lunedì 23 giugno 2008

Ripartiamo dal lavoro

Si è svolto il 16 febbraio a Torino il primo convegno sul lavoro di Sinistra Critica. Con circa 200 partecipanti ai lavori complessivi, il convegno ha visto una forte presenza operaia che si è manifestata con numerosi interventi e testimonianze, molto puntuali e indicative dello stato di "salute" del lavoro nella sua quotidiana guerra con il capitale. Di seguito la relazione introduttiva

di Gigi Malabarba
Poche settimane fa, alla fine del 2007, i lavoratori e le lavoratrici della Powertrain di Torino, ossia le Meccaniche Fiat Mirafiori, hanno respinto con un referendum un accordo sindacale che prevedeva l’introduzione di 17, 18 e anche 20 turni di lavoro, cancellando di fatto il sabato come giornata non lavorativa: una conquista di quasi 40 anni fa, frutto delle lotte dell’autunno ’69, che introdussero le 40 ore su 5 giorni lavorativi.
Questi operai sono stati letteralmente linciati in questa città, perché ‘privilegiati ed egoisti’: il loro No avrebbe impedito l’assunzione di 250 interinali, in gran parte peraltro già in produzione. Tutti contro: dalle istituzioni ai partiti, ai sindacati, compresa la dirigenza della Fiom e persino dei nostri ex compagni di partito. Lasciati soli da tutti, quei lavoratori comuni e quei militanti combattivi con la tessera della Fiom o dell’Sdl hanno incontrato la solidarietà di Sinistra Critica e del compagno Franco Turigliatto.
Sono passati poco più di tre anni e sembra un secolo. Dov’è finito il sostegno alla gloriosa lotta di Melfi che aveva rilanciato il conflitto di classe in questo paese, proprio sul rifiuto di quei turni di lavoro?
La resistenza alla Powertrain parlava e parla a tutta la classe operaia italiana e va valorizzata perché pone un freno al totale arbitrio padronale, che ha già ottenuto sfondamenti nella maggioranza delle categorie e dei settori di lavoro, che non conoscono più da tempo sabati liberi (e spesso neanche domeniche) e che lavorano su cicli continui anche quando le esigenze tecniche non lo richiedono affatto.
Era una resistenza e la si è voluta criminalizzare. Non ci piace essere rimasti da soli con loro, ma siamo orgogliosi di stare con loro!

