli operai per effetto della mensilizzazione della busta-paga e di 16 ore di lavoro in più, tra 1 sabato lavorativo e 1 giorno di permesso ceduto all’azienda (e chi parla di ‘recupero’ di quel giorno non è mai stato in un luogo di lavoro o è un provocatore). E poi l’introduzione di una nuova categoria salariale tra il 3° e 4° livello (abolita negli anni ’70), l’aumento del periodo di prova e la riduzione di paga per i nuovi assunti, ecc.
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Ma il punto chiave è il legame tra salario e produttività, che non consente proprio quella funzione di solidarietà e di tutela del potere d’acquisto che il contratto nazionale bene o male ancora manteneva.
Mi spiace citare ancora Zipponi, ma non si può dire ipocritamente – come già per la consultazione sul Protocollo – ‘decideranno i lavoratori’, per sparare poi subito dopo un ricatto grande come un macigno, del tipo: ‘pensate se non avessero firmato il 20 gennaio, il 21 le aziende avrebbero erogato unilateralmente gli aumenti, il 22 si apriva la crisi di governo, caduto poi il 24, …e il contratto nazionale non ci sarebbe stato più’. Grazie Zipponi, proprio un fulgido esempio di come un burocrate può colpevolizzare i lavoratori!
Con questi argomenti da parte della Cosa rossa, con un voto a 40 giorni di distanza dalla firma, con le buste-paga già fatte col nuovo contratto, che cosa volete che produca quel referendum dal 25 al 27 febbraio? Sinistra Critica si batterà in ogni caso per il No e sarà pienamente a sostegno di chi nelle fabbriche non approverà in qualsiasi forma quell’accordo, perché solo da lì – come già dal milione di No di novembre – si può ripartire. Ma non possiamo non comprendere la demoralizzazione, anzi la disperazione che investe i lavoratori oggi.
E questo brutto accordo ha conseguenze sulle altre categorie che hanno i contratti aperti, a partire dal Pubblico impiego (di questo settore, come degli insegnanti, dei ricercatori dell’università, ecc. parleranno altre compagne e compagni). E avrà conseguenze sullo stesso futuro di una sinistra sindacale di classe in questo paese, dopo la fine dell’anomalia Fiom, e su cui voglio tornare in chiusura.

Ora, il passaggio sulla cosiddetta riforma della struttura della contrattazione, che peggiora ulteriormente il modello concertativo degli anni ’90, sta per compiersi con l’accordo definito da Cgil, Cisl e Uil, centrato appunto sul vincolo salario-produttività aziendale.
Il contratto nazionale – da portare a 3 anni senza distinzioni tra parte normativa (ora quadriennale) e parte economica (ora biennale), prevedendo accorpamenti in macrocategorie al fine di depotenziare eventuali resistenze (basta pensare cosa significa in Cgil mettere insieme chimici e metalmeccanici) – il contratto nazionale, dicevo, è ridotto a luogo di definizione del minimo salariale, mentre il salario vero sarà tutto legato a istanze aziendali o territoriali in relazione alla produttività (o all’efficienza, per quanto riguarda la PA).
Ciò comporterà una frantumazione drammatica delle condizioni di lavoro e di salario da luogo a luogo del paese e anche dentro lo stesso settore, persino peggiore delle gabbie salariali spazzate via dalle lotte degli anni ’60. E siccome la contrattazione di II° livello la fanno in pochi, viene introdotto l’incentivo della detassazione degli aumenti aziendali, cui plaudono insieme, non a caso Berlusconi, Veltroni e Montezemolo. Sulla vergogna dell’inflazione programmata su cui definire le richieste contrattuali, introdotta nel ’93 col fine di ridurre i salari, Cgil Cisl Uil invece di proporre un meccanismo di recupero, almeno una volta misurato il tasso di inflazione reale, si sono inventati – non ridete – l’’inflazione realisticamente prevedibile’.
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Da ultimo (ma sarà opportuno ritornarci con un’analisi puntuale del documento che, ricordo, andrà poi contrattato col padronato e col futuro governo) sono previsti interventi sulle Rsu. Già nei contratti si è scritto che se le Rsu non raggiungono accordi in azienda gli apparati esterni avocano a sé le trattative, nei nuovi regolamenti – come per i chimici – le regole di sbarramento per partecipare alle elezioni vengono portate dal 5 al 20% dei dipendenti, mentre è prevista la destituzione della Rsu che non attuino i deliberati degli organismi di categoria. Amen.

Vorrei affrontare ora le proposte sulle questioni sociali e del lavoro di Sinistra Critica, in modo che il dibattito di oggi sia utile ad arricchire e a mettere a punto un programma di fase del nostro movimento politico. Innanzi tutto dobbiamo partire dal presupposto che il mondo del lavoro, come tutta la società, è sessuato e che tutte le rivendicazioni che avanziamo devono esprimere le ragioni e i contenuti di una battaglia femminista. E che i migranti, con la loro peculiarità di doppio sfruttamento, non sono parte a sé, ma componente fondamentale del nuovo proletariato. Per questo l’abrogazione della Bossi-Fini – prima vera controriforma del mercato del lavoro – resta una priorità.
Il punto di partenza per tutti e tutte non può che essere la questione salariale.
Ovviamente non possiamo prescindere da un quadro economico internazionale segnato da un’ormai certa recessione negli Stati Uniti, i cui effetti non potranno che tradursi in rallentamenti nelle economie europee. Mi interessa qui solo mettere in luce le misure che l’Unione europea sta adottando: guai ad allentare le politiche di rigore monetario, che sono servite innanzi tutto a tenere bassi i salari, e fuoco di sbarramento nei confronti di chi volesse intervenire con misure anche solo parzialmente redistributive per compensare l’erosione salariale, agitando lo spettro di una nuova impennata inflazionistica. Come dire che i salari devono continuare a stare sotto il tasso di inflazione, anche se sono ridotti in miseria come quelli italiani.
L’unica misura utilizzabile, secondo Lorsignori, può essere quella fiscale, in particolare in Italia, dopo due finanziarie consecutive del governo di centrosinistra che – attraverso l’intervento sul cuneo fiscale – hanno assicurato il più alto trasferimento di risorse a favore delle imprese (e di carattere permanente!) di tutta la storia repubblicana.
Ma anche su questo ‘atto dovuto’ il ministro Padoa Schioppa ha messo le mani avanti, per cui ogni intervento che tocchi l’extragettito previsto è rinviato a dopo la trimestrale di cassa, e quindi è persino in forse. Tuttavia noi riteniamo che questa modalità di intervento della fiscalità generale per affrontare la questione salariale sia sbagliata, e sicuramente non lo strumento principale. Ed è questo a cui pensa Veltroni quando parla di portare il salario minimo a 1000 euro.
Il dogma della competitività delle imprese nel mercato globale ha cancellato anche dai ragionamenti politici e sindacali il profitto. Non esiste più, sparito. I profitti sono vertiginosamente cresciuti in questi 15 anni di politiche liberiste, senza peraltro realizzare – come abbiamo sempre detto – investimenti produttivi o tecnologici (questi si sono prodotti semmai sull’onda di fortissime lotte di classe). E anche quando si è registrata una lieve flessione dei profitti sul valore aggiunto, questo 6.
risulta essere oggi – secondo i dati pubblicati sul Corsera – del 43,2 %, ossia il più alto dell’area dell’euro (in media al 39%) e di quasi 10 punti superiore alla Gran Bretagna (34,8%). Non è possibile, con le famiglie strozzate dai mutui e indebitate dai prestiti (si parla del 26% delle famiglie di lavoratori) che l’unica cosa che non si può toccare sono i profitti delle imprese!
Il salario fresco in busta-paga deve venire da lì, non dalla fiscalità generale costituita per il 75% dai contributi degli stessi lavoratori. Sinistra Critica propone un pacchetto di interventi, una vera riforma di struttura anticapitalistica, per usare una definizione classica, sulla questione salariale. Una battaglia con uno sguardo europeo, anche in vista delle proposte per le elezioni del prossimo anno.