Parlerà tra poco da questo microfono ol compagno Ciro Argentino, Rsu della Thyssenkrupp, che ringraziamo per aver accolto l’invito a partecipare al nostro convegno. All’indomani della tragedia che è costata la vita a sette lavoratori, ci raccogliemmo in un minuto di silenzio nel corso della Conferenza nazionale di Sinistra Critica a Roma. Oggi invece vogliamo dar voce alla nostra rabbia contro l’arroganza e le menzogne di questa azienda, ma anche contro la gigantesca montagna di ipocrisia del mondo politico-istituzionale e anche sindacale riguardo agli omicidi bianchi.
La macabra contabilità dell’Inail ha censito già 125 morti in queste prime settimane del 2008. E sappiamo che è persino un conto in difetto: vengono infatti registrate solo le morti che producono una rendita ai familiari. Quando la vittima non ha eredi residenti o magari è un immigrato ‘irregolare’ esce dalle stesse statistiche.
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Ma la rabbia è soprattutto politica. Che cosa sta facendo il Ministero del lavoro in questi giorni rispetto ai cantieri edili, il luogo principale dove avvengono gli infortuni? Un decreto legislativo minimo del 19 luglio 2005 (governo Berlusconi) prevedeva che entro due anni le imprese dovessero realizzare obbligatoriamente dei corsi di formazione di 28 ore per i propri addetti che operano sui ponteggi (con una parte teorica, una parte pratica e una dedicata al primo soccorso). Poco, ma non secondario specie per chi è sbattuto a lavorare senza preparazione alcuna e spesso non conosce neppure la lingua…
Ma a luglio 2007 (governo Prodi) non è successo niente, proprio mentre si discuteva del nuovo testo unico sulla sicurezza. E qualche giorno fa una circolare del ministero di Cesare Damiano ha prorogato di un altro anno i tempi per applicare questa norma sui cantieri, persino violando le procedure: una circolare infatti non può sostituire una legge!
Le norme per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro in Italia esistono e dalla scorsa estate sono state anche migliorate sulla carta, lo sappiamo. Il problema è farle applicare. E quindi il problema sono i controlli: sono decenni che lo si afferma perentoriamente dopo ogni cosiddetto incidente, dopo ogni crimine padronale, chiamiamolo con il suo nome! E allora perché centrodestra e centrosinistra – Cosa rossa compresa – hanno respinto, tutti insieme, gli emendamenti di Sinistra Critica che raccoglievano le semplici richieste dei lavoratori che si occupano di salute, degli operatori e di organizzazioni come Medicina Democratica?
Parlo dell’incremento degli ispettori del Lavoro e delle Asl che, con i numeri attuali, se fossero tutti mobilitati, potrebbero ispezionare un’azienda sì e no ogni 30 anni…
Ma soprattutto parlo del rafforzamento dei poteri, dei permessi e dell’autonomia dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, i Rls: quello è il punto decisivo contro cui, invece, si alza un muro invalicabile: solo chi è interno a quello specifico ciclo produttivo può predisporre le tutele necessarie, lo sappiamo. Ma non si passa! Prima si respingono in parlamento quei poteri necessari ai Rls e poi ci si lamenta – potrei fare i nomi dei politici in questione! – che i Rls non hanno poteri…
Per non parlare poi, subito dopo la tragedia della Thyssenkrupp, dell’approvazione del Protocollo sul welfare che sancisce la precarietà a vita nei rapporti di lavoro (fonte di disastri anche in tema di sicurezza) e con lo stesso decreto si rendono meno costosi gli straordinari. Era stata anche questa una piccola conquista di civiltà a metà degli anni ’90. Forse non ci si ricorderà, ma la maggiorazione delle contribuzioni a carico delle imprese per le ore straordinarie è stato il sottoprodotto della battaglia per la riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore: non c’è stata la riduzione, ma almeno gli straordinari diventavano più costosi. Il tutto è stato cancellato con un colpo di spugna e in silenzio dal governo di centrosinistra. E poi si grida allo scandalo per i morti sul lavoro, quando magari le vittime erano al lavoro da 14 e più ore di seguito…

E consentitemi ancora un riferimento d’obbligo ai problemi della salute: la questione amianto. Sappiamo che il picco di mortalità arriverà attorno al 2015, mentre alle decine di migliaia di ammalati di asbestosi è stato cancellato il beneficio
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previdenziale esistente. Nella finanziaria, anche in questa ultima, sono state negate elementari risorse anche per le cure, non tutte coperte dal Ssn. Persino sui risarcimenti delle vittime si è voluto lesinare: 30 milioni è il fondo complessivo per tutti, ossia una risorsa identica – pensate un po’- al finanziamento per realizzare il vertice G8 all’isola della Maddalena nel 2009…Anche questo è un crimine e va denunciato!

Mi ero ripromesso di non polemizzare direttamente con un altro convegno che si è tenuto qualche giorno fa qui a Torino, ma proprio non è possibile: bisogna capire a quale livello di devastazione si è arrivati dopo meno di due anni di sinistra di governo.
E’ facile polemizzare con il PD che mette sullo stesso piano padroni e operai, o, per meglio dire, che dialoga con Montezemolo tutti i giorni e mette in lista qualche operaio il giorno delle elezioni. Meno facile è affrontare un progetto alternativo al PD, che da quel convegno non esce. Anzi, esce un aggancio evidente con le politiche del PD.
I rapporti di forza tra le classi si erano deteriorati a causa delle sconfitte dell’ultimo ventennio, a partire dalla Fiat nell’80 (presentata allora come una vittoria), per passare poi alle politiche di concertazione dei primi anni ’90 e per tutte le normative introdotte dai governi di centrosinistra e di centrodestra. Ognuno di quei provvedimenti ha indebolito la classe e, se non rimosso, continua a spostare ulteriormente verso il basso i rapporti di forza e ad incidere profondamente sulla solidarietà di classe e sulla coscienza stessa di lavoratori e lavoratrici.
Se il Protocollo sul welfare consolida e persino convalida con il trucco plebiscitario la distruzione del sistema giuridico del lavoro confermando la legge 30 e i contratti a termine infiniti, non si può voltar pagina e ricominciare da capo. Quelle norme, come già il pacchetto Treu da 10 anni, disarticolano ogni possibilità di resistenza. Vanno rimosse, se si vuole ricominciare davvero.
Se negli ultimi anni il 15% di chi lavora è stato al di sotto della soglia di povertà e oggi ci avviciniamo al 20%; se i lavoratori dipendenti negli ultimi 5 anni hanno perso mediamente quasi 2.000 euro; se il 10% delle famiglie italiane possiede quasi la metà delle ricchezze prodotte come nel Terzo mondo, non è colpa del destino!

Il declino di salari, stipendi e pensioni è diventato drammatico non a caso negli ultimi 15 anni ed è stato frutto della cancellazione del sistema contrattuale conflittivo e dell’introduzione della concertazione e della cosiddetta ‘politica dei redditi’, iniziata con l’abolizione della scala mobile il 31 luglio 1992. Ora, non è possibile denunciare la devastazione salariale e la miseria anche di chi lavora (cosa che dicono tutti peraltro: Confindustria, Padoa Scioppa, Bankitalia, Ue,…Vaticano) e poi non contrastare la concertazione. Certo, il relatore a quel convegno di partito non ha mai rinnegato il proprio sostegno agli accordi di luglio, ma oggi quell’orientamento è persino rafforzato da un’ipotesi di ulteriore istituzionalizzazione delle relazioni industriali, prendendo ad esempio il modello tedesco (anche su questo…).
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Cito: “Il consiglio di sorveglianza ha il compito di vigilare perché l’operato del consiglio di gestione non vada contro gli interessi generali dell’impresa, tra i quali (tra i quali!) ci sono gli interessi dei lavoratori”. La proposta diventa cioè quella della cogestione, ossia di organismi unitari di industriali e lavoratori. A dirlo non è Walter Veltroni, ma il responsabile economico del Prc Maurizio Zipponi.
Il ritorno probabile, quasi voluto, all’opposizione non significa per nulla rilancio del conflitto e dell’opposizione sociale, ma porta dritti dritti al mitbestimmung (giusto per usare la terminologia classica ripresa anche dai nostri amici chainworkers milanesi)!
Nonostante il suo totale fallimento, ci si crogiola ancora attorno al ‘compromesso dinamico con la borghesia produttiva’ anche dall’opposizione…(E vi risparmio le citazioni di Kennedy sul ‘chiedetevi cosa potete fare voi per il vostro paese’ perché è troppo, davanti a una platea di lavoratori).
Qui torna l’asse col PD, su questo si gioca il confronto con Cgil, Cisl, Uil sempre più dentro lo schema ormai egemone della Cisl.
Se è questa la sponda politica da ‘sinistra’ alla difesa dell’ultimo baluardo di solidarietà del lavoro rimasto, il Contratto collettivo nazionale oggi sotto attacco, i lavoratori sono fritti…