1. Il Ccnl va difeso come strumento di contrattazione degli aumenti salariali e non deve diventare luogo di decisione del ‘salario minimo’, definito in maniera corporativa da parti sociali senza vincoli di legge (come ad esempio il dover essere al di sopra della soglia di povertà). E’ posta a mio avviso anche in Italia, dopo la cancellazione della scala mobile e con il 20% dei lavoratori sotto la soglia di povertà, l’esigenza di introdurre un salario minimo intercategoriale, uno Smic per dirla alla francese, al di sotto del quale nessuna prestazione lavorativa è possibile. In Francia la rivendicazione dei sindacati e dello stesso PS è di 1500 euro mensili. Possiamo anche essere più prudenti, ma non credo che possiamo pensare a livelli inferiori a 1200-1300 euro mensili per un tempo pieno e a una rivendicazione oraria inferiore agli 8 euro netti, spingendo verso l’alto l’insieme delle retribuzioni. Certo, ottenere leggi più avanzate non è più facile di impedire contrattazioni al ribasso, ma è anche vero che la definizione di diritti minimi indisponibili – come un salario sopra la soglia di povertà – può consentire battaglie politiche a tutto campo nella società.
2. Va rilanciato un intervento globale per i periodi di non lavoro, che abbiamo chiamato salario o reddito sociale, da erogare in assenza di proposte di lavoro vero a salario intero. Respingiamo nettamente la logica caritatevole sia della flexsecurity, che impone l’accettazione della precarietà in cambio di sussidi, sia i cosiddetti ‘redditi di cittadinanza’ sperimentati in alcune regioni, che si sono rivelati miserabili e marginali interventi di sostegno a poche famiglie povere. L’intervento sia salariale che in beni e servizi gratuiti, dovrebbe rapportarsi all’entità delle integrazioni salariali per i periodi di sospensione dal lavoro (come la cassa integrazione, nata all’origine attorno all’80% del salario). Per cui, se pensiamo a uno Smic di 1200-1300 euro, il reddito sociale, nella sommatoria tra denaro e servizi, dovrebbe tendere ai 1000 euro.
Allo stesso livello dovrebbe anche attestarsi il minimo di pensione da lavoro dipendente (non parlo dell’assistenza), altrimenti si scende al di sotto della soglia di povertà. Naturalmente le cifre sono indicative, mi preme individuare lo schema generale dell’intervento.
3. In terzo luogo ci sono due interventi necessari di recupero dell’erosione
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salariale: il 1°, il recupero annuale del differenziale tra inflazione programmata e reale (una sorta di scala mobile ex post); e il 2°, il recupero annuale del fiscal drag, ossia del vero e proprio furto dalle buste-paga dei lavoratori, che pagano ogni anno più tasse del dovuto a causa dell’aumento nominale dei salari che fa scattare aliquote fiscali superiori; questo meccanismo è strarisaputo e c’è persino una legge, la 154 del 1989, che prevede la restituzione del furto dopo le verifiche a fine agosto di ogni anno. I governi hanno introdotto una clausola che, per ragioni di bilancio, se ne possono fregare. Dei quasi 2000 euro medi perduti dai salari dal 2002, 1/3 è dato dal mancato recupero del drenaggio fiscale.
L’intervento sulle aliquote fiscali a questo punto è utile, ma già sarebbe sufficiente come misura di adeguamento per impedire il fiscal drag.

Le risorse per queste operazioni sono quelle che Sinistra Critica ha già presentato formalmente in parlamento nel dibattito sulla Finanziaria, bocciate da tutti (compresa la Cosa rossa):
- la cancellazione del cuneo fiscale a imprese, banche e assicurazioni (6 miliardi annui dati per sempre)
- la tassazione delle rendite finanziarie al 20%, escludemdo le fasce di reddito più basse
- il taglio drastico delle spese militari
- la patrimoniale sulle grandi fortune
- altre misure (tobin tax, recupero evasione fiscale e contributiva, ecc.)
Ne emergerebbero risorse ingentissime anche per reimpostare completamente un vero welfare al servizio dei ceti popolari.

(Che alcune di queste proposte siano oggi rilanciate da chi -Pd, Cosa rossa, sindacati,…- le ha respinte o è sparito dalla circolazione quando se ne è discusso poche settimane fa, la dice lunga sulla serietà di costoro. Una volta che il dentifricio è uscito dal tubetto, non è facile rimettercelo dentro, tra l’altro…)

Sulla questione previdenziale, incoraggiati anche dallo scarso risultato della campagna asfissiante sui fondi pensione privati, non possiamo che ripresentare un ipotesi di previdenza pubblica sulla base del sistema retributivo a ripartizione, conquistato nel ’69 e che ha egregiamente funzionato per decenni e che è assolutamente in attivo soprattutto se si separa assistenza (a carico della fiscalità generale) da previdenza e se i lavoratori dipendenti cessano di mantenere con i loro contributi i fondi pensione in rosso dei dirigenti aziendali.

Un rapido passaggio su orari di lavoro e lotta alla precarietà. La difficoltà a riproporre oggi le battaglie per la riduzione d’orario a parità di salario sono sotto gli occhi di tutti e forse la modalità di intervento può essere quella di porre a livello europeo un tetto massimo all’orario settimanale, anche in funzione di contrasto del dumping sociale.
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E’ invece possibile, anche perché socialmente più comprensibile, dire No al lavoro notturno e ai cicli continui, dove non ci sono vincoli tecnici di produzione; dire No al sabato lavorativo e reintrodurre i maggiori costi alle imprese per le ore di lavoro straordinario.
Continueremo a batterci con qualsiasi strumento utile, va da sé, per l’abrogazione della Legge 30 e del Pacchetto Treu e delle norme peggiorative sui contratti a termine introdotte dal 2001 in avanti, puntando sul serio al lavoro a tempo indeterminato come rapporto di lavoro ‘normale’.

Il concetto di intervento pubblico in economia per reintrodurre il bistrattato – a torto – problema delle nazionalizzazioni (o ripubblicizzazioni di aziende magari da poco privatizzate), va a mio avviso affrontato a partire dalla difesa dei beni comuni e da vicende specifiche che dimostrino il palese disastro delle liberalizzazioni, anche introducendo argomenti collaterali, come la tutela della sicurezza e della salute dei cittadini (è il caso delle ferrovie inglesi, dove lo Stato è dovuto intervenire nuovamente a causa del fallimento della privatizzazione e dei disastri per incuria).

Una parola anche sul Mezzogiorno. Non è possibile pensare di intervenire solo sulla ‘politica pulita’, contro l’intreccio impresa-criminalità organizzata. Non ci si può ridurre a fare il tifo per Confindustria o per le banche che espellono i mafiosi dalle loro società. Va bene la pulizia, ma non basta. Bisogna riproporre un programma di lavori concreti, promossi per iniziativa pubblica diretta, sulla base del soddisfacimento dei bisogni espressi dalle popolazioni, definiti in conferenze costruite proprio sulla partecipazione popolare. Già sulla questione rifiuti sono emerse proposte. Magari ci sarebbe la possibilità di definire un piano di infrastrutture utili come quelle ferroviarie, cancellando quelle inutili e dannose come il Ponte sullo Stretto; ci potrebbe essere un piano per il risanamento dei centri urbani e per interventi a tutela del territorio, per le reti idriche, ecc.