Secondo il Cnel, la contrattazione integrativa, quella di II° livello, non esiste nelle piccole imprese e non viene realizzata in più del 10% di quelle che hanno oltre 100 dipendenti. Questo dà l’idea di cosa conta il contratto nazionale per quasi tutti i lavoratori, tanto per capire cos’hanno in testa quelli che vogliono trasferire quasi tutto alla contrattazione decentrata.
Prendiamo il contratto dei metalmeccanici. Ricordo un’assemblea con i lavoratori di Termini Imprese nel 2002, a cui ho partecipato con Claudio Sabattini che aveva appena messo la Fiom sulla strada dell’anomalia dopo un decennio di crisi. Sabattini disse: “Basta, non c’è più niente da scambiare”.
Tentativi di imbastire un nuovo percorso conflittuale sono stati effettivamente fatti da parte della Fiom, arrivando anche a non sottoscrivere contratti nazionali o di grandi gruppi. Quest’ultimo contratto segna però la fine di questa anomalia della Fiom dentro la Cgil: siamo all’esplicito scambio tra salario e produttività (e flessibilità). In altri termini più popolari: ‘tu puoi avere più salario solo se lavori di più’. Punto. E’ il ritorno al cottimo, per dirla con Cremaschi.
Senza entrare troppo nel dettaglio (Sinistra Critica ha prodotto un volantino su questo per avviare la campagna per il No al referendum), dei 127 euro medi di aumento su due anni, che sono 97 al 5° livello, per il 1° anno corrispondono ai 60 euro che voleva dare Federmeccanica. In cambio di 11 ore e 40’ annuali non retribuite agli operai per effetto della mensilizzazione della busta-paga e di 16 ore di lavoro in più, tra 1 sabato lavorativo e 1 giorno di permesso ceduto all’azienda (e chi parla di ‘recupero’ di quel giorno non è mai stato in un luogo di lavoro o è un provocatore). E poi l’introduzione di una nuova categoria salariale tra il 3° e 4° livello (abolita negli anni ’70), l’aumento del periodo di prova e la riduzione di paga per i nuovi assunti, ecc.
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Ma il punto chiave è il legame tra salario e produttività, che non consente proprio quella funzione di solidarietà e di tutela del potere d’acquisto che il contratto nazionale bene o male ancora manteneva.
Mi spiace citare ancora Zipponi, ma non si può dire ipocritamente – come già per la consultazione sul Protocollo – ‘decideranno i lavoratori’, per sparare poi subito dopo un ricatto grande come un macigno, del tipo: ‘pensate se non avessero firmato il 20 gennaio, il 21 le aziende avrebbero erogato unilateralmente gli aumenti, il 22 si apriva la crisi di governo, caduto poi il 24, …e il contratto nazionale non ci sarebbe stato più’. Grazie Zipponi, proprio un fulgido esempio di come un burocrate può colpevolizzare i lavoratori!
Con questi argomenti da parte della Cosa rossa, con un voto a 40 giorni di distanza dalla firma, con le buste-paga già fatte col nuovo contratto, che cosa volete che produca quel referendum dal 25 al 27 febbraio? Sinistra Critica si batterà in ogni caso per il No e sarà pienamente a sostegno di chi nelle fabbriche non approverà in qualsiasi forma quell’accordo, perché solo da lì – come già dal milione di No di novembre – si può ripartire. Ma non possiamo non comprendere la demoralizzazione, anzi la disperazione che investe i lavoratori oggi.
E questo brutto accordo ha conseguenze sulle altre categorie che hanno i contratti aperti, a partire dal Pubblico impiego (di questo settore, come degli insegnanti, dei ricercatori dell’università, ecc. parleranno altre compagne e compagni). E avrà conseguenze sullo stesso futuro di una sinistra sindacale di classe in questo paese, dopo la fine dell’anomalia Fiom, e su cui voglio tornare in chiusura.