Il criterio della partecipazione dal basso e della fine della lottizzazione dei partiti sugli enti pubblici può essere messo in campo recuperando il concetto di elezione dei consigli di amministrazione da parte degli utenti. Perché le dirigenze dell’Inps, di una Asl o di una municipalizzata non possono essere decise da chi ci lavora e dagli utenti delle stesse? Secondo voi le stracolme casse dell’Inail che non risarciscono i malati di amianto, ma finanziano indebitamente le infrastrutture e le grandi opere berlusconiane – attraverso i prelievi forzosi da parte del Tesoro – sarebbero indirizzate nello stesso modo se fossero i lavoratori a scegliere i dirigenti?
E’ anche questa una vecchia parola d’ordine che potrebbe tornare di attualità di fronte alla corruzione e alla finalizzazione estranea agli interessi della collettività da parte delle attuali gestioni.
Vengo ora all’ultima parte che riguarda il sindacato e l’intervento di Sinistra Critica nei luoghi di lavoro.
9.
Nell’organizzazione del convegno avremo un momento specifico questa sera per discutere su questo. Come abbiamo già affermato nella nostra recente Conferenza nazionale, la parabola delle confederazioni tende a concludersi attorno a una vittoria dell’impostazione storica della Cisl, come dimostrano le stesse proposte di riforma della contrattazione, e a un collateralismo nei confronti del PD.
In Cgil il riassorbimento dell’anomalia Fiom coincide plasticamente con la subordinazione delle forze che si richiamano alla Cosa rossa alla nuova maggioranza. Anzi, la Sinistra arcobaleno è uno dei motori del processo di subordinazione, con forti pressioni politiche su centinaia di quadri sindacali. Esiste uno spazio, e una necessità, di lavorare per un’opposizione di sinistra in Cgil che sfugga a questo meccanismo di subordinazione e che nasca con il contributo fondamentale di componenti come la Rete 28 aprile e con dinamiche di chiarificazione in alcune aree di Lavoro e Società. I prossimi appuntamenti di discussione previsti saranno decisivi rispetto alla possibilità di realizzare questo passaggio.
Il sindacalismo di base, dall’altra parte, segna il passo, vittima delle regole antidemocratiche della rappresentanza e della sconfitta di punti di resistenza importanti del mondo del lavoro, e pure però della difficoltà di intraprendere percorsi che potessero intercettare la crisi delle confederazioni e le contraddizioni in Cgil.
Resta decisiva per Sinistra Critica la convergenza nell’iniziativa tra le varie realtà del sindacalismo anticoncertativo, a cui abbiamo lavorato in particolare negli ultimi due anni nelle mobilitazioni contro la precarietà, contro le manovre finanziarie del governo e in altre iniziative di movimento. In agenda sono già indicate le mobilitazioni per il No al contratto dei metalmeccanici, quelle per il ritiro delle truppe italiane dai teatri di guerra e quelle in preparazione del 1° maggio.
Sul terreno dei migranti esiste una potenzialità di lavoro politico che deve diventare patrimonio di tutti e di tutte, costruendo i possibili passaggi sindacali e di movimento. La mobilitazione di oggi davanti alle prefetture per la regolarizzazione e la cancellazione del protocollo con le poste ne è la conferma.
E’ importante che Sinistra Critica, attraverso le proprie campagne sociali, punti a un’autonoma presenza nei luoghi di lavoro. Il problema del rilancio di una sinistra di classe, della costituente di una forza anticapitalistica è infatti fondamentalmente politico. A questo progetto vanno conquistate le forze migliori presenti nei luoghi di lavoro, a cui dedicare una cura e un’attenzione particolari, non portatori d’acqua elettorali, ma protagonisti nella ricostruzione di una sinistra anticapitalistica.

Il Tar blocca il Dal Molin

VICENZA Il tribunale dichiara «illegittimo» il sì di Prodi, dà ragione ai cittadini e ferma i lavori
Il Tar blocca il Dal Molin
VITTORIA DI BASE Il tribunale amministrativo veneto boccia l'ex premier su tutta la linea: non ha consultato la popolazione, sulla decisione non c'è alcun atto scritto e il bando di gara non ha rispettato le norme italiane ed europee. Il Codacons e i comitati esultano: ha vinto la nostra linea. Il sindaco Variati promette anche un referendum cittadino. E il governo Berlusconi tace imbarazzato
Orsola Casagrande
VICENZA

La nuova base militare americana al Dal Molin non si può fare. Il giudizio del Tar del Veneto arrivato ieri mattina è netto, e sospende i lavori in attesa che sul prevedibile ricorso si pronunci il Consiglio di Stato. I comitati cittadini esultano: è la vittoria della società civile, di una città che non ha mai smesso di lottare. La sentenza del Tar ha accolto in toto il ricorso presentato dal Codacons, dal coordinamento dei comitati dei cittadini contro la base e da altre associazioni. Nel ritenere «illegittima» la decisione del governo Prodi il Tar sostiene che è mancata la consultazione della popolazione interessata, nonostante fosse prevista dal memorandum Stati uniti-Italia. Ma denuncia anche di non aver riscontrato alcuna traccia documentale di sostegno «sull'atto di consenso presentato dal governo italiano a quello degli Stati uniti, espresso verbalmente nelle forme e nelle sedi istituzionali». Questo consenso, scrivono i giudici, «pertanto risulta espresso soltanto oralmente» e per questo motivo «appare estraneo ad ogni regola inerente all'attività amministrativa e assolutamente extra ordinem. Tale dunque da non essere assolutamente compatibile con l'importanza della materia trattata con i principi tradizionali del diritto amministrativo e delle norme sul procedimento, in base ai quali ogni determinazione deve essere emanata con atto formale e comunque per iscritto». Un giudizio pesantissimo, dunque, sull'operato del governo italiano il cui assenso, insistono i giudici, «risulta essere stato formulato, del tutto impropriamente, da un dirigente del ministero della difesa, al di fuori di qualsiasi possibile imputazione e competenze e di responsabilità ad esso ascrivibili in relazione all'altissimo rilievo della materia».
Ma il Tribunale amministrativo regionale non si ferma qui. Infatti nella sentenza ribadisce che ci sono anche «altri profili di illegittimità, alla luce della normativa nazionale ed europea». In particolare si sottolinea che l'autorizzazione è stata data «non solo per quanto riguarda l'insediamento delle nuove strutture della base militare, ma anche per la realizzazione delle relative opere, senza procedere alla verifica ex ante, del rispetto delle condizioni esplicitamente apposte». I magistrati aggiungono che sul bando di gara già effettuato per la realizzazione delle opere non sarebbero state rispettate le «normative europee e italiane in materia di procedure ad evidenza pubblica per l'assegnazione di commesse pubbliche». Il Tar quindi ricorda che per disposizione del commissario straordinario Paolo Costa «era stata prevista come condizione la redazione di un progetto alternativo, relativo in particolare agli accessi alla base». Peccato che di questo progetto «non è riscontrabile alcuna menzione nella autorizzazione». La bocciatura del Tar sulla nuova base militare Usa al Dal Molin è davvero su tutti i fronti.
Per il Codacons «la motivazione espressa dal Tar è ancora più soddisfacente di quanto ci si poteva aspettare, poichè i giudici sono entrati nel merito dell'intero procedimento, contestandolo pezzo per pezzo come il Codacons chiedeva». Il presidente Carlo Rienzi ribadisce che si tratta di «una sentenza di importanza estrema e che rappresenta una vittoria di tutti i cittadini. I giudici infatti non solo hanno riconosciuto le tesi sostenute dalla nostra associazione ma hanno ribadito con fermezza l'importanza dell'opinione dei cittadini in merito a questioni che riguardano direttamente il territorio e l'urbanistica». Il Codacons aveva presentato ricorso contro la nuova base al Dal Molin contestando tra le altre cose la violazione dell'articolo 11 della Costituzione sul ripudio della guerra e degli articoli 80 e 87 sull'obbligo di ratifica con legge dei trattati internazionali di natura politica, nonché la violazione dei trattati di Maastricht, Amsterdam e Nizza. Anche dal presidio no Dal Molin parole di gioia per questa sentenza che «dimostra - dice Marco Palma - quanto fondate sono le tesi dei cittadini che da due anni si oppongono alla realizzazione dei progetti statunitensi. Il Tar, infatti, riconosce i pericoli ambientali e urbanistici legati alla realizzazione dell'opera. Chi ha tentato di prendere in giro la cittadinanza, ora, è stato smascherato». Il presidio si impegna a vigilare sull'osservanza di questa sentenza, che nei fatti è una sospensiva e blocca qualunque lavoro «per difendere la legalità che più volte hanno tentato di calpestare i promotori dell'opera». Il presidio ha organizzato tre giornate di mobilitazione, a partire da oggi con dei banchetti informativi in centro. E poi giovedì prossimo con una presenza in piazza dei Signori in contemporanea al dibattito del consiglio comunale e il 30 giugno con una mobilitazione.
Il sindaco di Vicenza, Achille Variati, ha ribadito che la giunta proporrà nella seduta del consiglio di giovedì prossimo il referendum cittadino, che dovrebbe svolgersi a ottobre. Sulla sentenza Variati dice che «si tratta della vittoria delle ragioni di un territorio: avevamo sempre denunciato la mancanza di informazioni, di una vera discussione e di una legittimazione della procedura avviata». Mentre per il presidente dell'Ecoistituto del Veneto, il verde Michele Boato, «Davide ha fermato Golia. Sembra incredibile, ma è successo, dopo due udienze interlocutorie nei mesi scorsi, il dibattimento di mercoledì si è concluso con la sospensiva di tutte le strane autorizzazioni con cui il governo Prodi prima (commissario Paolo Costa) e quello Berlusconi poi permettevano all'esercito degli Stati uniti di calpestare le norme dello stato italiano». «No comment» invece dal commissario Paolo Costa come dal governo Berlusconi e dagli Usa.