Ora, il passaggio sulla cosiddetta riforma della struttura della contrattazione, che peggiora ulteriormente il modello concertativo degli anni ’90, sta per compiersi con l’accordo definito da Cgil, Cisl e Uil, centrato appunto sul vincolo salario-produttività aziendale.
Il contratto nazionale – da portare a 3 anni senza distinzioni tra parte normativa (ora quadriennale) e parte economica (ora biennale), prevedendo accorpamenti in macrocategorie al fine di depotenziare eventuali resistenze (basta pensare cosa significa in Cgil mettere insieme chimici e metalmeccanici) – il contratto nazionale, dicevo, è ridotto a luogo di definizione del minimo salariale, mentre il salario vero sarà tutto legato a istanze aziendali o territoriali in relazione alla produttività (o all’efficienza, per quanto riguarda la PA).
Ciò comporterà una frantumazione drammatica delle condizioni di lavoro e di salario da luogo a luogo del paese e anche dentro lo stesso settore, persino peggiore delle gabbie salariali spazzate via dalle lotte degli anni ’60. E siccome la contrattazione di II° livello la fanno in pochi, viene introdotto l’incentivo della detassazione degli aumenti aziendali, cui plaudono insieme, non a caso Berlusconi, Veltroni e Montezemolo. Sulla vergogna dell’inflazione programmata su cui definire le richieste contrattuali, introdotta nel ’93 col fine di ridurre i salari, Cgil Cisl Uil invece di proporre un meccanismo di recupero, almeno una volta misurato il tasso di inflazione reale, si sono inventati – non ridete – l’’inflazione realisticamente prevedibile’.
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Da ultimo (ma sarà opportuno ritornarci con un’analisi puntuale del documento che, ricordo, andrà poi contrattato col padronato e col futuro governo) sono previsti interventi sulle Rsu. Già nei contratti si è scritto che se le Rsu non raggiungono accordi in azienda gli apparati esterni avocano a sé le trattative, nei nuovi regolamenti – come per i chimici – le regole di sbarramento per partecipare alle elezioni vengono portate dal 5 al 20% dei dipendenti, mentre è prevista la destituzione della Rsu che non attuino i deliberati degli organismi di categoria. Amen.

Vorrei affrontare ora le proposte sulle questioni sociali e del lavoro di Sinistra Critica, in modo che il dibattito di oggi sia utile ad arricchire e a mettere a punto un programma di fase del nostro movimento politico. Innanzi tutto dobbiamo partire dal presupposto che il mondo del lavoro, come tutta la società, è sessuato e che tutte le rivendicazioni che avanziamo devono esprimere le ragioni e i contenuti di una battaglia femminista. E che i migranti, con la loro peculiarità di doppio sfruttamento, non sono parte a sé, ma componente fondamentale del nuovo proletariato. Per questo l’abrogazione della Bossi-Fini – prima vera controriforma del mercato del lavoro – resta una priorità.
Il punto di partenza per tutti e tutte non può che essere la questione salariale.
Ovviamente non possiamo prescindere da un quadro economico internazionale segnato da un’ormai certa recessione negli Stati Uniti, i cui effetti non potranno che tradursi in rallentamenti nelle economie europee. Mi interessa qui solo mettere in luce le misure che l’Unione europea sta adottando: guai ad allentare le politiche di rigore monetario, che sono servite innanzi tutto a tenere bassi i salari, e fuoco di sbarramento nei confronti di chi volesse intervenire con misure anche solo parzialmente redistributive per compensare l’erosione salariale, agitando lo spettro di una nuova impennata inflazionistica. Come dire che i salari devono continuare a stare sotto il tasso di inflazione, anche se sono ridotti in miseria come quelli italiani.
L’unica misura utilizzabile, secondo Lorsignori, può essere quella fiscale, in particolare in Italia, dopo due finanziarie consecutive del governo di centrosinistra che – attraverso l’intervento sul cuneo fiscale – hanno assicurato il più alto trasferimento di risorse a favore delle imprese (e di carattere permanente!) di tutta la storia repubblicana.
Ma anche su questo ‘atto dovuto’ il ministro Padoa Schioppa ha messo le mani avanti, per cui ogni intervento che tocchi l’extragettito previsto è rinviato a dopo la trimestrale di cassa, e quindi è persino in forse. Tuttavia noi riteniamo che questa modalità di intervento della fiscalità generale per affrontare la questione salariale sia sbagliata, e sicuramente non lo strumento principale. Ed è questo a cui pensa Veltroni quando parla di portare il salario minimo a 1000 euro.
Il dogma della competitività delle imprese nel mercato globale ha cancellato anche dai ragionamenti politici e sindacali il profitto. Non esiste più, sparito. I profitti sono vertiginosamente cresciuti in questi 15 anni di politiche liberiste, senza peraltro realizzare – come abbiamo sempre detto – investimenti produttivi o tecnologici (questi si sono prodotti semmai sull’onda di fortissime lotte di classe). E anche quando si è registrata una lieve flessione dei profitti sul valore aggiunto, questo 6.
risulta essere oggi – secondo i dati pubblicati sul Corsera – del 43,2 %, ossia il più alto dell’area dell’euro (in media al 39%) e di quasi 10 punti superiore alla Gran Bretagna (34,8%). Non è possibile, con le famiglie strozzate dai mutui e indebitate dai prestiti (si parla del 26% delle famiglie di lavoratori) che l’unica cosa che non si può toccare sono i profitti delle imprese!
Il salario fresco in busta-paga deve venire da lì, non dalla fiscalità generale costituita per il 75% dai contributi degli stessi lavoratori. Sinistra Critica propone un pacchetto di interventi, una vera riforma di struttura anticapitalistica, per usare una definizione classica, sulla questione salariale. Una battaglia con uno sguardo europeo, anche in vista delle proposte per le elezioni del prossimo anno.

1. Il Ccnl va difeso come strumento di contrattazione degli aumenti salariali e non deve diventare luogo di decisione del ‘salario minimo’, definito in maniera corporativa da parti sociali senza vincoli di legge (come ad esempio il dover essere al di sopra della soglia di povertà). E’ posta a mio avviso anche in Italia, dopo la cancellazione della scala mobile e con il 20% dei lavoratori sotto la soglia di povertà, l’esigenza di introdurre un salario minimo intercategoriale, uno Smic per dirla alla francese, al di sotto del quale nessuna prestazione lavorativa è possibile. In Francia la rivendicazione dei sindacati e dello stesso PS è di 1500 euro mensili. Possiamo anche essere più prudenti, ma non credo che possiamo pensare a livelli inferiori a 1200-1300 euro mensili per un tempo pieno e a una rivendicazione oraria inferiore agli 8 euro netti, spingendo verso l’alto l’insieme delle retribuzioni. Certo, ottenere leggi più avanzate non è più facile di impedire contrattazioni al ribasso, ma è anche vero che la definizione di diritti minimi indisponibili – come un salario sopra la soglia di povertà – può consentire battaglie politiche a tutto campo nella società.
2. Va rilanciato un intervento globale per i periodi di non lavoro, che abbiamo chiamato salario o reddito sociale, da erogare in assenza di proposte di lavoro vero a salario intero. Respingiamo nettamente la logica caritatevole sia della flexsecurity, che impone l’accettazione della precarietà in cambio di sussidi, sia i cosiddetti ‘redditi di cittadinanza’ sperimentati in alcune regioni, che si sono rivelati miserabili e marginali interventi di sostegno a poche famiglie povere. L’intervento sia salariale che in beni e servizi gratuiti, dovrebbe rapportarsi all’entità delle integrazioni salariali per i periodi di sospensione dal lavoro (come la cassa integrazione, nata all’origine attorno all’80% del salario). Per cui, se pensiamo a uno Smic di 1200-1300 euro, il reddito sociale, nella sommatoria tra denaro e servizi, dovrebbe tendere ai 1000 euro.
Allo stesso livello dovrebbe anche attestarsi il minimo di pensione da lavoro dipendente (non parlo dell’assistenza), altrimenti si scende al di sotto della soglia di povertà. Naturalmente le cifre sono indicative, mi preme individuare lo schema generale dell’intervento.
3. In terzo luogo ci sono due interventi necessari di recupero dell’erosione
7.
salariale: il 1°, il recupero annuale del differenziale tra inflazione programmata e reale (una sorta di scala mobile ex post); e il 2°, il recupero annuale del fiscal drag, ossia del vero e proprio furto dalle buste-paga dei lavoratori, che pagano ogni anno più tasse del dovuto a causa dell’aumento nominale dei salari che fa scattare aliquote fiscali superiori; questo meccanismo è strarisaputo e c’è persino una legge, la 154 del 1989, che prevede la restituzione del furto dopo le verifiche a fine agosto di ogni anno. I governi hanno introdotto una clausola che, per ragioni di bilancio, se ne possono fregare. Dei quasi 2000 euro medi perduti dai salari dal 2002, 1/3 è dato dal mancato recupero del drenaggio fiscale.
L’intervento sulle aliquote fiscali a questo punto è utile, ma già sarebbe sufficiente come misura di adeguamento per impedire il fiscal drag.