Manifesto del 21/06/2008

mercoledì 18 giugno 2008

«In quel cpt una stanza dei pestaggi»

I racconti dei migranti usciti dal centro di corso Brunelleschi a Torino
Orsola Casagrande
INVIATA A TORINO

Non si respira una bella aria a Torino. Sali sull'autobus e l'unica cosa di cui si parla sono i rischi che si corrono sui tram e sui pullman. Rischi? «Non hai sentito? - dice una giovane donna - qui ormai è il Far West». L'autobus è il 67, lo stesso dove qualche giorno fa i vigili urbani hanno spadroneggiato con fare effettivamente un po' da cowboys, intimando ai cittadini stranieri presenti di scendere, dividendo uomini da donne e esibendosi in controlli accompagnati da frasi come «la pacchia è finita». E a chi mostrava la carta d'identità italiana, «non ce ne frega nulla della vostra carta italiana, questo non è più il paese delle meraviglie».
Al mercato di Porta Palazzo, storico quartiere delle differenze e per questo uno dei luoghi più ricchi e interessanti, il clima di questi giorni si traduce in poca voglia di parlare da parte dei cittadini stranieri. Che però non riescono a trattenersi più di tanto, perché di voglia di parlare ne hanno molta. «Non capiamo - dice un giovane fruttivendolo marocchino, Abdul - ci sembrava che tutto questo odio potesse finire, anzi credevamo che fosse se non finito almeno un po' contenuto e invece è riesploso». E in modo violento. Siccome qui quasi tutti hanno subito l'umiliante esperienza di una detenzione nei cpt italiani, è facile sapere cosa sta accadendo dentro corso Brunelleschi come in altre galere. La morte del giovane detenuto tunisino a cui sarebbero stati negati i soccorsi è avvenuta soltanto due settimane fa, ma è già stata dimenticata. Non qui a Porta Palazzo. «La Croce Rossa non ti aiuta - dice M. - se stai male puoi sgolarti ma se non hanno voglia di venire non vengono. Il medico ti visita solo se gli va». L'inchiesta sulla morte del giovane è aperta. In questi giorni dovrebbe essere depositata l'autopsia che servirà a chiarire le cause della morte. Quelle mediche. Perché poi rimane il fatto dei soccorsi. E su questo il magistrato dovrà fare chiarezza. Le testimonianze dei detenuti che hanno assistito impotenti alla morte del loro compagno sono chiare. «Abbiamo urlato ma non è venuto nessuno». Chi c'era, chi ha chiesto aiuto, è stato prontamente deportato, espulso nei giorni immediatamente successivi alla morte. Gli abusi e le violenze continuano. Lo conferma il racconto due ragazzi appena usciti dal centro di corso Brunelleschi. «Siamo trattati come bestie - dice A., marocchino - poi quando alla polizia gira ci prendono e ci portano in una stanza e lì ci picchiano». Questa stanza dei pestaggi è ricorrente nelle storie di tanti e non solo nel centro torinese. Anche negli altri cpt infatti i detenuti raccontano di essere stati portati ammanettati in una stanza e lì pestati a sangue. Fare denuncia è difficile e comunque molto spesso una denuncia non ha seguito. Si ferma, si arena nei tribunali italiani. Muore. Lo conferma l'avvocato Gianluca Vitale che proprio in questi giorni ha depositato l'ennesima denuncia. «Il giovane marocchino che rappresento ormai è stato espulso. La denuncia riguarda le botte prese mentre era ammanettato», dice Vitale. Intanto, nel silenzio dei media, le espulsioni dei testimoni di quella tragica notte sono proseguite. Un altro giovane tunisino di ventinove anni racconta al telefono di non avere «più speranza. Dopo cinque anni in Italia, senza permesso, costretto a arrangiarmi come meglio potevo, dopo tre anni di carcere ho deciso che è meglio tornare al mio paese. Non mi aspetta una vita serena, ma di stare in Italia non me la sento». E' stato lui a trovare il giovane compagno morto due settimane fa. «E per fortuna - dice - che lo conoscevo da quando eravamo al paese, perché lui aveva detto di essere marocchino e oggi non avrebbe avuto nemmeno la possibilità di essere sepolto a casa sua, dove sono i suoi familiari». Sulle condizioni del centro il giovane dice che «purtroppo solo noi che viviamo qui dentro sappiamo cosa significa, l'umiliazione quotidiana, la violenza anche psicologica perché non c'è solo la violenza fisica. In fondo eravamo venuti qui inseguendo un sogno, quello di vivere meglio, trovare un lavoro. Speravamo di trovare qui quella possibilità di realizzarci che al nostro paese non ci è stata data. Non è stato così. La vita normale che sognavamo non si è realizzata».


Dal manifesto del 17 giugno 2008

Se dodici ore vi sembran poche

Gigi Malabarba

La tenaglia Commissione europea - Governo italiano stringe al collo lavoratori e lavoratrici: se vuoi guadagnare di più, devi lavorare di più. Era già avvenuto con gli ultimi contratti di lavoro, compreso quello dei metalmeccanici, in cui si è sancito il micidiale vincolo tra salari e produttività. Che procederà ulteriormente attraverso la demolizione del sistema contrattuale, su cui Cgil Cisl Uil hanno aperto la trattativa a perdere con Governo e Confindustria. Ma certamente gli interventi sulla detassazione degli straordinari e sulla ‘possibilità’ di portare l’orario medio settimanale da 48 a 60 ore (e in alcuni casi a 65, con un massimo quindi di 78 ore!) costituiscono un arretramento sulla legislazione del lavoro di quasi un secolo.