Le risorse per queste operazioni sono quelle che Sinistra Critica ha già presentato formalmente in parlamento nel dibattito sulla Finanziaria, bocciate da tutti (compresa la Cosa rossa):
- la cancellazione del cuneo fiscale a imprese, banche e assicurazioni (6 miliardi annui dati per sempre)
- la tassazione delle rendite finanziarie al 20%, escludemdo le fasce di reddito più basse
- il taglio drastico delle spese militari
- la patrimoniale sulle grandi fortune
- altre misure (tobin tax, recupero evasione fiscale e contributiva, ecc.)
Ne emergerebbero risorse ingentissime anche per reimpostare completamente un vero welfare al servizio dei ceti popolari.

(Che alcune di queste proposte siano oggi rilanciate da chi -Pd, Cosa rossa, sindacati,…- le ha respinte o è sparito dalla circolazione quando se ne è discusso poche settimane fa, la dice lunga sulla serietà di costoro. Una volta che il dentifricio è uscito dal tubetto, non è facile rimettercelo dentro, tra l’altro…)

Sulla questione previdenziale, incoraggiati anche dallo scarso risultato della campagna asfissiante sui fondi pensione privati, non possiamo che ripresentare un ipotesi di previdenza pubblica sulla base del sistema retributivo a ripartizione, conquistato nel ’69 e che ha egregiamente funzionato per decenni e che è assolutamente in attivo soprattutto se si separa assistenza (a carico della fiscalità generale) da previdenza e se i lavoratori dipendenti cessano di mantenere con i loro contributi i fondi pensione in rosso dei dirigenti aziendali.

Un rapido passaggio su orari di lavoro e lotta alla precarietà. La difficoltà a riproporre oggi le battaglie per la riduzione d’orario a parità di salario sono sotto gli occhi di tutti e forse la modalità di intervento può essere quella di porre a livello europeo un tetto massimo all’orario settimanale, anche in funzione di contrasto del dumping sociale.
8.
E’ invece possibile, anche perché socialmente più comprensibile, dire No al lavoro notturno e ai cicli continui, dove non ci sono vincoli tecnici di produzione; dire No al sabato lavorativo e reintrodurre i maggiori costi alle imprese per le ore di lavoro straordinario.
Continueremo a batterci con qualsiasi strumento utile, va da sé, per l’abrogazione della Legge 30 e del Pacchetto Treu e delle norme peggiorative sui contratti a termine introdotte dal 2001 in avanti, puntando sul serio al lavoro a tempo indeterminato come rapporto di lavoro ‘normale’.