Che i lavoratori e le lavoratrici siano persino spinti a ‘contrattare’ individualmente l’aumento dell’orario di lavoro (e della vita lavorativa) per recuperare il potere d’acquisto eroso dall’inflazione è una conseguenza più che ovvia. Per questo va posto un freno, e subito, attraverso l’unico strumento possibile: l’aumento di salari, stipendi e pensioni senza alcun vincolo di produttività, pagato in primo luogo dai profitti!

E’ scandaloso che non ci sia reazione alcuna dopo la pubblicazione di dati clamorosi, relativi al trasferimento di risorse stratosferiche dai salari ai profitti negli ultimi 15 anni, pari ad otto punti di Pil. Si tratta di 120 miliardi di euro ogni anno, ossia almeno 7.000 euro annui medi in meno in busta paga da quando nel 1992 è stata definitivamente cancellata la scala mobile.

E’ questa infatti la principale spiegazione del fatto che il 20% di chi lavora è oggi al di sotto della soglia di povertà e che il 50% dei redditi familiari non raggiunge i 1900 euro. Mentre imprese, banche e assicurazioni beneficiano annualmente di 7 miliardi di euro di riduzione del cuneo fiscale, deciso da Prodi e confermato da Berlusconi.

E’ ora di passare al contrattacco

Non c’è più un minuto da perdere per ricostruire una forte mobilitazione dal basso sul piano politico e sindacale, che dica un chiaro No alla modifica delle regole contrattuali, alle decisioni del nuovo Governo e, insieme, della Commissione europea sugli orari.

Ma dire No è solo un punto di partenza per avanzare un programma di lotta per forti aumenti salariali e per la reintroduzione di meccanismi che tutelino il potere d’acquisto. Che non fosse la ‘scala mobile’ a generare inflazione lo sta a dimostrare l’impennata dei prezzi in corso e la riproposizione di una situazione economica europea che combina stagnazione e inflazione (la nota stagflazione). Di fronte al dramma di salari in caduta libera, Bce e Commissione europea stanno conducendo una campagna forsennata da mesi per ‘evitare la rincorsa dell’aumento dei prezzi da parte delle retribuzioni’, rivelando il più spietato odio di classe della cosiddetta Europa nei confronti dei salariati. Contro questa Europa dei padroni e per un’Europa sociale va rilanciata una lotta che spezzi l’insopportabile riverenza bipartisan che ci martella ogni giorno. Basta con l’Europa di Maastricht. E ben venga anche il No dell’Irlanda al Trattato di Lisbona.

Dopo l’ennesima capitolazione di Cgil Cisl Uil, solo le forze sindacali anticoncertative (a partire dalla Rete 28 aprile, in particolare, in Cgil e Cub, Cobas e Sdl con l’assemblea nazionale dei sindacati di base del 17 maggio) si muovono con chiarezza e determinazione in questa direzione; ma con l’assoluto silenzio della Sinistra già di governo, in coma profondo dopo la débacle elettorale.

E’ proprio per consentire la costruzione di una sponda politica all’iniziativa sociale che Sinistra Critica ha voluto lanciare già ora un’iniziativa di massa sul salario, preannunciando per l’autunno l’impegno per una grande mobilitazione.

Per l’unità del proletariato nativo e migrante

La devastante esperienza del Governo Prodi ha rotto gli argini di tenuta democratica del mondo del lavoro, scatenando una guerra tra i poveri, che dobbiamo fronteggiare in prima persona. Perché né le forze che diedero vita alla Sinistra Arcobaleno né i sindacati concertativi hanno la credibilità e un progetto di ricomposizione di un fronte comune di lavoratori e lavoratrici migranti e nativi/e, rompendo l’alleanza contro natura tra operai e padroni ‘per vincere la sfida per la competitività’.

Dobbiamo affrontare la questione con radicalità e ‘a brutto muso’. Ricordiamolo a chi ha votato a destra che 5 manager guadagnano come 5.000 operai e che la figlia di Guidalberto Guidi, nonché nuova dirigente confindustriale che propone contratti individuali, è una di questi!

Ricordiamolo a chi parla solo di non pagare le tasse ‘a Roma ladrona’, che in cinque anni di Governo Berlusconi prima e anche ora, esattamente come Prodi, non si è proceduto all’unico intervento fiscale serio sui salari: la restituzione del Fiscal drag, responsabile per 2/3 della riduzione del potere d’acquisto negli ultimi anni. Stiamo parlando del furto, delle tasse in più pagate dai lavoratori dipendenti, rispetto a quanto previsto dalla legge, a causa dell’aumento nominale (e non reale) dei salari dovuto all’inflazione. E incamerato dal Ministero dell’Economia.

Queste condizioni di sfruttamento accomunano tutti coloro che lavorano, con l’aggravante che i migranti subiscono l’ulteriore ricatto della legge Bossi-Fini, la prima vera controriforma del mercato del lavoro, organicamente completata dalla legge 30.

Questa è la ragione per cui Sinistra Critica affiancherà alla Legge di iniziativa popolare una Petizione Migranti: un’occasione per organizzare i migranti e, soprattutto, per parlare di migranti alle lavoratrici e ai lavoratori italiani.

Sinistra Critica lancia a giugno la raccolta-firme di massa per la Leggedi iniziativa popolare, con banchetti di fronte alle principali realtà produttive del paese, a partire dalla Fiat Mirafiori. Chiediamo ai militanti sindacali e associativi, ai compagni e alle compagne della Sinistra che condividono questa proposta di prendere contatto con le sedi di Sinistra Critica per costruire Comitati di sostegno e di organizzazione della campagna in tutte le città.

martedì 17 giugno 2008

Testo legge iniziativa popolare per il salario

Norme in materia di introduzione del salario minimo intercategoriale e del salario sociale, previsione di minimi previdenziali, recupero del fiscal drag e introduzione della scala mobile

Articolo 1
1. La retribuzione oraria minima per tutte le tipologie di lavoro pubblico e privato, al netto dei contributi previdenziali e assistenziali, denominata Salario Minimo Intercategoriale (SMIC), non può essere inferiore all'importo definito ai sensi della presente legge . Nessun contratto di lavoro può essere stipulato con una retribuzione inferiore allo SMIC .

2. Lo SMIC è incrementato al 1 gennaio di ogni anno in base alla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati definita dall’Istat.

3. Il valore orario dello SMIC per il 2008 è di 7.5 euro netti. La retribuzione è calcolata sulla base del predetto importo, da applicare alle ore di lavoro mensili previste dal contratto.

4. Per i contratti di lavoro in essere alla data di entrata in vigore della presente legge, fatte salve le condizioni di miglior favore, lo Smic si applica al livello retributivo inferiore, e si procede altresì alla riparametrazione dei livelli superiori fino ai successivi rinnovi.

Articolo 2

(Delega al governo)

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi contenenti norme intese a modificare la disciplina delle indennità di disoccupazione e dei minimi previdenziali.

2. Il Governo, nell'esercizio della delega di cui al comma 1, fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, previste dai relativi statuti, dalle norme di attuazione e dal titolo V della parte II della Costituzione, si atterrà ai seguenti principi e criteri direttivi:

a) prevedere e disciplinare l’introduzione del salario sociale, da corrispondere a tutte le persone maggiorenni disoccupate da almeno 12 mesi e residenti in Italia da almeno 18 mesi;

b) stabilire l'importo del salario sociale nella misura di 1000 euro mensili e prevedere che esso sia corrisposto per il 70% in forma monetaria dal Ministero del Lavoro e per il restante 30% in beni e servizi gratuiti forniti dalla Regione tramite bonus opzionali; stabilire in 36 mesi la durata massima del salario sociale; prevedere che, al termine del suddetto periodo , in assenza di offerte di impiego a tempo indeterminato, la pubblica amministrazione proceda all'assunzione dell ’avente diritto con contratto a tempo determinato della durata di almeno 24 mesi; stabilire che il salario sociale non è sottoposto a tassazione e concorre figurativamente ai fini previdenziali;

c) fissare l'importo dei dei minimi previdenziali nella misura minima di 1.000 euro;

d) consentire il recupero del drenaggio fiscale di cui al decreto-legge 2 marzo 1989, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 aprile 1989, n. 154, modificando automaticamente le aliquote fiscali di retribuzioni ed erogazioni previdenziali sulla base dell’incremento dell’1% dell’indice dei prezzi al consumo registrato al 31 agosto di ogni anno e disponendo l’abrogazione di tutte le norme che consentono deroghe a tale principio da parte del Ministero dell’Economia;

e) prevedere che il differenziale registrato annualmente tra inflazione programmata , o realisticamente prevedibile , e inflazione reale sia recuperato integralmente con le retribuzioni e le erogazioni previdenziali del mese di gennaio di ogni anno.

Articolo 3

(Copertura finanziaria)

1. Agli oneri derivanti dalla presente legge si provvede con le maggiori entrate conseguenti all'applicazione delle seguenti misure:

a) unificazione al 20% dell’aliquota fiscale applicabile ai proventi da interessi corrisposti sui conti correnti bancari e per le rendite finanziarie, con esclusione dei redditi annuali individuali fino a 50.000 euro che mantengono il regime di prelievo attuale per le rendite inserite nella dichiarazione dei redditi;

b) abolizione della riduzione del cuneo fiscale per imprese banche e assicurazioni, di cui all’articolo 1, commi 266-269, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, nonchè delle disposizioni introdotte dall' articolo 15-bis del decreto legge 2 luglio 2007, n. 81, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2007, n. 127.

Sinistra Critica

Salari. E' l'ora della rivolta

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Al via la Legge di iniziativa popolare di Sinistra Critica

(Gigi Malabarba) Se 12 ore vi sembran poche…
La tenaglia Commissione europea - Governo italiano stringe al collo lavoratori e lavoratrici: se vuoi guadagnare di più, devi lavorare di più. Era già avvenuto con gli ultimi contratti di lavoro, compreso quello dei metalmeccanici, in cui si è sancito il micidiale vincolo tra salari e produttività. Che procederà ulteriormente attraverso la demolizione del sistema contrattuale, su cui Cgil Cisl Uil hanno aperto la trattativa a perdere con Governo e Confindustria. Ma certamente gli interventi sulla detassazione degli straordinari e sulla ‘possibilità’ di portare l’orario medio settimanale da 48 a 60 ore (e in alcuni casi a 65, con un massimo quindi di 78 ore!) costituiscono un arretramento sulla legislazione del lavoro di quasi un secolo.

Che i lavoratori e le lavoratrici siano persino spinti a ‘contrattare’ individualmente l’aumento dell’orario di lavoro (e della vita lavorativa) per recuperare il potere d’acquisto eroso dall’inflazione è una conseguenza più che ovvia. Per questo va posto un freno, e subito, attraverso l’unico strumento possibile: l’aumento di salari, stipendi e pensioni senza alcun vincolo di produttività, pagato in primo luogo dai profitti!

E’ scandaloso che non ci sia reazione alcuna dopo la pubblicazione di dati clamorosi, relativi al trasferimento di risorse stratosferiche dai salari ai profitti negli ultimi 15 anni, pari ad otto punti di Pil. Si tratta di 120 miliardi di euro ogni anno, ossia almeno 7.000 euro annui medi in meno in busta paga da quando nel 1992 è stata definitivamente cancellata la scala mobile.

E’ questa infatti la principale spiegazione del fatto che il 20% di chi lavora è oggi al di sotto della soglia di povertà e che il 50% dei redditi familiari non raggiunge i 1900 euro. Mentre imprese, banche e assicurazioni beneficiano annualmente di 7 miliardi di euro di riduzione del cuneo fiscale, deciso da Prodi e confermato da Berlusconi.

E’ ora di passare al contrattacco

Non c’è più un minuto da perdere per ricostruire una forte mobilitazione dal basso sul piano politico e sindacale, che dica un chiaro No alla modifica delle regole contrattuali, alle decisioni del nuovo Governo e, insieme, della Commissione europea sugli orari.

Ma dire No è solo un punto di partenza per avanzare un programma di lotta per forti aumenti salariali e per la reintroduzione di meccanismi che tutelino il potere d’acquisto. Che non fosse la ‘scala mobile’ a generare inflazione lo sta a dimostrare l’impennata dei prezzi in corso e la riproposizione di una situazione economica europea che combina stagnazione e inflazione (la nota stagflazione). Di fronte al dramma di salari in caduta libera, Bce e Commissione europea stanno conducendo una campagna forsennata da mesi per ‘evitare la rincorsa dell’aumento dei prezzi da parte delle retribuzioni’, rivelando il più spietato odio di classe della cosiddetta Europa nei confronti dei salariati. Contro questa Europa dei padroni e per un’Europa sociale va rilanciata una lotta che spezzi l’insopportabile riverenza bipartisan che ci martella ogni giorno. Basta con l’Europa di Maastricht. E ben venga anche il No dell’Irlanda al Trattato di Lisbona.

Dopo l’ennesima capitolazione di Cgil Cisl Uil, solo le forze sindacali anticoncertative (a partire dalla Rete 28 aprile, in particolare, in Cgil e Cub, Cobas e Sdl con l’assemblea nazionale dei sindacati di base del 17 maggio) si muovono con chiarezza e determinazione in questa direzione; ma con l’assoluto silenzio della Sinistra già di governo, in coma profondo dopo la débacle elettorale.

E’ proprio per consentire la costruzione di una sponda politica all’iniziativa sociale che Sinistra Critica ha voluto lanciare già ora un’iniziativa di massa sul salario, preannunciando per l’autunno l’impegno per una grande mobilitazione.

Per l’unità del proletariato nativo e migrante

La devastante esperienza del Governo Prodi ha rotto gli argini di tenuta democratica del mondo del lavoro, scatenando una guerra tra i poveri, che dobbiamo fronteggiare in prima persona. Perché né le forze che diedero vita alla Sinistra Arcobaleno né i sindacati concertativi hanno la credibilità e un progetto di ricomposizione di un fronte comune di lavoratori e lavoratrici migranti e nativi/e, rompendo l’alleanza contro natura tra operai e padroni ‘per vincere la sfida per la competitività’.

Dobbiamo affrontare la questione con radicalità e ‘a brutto muso’. Ricordiamolo a chi ha votato a destra che 5 manager guadagnano come 5.000 operai e che la figlia di Guidalberto Guidi, nonché nuova dirigente confindustriale che propone contratti individuali, è una di questi!

Ricordiamolo a chi parla solo di non pagare le tasse ‘a Roma ladrona’, che in cinque anni di Governo Berlusconi prima e anche ora, esattamente come Prodi, non si è proceduto all’unico intervento fiscale serio sui salari: la restituzione del Fiscal drag, responsabile per 2/3 della riduzione del potere d’acquisto negli ultimi anni. Stiamo parlando del furto, delle tasse in più pagate dai lavoratori dipendenti, rispetto a quanto previsto dalla legge, a causa dell’aumento nominale (e non reale) dei salari dovuto all’inflazione. E incamerato dal Ministero dell’Economia.

Queste condizioni di sfruttamento accomunano tutti coloro che lavorano, con l’aggravante che i migranti subiscono l’ulteriore ricatto della legge Bossi-Fini, la prima vera controriforma del mercato del lavoro, organicamente completata dalla legge 30.

Questa è la ragione per cui Sinistra Critica affiancherà alla Legge di iniziativa popolare una Petizione Migranti: un’occasione per organizzare i migranti e, soprattutto, per parlare di migranti alle lavoratrici e ai lavoratori italiani.

Sinistra Critica lancia a giugno la raccolta-firme di massa per la Leggedi iniziativa popolare, con banchetti di fronte alle principali realtà produttive del paese, a partire dalla Fiat Mirafiori. Chiediamo ai militanti sindacali e associativi, ai compagni e alle compagne della Sinistra che condividono questa proposta di prendere contatto con le sedi di Sinistra Critica per costruire Comitati di sostegno e di organizzazione della campagna in tutte le città.

Sinistra Critica

lunedì 16 giugno 2008

La Sconfitta che viene da lontano

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di Flavia D'Angeli (da il manifesto del 15/06/2008)

La sconfitta della Sinistra Arcobaleno viene da vicino e da lontano insieme. Da vicino, perché è il frutto della partecipazione di Prc, Verdi, Pdci e Sd all'esperienza fallimentare del governo Prodi. Oltre al lungo elenco delle speranze tradite dall'esecutivo, l'esperienza degli ultimi due anni ha segnato uno smottamento senza ritorno, in particolare del Prc, sul terreno dell'avversario.

Rifondazione, e il suo leader, hanno pagato lo snaturamento della propria esperienza, l'aver teorizzato e realizzato il governo della settima potenza mondiale con forze che rappresentano una fetta consistente della borghesia italiana. La lezione del 15 aprile è inequivocabile: una sinistra «radicale» che sostiene le logiche del capitale muore. Potremmo fermarci qui, e limitarci a ricordare che la rottura con Prodi era stata additata come un «mettersi fuori dalla politica»; chi l'ha sostenuto, oggi è fuori dalla politica più di ogni altro. Potremmo ricordare come il gruppo dirigente del Prc, che oggi mette in scena una spaccatura violenta, sia stato monolitico nel respingere ogni voce critica o abbia sostenuto unita l'espulsione di Turigliatto.
Ma tutto questo non basta per chi voglia capire gli elementi che parlano sia del fallimento di un progetto politico che dell'egemonia sociale e culturale delle destre. La sconfitta di aprile viene infatti da lontano, è il frutto di rapporti di forza sociali deteriorati da oltre vent'anni, frutto della concertazione o dell'incapacità della sinistra «radicale» di cimentarsi davvero con il tema del radicamento sociale. Un lavoro lungo, faticoso, spesso oscuro, ma unico vero antidoto all'egemonia delle destre e del mercato. Nella stagione di Genova avevamo visto la possibilità di una una ripresa di protagonismo sociale, ma quella speranza è stata gettata, sciaguratamente, sul tavolo del governo.
In questo contesto ci sembra fuorviante cercare vie d'uscita alla crisi sul terreno delle ricomposizioni politiciste. Né pensiamo che ci si possa salvare solo sventolando la bandiera rossa e la falce e martello, se si è sostenuta ogni politica liberista e di guerra. Il lavoro da fare è enorme, sia sul terreno sociale che su quello dell'elaborazione politica. Oggi c'è bisogno di un processo di ricomposizione sociale, di riconnessione di ciò che il liberismo ha frammentato, di tessitura di nuove solidarietà per ricominciare a contendere il consenso popolare che le destre si sono guadagnate sulle macerie prodotte dalla sinistra. Un lavoro fatto di unità delle lotte - sul fronte antirazzista, ambientalista, sindacale, studentesco - ma anche di costituzione di progetti di lavoro che recuperino un rapporto con la società, un «sindacalismo sociale» attorno al quale far convergere forze diverse. Per questo proponiamo la raccolta di firme per una legge d'iniziativa popolare per istituire anche in Italia il salario minimo intercategoriale e il salario sociale.
Serve però anche la costruzione di una nuova sinistra di classe. Noi proponiamo la Costituente della sinistra anticapitalista, ci stiamo già lavorando perché sappiamo che il processo richiederà tempi lunghi, nonché lo sforzo di descrivere «un altro mondo possibile» che faccia, finalmente, il bilancio dei disastri del Novecento ma anche l'analisi delle potenzialità andate perdute. Senza scorciatoie ma con la consapevolezza che una forza politica adeguata all'esistente o è anticapitalista o non è in grado di agire. Con questi obiettivi lavoriamo a partire dalla prima Conferenza nazionale che terremo dopo l'estate, convinti che una nuova sinistra di classe sarà il frutto di una nuova generazione politica

Sinistra critica

domenica 15 giugno 2008

L'assalto al cielo. Per una storia dell'operaismo

L'assalto al cielo. Per una storia dell'operaismo

L'assalto al cielo. Per una storia dell'operaismo. Di Steve Wright, con postfazione di Riccardo Bellofiore e Massimiliano Tomba, pp. 336, 20,00 €.

Questo testo, finalmente tradotto nella nostra lingua, è la prima storia organica di una delle esperienze più significative della sinistra marxista italiana dagli anni Sessanta ad oggi. Autori come Panzieri, Tronti, Negri e Bologna, laboratori politici come Quaderni Rossi, Classe Operaia e Primo Maggio, teorie come l'operaio massa e l’operaio sociale, sono ricostruite con un respiro d'insieme che permette al lettore di orientarsi in un pezzo decisivo della storia politica ed intellettuale del Novecento. La postfazione di Bellofiore e Tomba propone un punto di vista sulla controversa attualità dell'operaismo, e sulle ragioni dei limiti del post-operaismo.

Autori:

Steve Wright insegna alla Monash University (Australia). Il suo libro sull’operaismo è stato pubblicato in Inghilterra da Pluto Press e già tradotto in tedesco per le edizioni Assoziation A. È coautore di Work of the Future: Global Perspectives (Allen & Unwin 1997). Sull’operaismo ha pubblicato anche A Party of Autonomy? (in A. Mustapha e T. Murphy, The Philosophy of Antonio Negri: Resistance in Practice, Pluto Press 2005) e Reality check: Are we living in an immaterial world? (in J. Berry-Slater, Underneath the Knowledge Commons, Mute Publishing 2005).

Riccardo Bellofiore insegna all'Università di Bergamo. Tra le sue pubblicazioni più recenti la cura del volume Da Marx a Marx? Un bilancio dei marxismi italiani del Novecento (Manifestolibri 2007).

Massimiliano Tomba insegna all'Università di Padova. Tra le sue ultime pubblicazioni La "vera politica". Kant e Benjamin: la possibilità della giustizia (Quodlibet 2007).

Puoi acquistare il libro anche direttamente e riceverlo a casa con spese postali a nostro carico, con versamento sul ccp n. 65382368 intestato a Edizioni Alegre società cooperativa giornalistica, C.so Francia 216 00191 Roma, specificando nella causale il titolo che intendi ricevere.
www.edizionialegre.it

Corteo No War a Roma

IL CORTEO In migliaia a Roma. Contestato il Pdci
L'«addio» dei no war a Bush il guerrafondaio
Una Roma blindata accoglie il presidente Usa, che oggi incontra Berlusconi e domani il papa. È il suo ultimo viaggio in Europa da inquilino della Casa bianca. Mentre le sue relazioni con l'alleato Musharraf sono in crisi dopo il raid militare in territorio pakistano
Giacomo Sette
ROMA

«Yankee go home, yankee go home» è uno dei cori, forse il più scontato di tutti, scandito dalle 7 mila persone accorse in piazza per dare il benvenuto al presidente Usa George Bush, arrivato ieri alle quattro a Roma. Un corteo che ha sfilato per le vie del centro senza alcuna tensione, dribblando le misure preventive del governo che nei giorni passati aveva dato ordine di liberare 220 posti nel carcere romano di Regina Coeli e altrettanti nell'ospedale Policlinico. Tanta comunque la polizia che ha «scortato» il corteo dalla partenza, Piazza Repubblica, fino a Piazza Barberini.
«Bush è un ospite non gradito - spiega il Patto contro la guerra, la sigla che promuove l'iniziativa - Oggi stiamo manifestando contro gli imperialismi americani e italiani». Si dicono poi «soddisfatti» per la partecipazione: «Per un giorno lavorativo la gente non è poca». E ricordano che oltre la protesta romana, un piccolo sit-in a Milano testimonia altro dissenso alle «politiche di guerra». La differenza con il 9 giugno dell'anno scorso, l'altra visita del presidente Usa, resta abissale. Quel giorno in piazza c'erano quasi 100 mila persone.
Ad aprire il corteo romano uno striscione per il ritiro dall'Afghanistan e dal Libano e tre persone vestite con la classica tuta a strisce da detenuti coperte da maschere di cartone che ritraggono George Bush, Condoleezza Rice e Dick Cheney: «Loro sono i veri terroristi - dicono - Vanno fermati prima che attacchino anche l'Iran». Poi via via sfilano Cobas, Rdb, gruppi pacifisti (come Disarmiamoli e Mondo senza guerre), lo spezzone anti nucleare, Rete 28 aprile, Sinistra Critica, vari centri sociali capitolini, associazione Italia-Cuba (che chiede la liberazione dei 5 agenti cubani detenuti nelle celle statunitensi) e Forum Palestina. A chiudere i Carc, il Partito comunista dei lavoratori (di Marco Ferrando) e Alternativa Comunista. Tutti armati di bandiere. Tanti anche i singoli: Silvia Baraldini, Francesco Caruso, Giorgio Cremaschi, Lucio Manisco. E alcuni dirigenti dell'ex-Arcobaleno. In piazza spicca la folta presenza dei cittadini americani, tra i quali James Gilliman, reduce delle guerre in Iraq e in Afghanistan ed ora membro dell'Associazione dei «Veterani contro la guerra». «Bush ha detto solo bugie - dice Nick - Abbiamo ucciso migliaia di persone per nessuna ragione valida. Gli Usa sono criminali di guerra». Giuliana, italo-stutunitense, ammette che alle elezioni voterà «il meno peggio», Obama, ma non vede in lui una sostanziale differenza: «L'imperialismo sta nel dna della politica estera americana».
Stesso discorso che si fa per l'Italia. «Il governo Berlusconi agisce in piena continuità con quello Prodi. E ora un intero parlamento è filostatunitense - dichiara Piero Bernocchi dei Cobas - Siamo quarti per la presenza dei militari all'estero, ottavi per le spese militari e i primi il numero di basi Nato». Poi attacca anche Napolitano, che «non si fa garante dell'articolo 11 della Costituzione». Malgrado l'assenza di camion sound system non manca la musica, con lo spezzone dei sambisti che ballano a suon di tamburo, e il colore all'interno del corteo: sventolano due bandieroni immensi, uno di Cuba e l'altro della Palestina. Più piccole, ma comunque visibili, anche le bandiere del Libano. Uno dei motivi, insieme all'Afghanistan e all'aumento delle spese militari, delle critiche alle forze di sinistra del governo Prodi. E della contestazione a Manuela Palermi del Pdci: «Vattene, torna a casa, vai a Piazza del Popolo», le urlano, riferendosi all'anno passato quando l'ex-arcobaleno si distinse dal movimento con un sit-in separato proprio a Piazza del Popolo, con scarsissimi risultati. A contestarla sono in pochi, una minoranza, «sono i soliti - dice lei - quelli che ai cortei della sinistra bruciano le bandiere israeliane e gridano 10, 100, 1000 Nassiriya».
Palermi non è la sola ex parlamentare presente per l'occasione: ci sono altri esponenti del Pdci, come Katia Bellillo, e una delegazione del Prc, tra cui Giovanni Russo Spena. «Non vogliamo commettere gli errori del passato come il 9 giugno - afferma Fabio Amato, responsabile Esteri di Rifondazione - Oggi stiamo qui perché si deve ripartire dai movimenti». Posizione che viene considerata «ipocrita» da Sinistra Critica, la quale ricorda ancora una volta il motivo dell'espulsione dal Prc del senatore Turigliatto: «Non ha voluto a differenza loro votare la guerra in Afghanistan». Intanto il corteo sfila fino a Piazza Barberini, vicino all'ambasciata Usa, difesa da centinaia di poliziotti in tenuta antisommossa: un'esagerazione per una manifestazione che ha visto come momento di tensione più alto l'accensione di due fumogeni.
Il Manifesto del 12 giugno 2008

mercoledì 11 giugno 2008

25° campeggio internazionale

ANTICAPITALISTA! UN APPUNTAMENTO DA NON PERDERE!

Dal 26 luglio al 1° agosto si terrà in Spagna, Besalu´, a 30 km da Girona, il campeggio internazionale, rivoluzionario, femminista ed ecologista, organizzato dalla Quarta internazionale ma ormai da anni allargato a diverse forze della sinistra anticapitalista ed ad esperienze di movimento.

In Italia il campeggio è promosso dal movimento politico Sinistra Critica.

Un appuntamento per confrontarsi con tanti giovani impegnati nei propri paesi nelle esperienze di conflitto sociale, di movimento. Un´ occasione utile per discutere, confrontare lotte ed esperienze, per progettare campagne contro guerra, precarietà e neoliberismo, come sui temi di genere ed lgbt.

Un momento importante per chi è impegnato nella costruzione di una sinistra anticapitalista Europea, senza se e senza ma, alternativa alle destre come anche alla "sinistra" liberista.

Un momento dove rilanciare l´opposizione sociale contro guerra,liberismo e razzismo a livello internazionale qualunque sia il colore del Governo in carica.

Un occasione appunto per chi anche nel nostro Paese, nonostante la difficile fase politica segnata dalla vittoria delle destre e dal fallimento della sinistra, non si arrende all´alternanza dei Governi liberisti, pronti ad appoggiare politiche di guerra, razziste e xenofobe e non rinuncia a costruire nei e con i movimenti sociali un´alternativa di società, una rivoluzione.

Solidarietà internazionale, femminismo, ecologismo, giovani e movimenti sociali, strategie, migranti, scuola ed università, marxismo, antifascismo, beni comuni, guerra, precarietà, lgbt, saranno i temi al centro dei sette giorni.

Un campeggio totalmente autogestito dai partecipanti, in modo tale che anche nel piccolo e per poco tempo proverà a dimostrare che un altro mondo oltre che sempre piu´ necessario è possibile, e che sono possibili altri tipi di relazioni umane, di divertimento, di gestione di spazi comuni.

All´interno del campo la presenza dello spazio femminista ed lgbt, che permetteranno l´approfondimento, il confronto e l´autorganizzazione di soggetti che vivono condizioni di oppressione specifiche, quella di genere e quella sessuale, due spazi per rimettere in discussione categorie imposte dalla società e per organizzarsi.

Workshop, Forum, formazioni, meeting e feste, tra cui quella donne e quella lgbt, tutte le sere.

Costo 120 e info in ultima pagina

Il programma completo su:

www.sinistracritica.org

www.internationalcamp.org

Per info e prenotazioni 3389758141.