Il concetto di intervento pubblico in economia per reintrodurre il bistrattato – a torto – problema delle nazionalizzazioni (o ripubblicizzazioni di aziende magari da poco privatizzate), va a mio avviso affrontato a partire dalla difesa dei beni comuni e da vicende specifiche che dimostrino il palese disastro delle liberalizzazioni, anche introducendo argomenti collaterali, come la tutela della sicurezza e della salute dei cittadini (è il caso delle ferrovie inglesi, dove lo Stato è dovuto intervenire nuovamente a causa del fallimento della privatizzazione e dei disastri per incuria).

Una parola anche sul Mezzogiorno. Non è possibile pensare di intervenire solo sulla ‘politica pulita’, contro l’intreccio impresa-criminalità organizzata. Non ci si può ridurre a fare il tifo per Confindustria o per le banche che espellono i mafiosi dalle loro società. Va bene la pulizia, ma non basta. Bisogna riproporre un programma di lavori concreti, promossi per iniziativa pubblica diretta, sulla base del soddisfacimento dei bisogni espressi dalle popolazioni, definiti in conferenze costruite proprio sulla partecipazione popolare. Già sulla questione rifiuti sono emerse proposte. Magari ci sarebbe la possibilità di definire un piano di infrastrutture utili come quelle ferroviarie, cancellando quelle inutili e dannose come il Ponte sullo Stretto; ci potrebbe essere un piano per il risanamento dei centri urbani e per interventi a tutela del territorio, per le reti idriche, ecc.

Il criterio della partecipazione dal basso e della fine della lottizzazione dei partiti sugli enti pubblici può essere messo in campo recuperando il concetto di elezione dei consigli di amministrazione da parte degli utenti. Perché le dirigenze dell’Inps, di una Asl o di una municipalizzata non possono essere decise da chi ci lavora e dagli utenti delle stesse? Secondo voi le stracolme casse dell’Inail che non risarciscono i malati di amianto, ma finanziano indebitamente le infrastrutture e le grandi opere berlusconiane – attraverso i prelievi forzosi da parte del Tesoro – sarebbero indirizzate nello stesso modo se fossero i lavoratori a scegliere i dirigenti?
E’ anche questa una vecchia parola d’ordine che potrebbe tornare di attualità di fronte alla corruzione e alla finalizzazione estranea agli interessi della collettività da parte delle attuali gestioni.
Vengo ora all’ultima parte che riguarda il sindacato e l’intervento di Sinistra Critica nei luoghi di lavoro.
9.
Nell’organizzazione del convegno avremo un momento specifico questa sera per discutere su questo. Come abbiamo già affermato nella nostra recente Conferenza nazionale, la parabola delle confederazioni tende a concludersi attorno a una vittoria dell’impostazione storica della Cisl, come dimostrano le stesse proposte di riforma della contrattazione, e a un collateralismo nei confronti del PD.
In Cgil il riassorbimento dell’anomalia Fiom coincide plasticamente con la subordinazione delle forze che si richiamano alla Cosa rossa alla nuova maggioranza. Anzi, la Sinistra arcobaleno è uno dei motori del processo di subordinazione, con forti pressioni politiche su centinaia di quadri sindacali. Esiste uno spazio, e una necessità, di lavorare per un’opposizione di sinistra in Cgil che sfugga a questo meccanismo di subordinazione e che nasca con il contributo fondamentale di componenti come la Rete 28 aprile e con dinamiche di chiarificazione in alcune aree di Lavoro e Società. I prossimi appuntamenti di discussione previsti saranno decisivi rispetto alla possibilità di realizzare questo passaggio.
Il sindacalismo di base, dall’altra parte, segna il passo, vittima delle regole antidemocratiche della rappresentanza e della sconfitta di punti di resistenza importanti del mondo del lavoro, e pure però della difficoltà di intraprendere percorsi che potessero intercettare la crisi delle confederazioni e le contraddizioni in Cgil.
Resta decisiva per Sinistra Critica la convergenza nell’iniziativa tra le varie realtà del sindacalismo anticoncertativo, a cui abbiamo lavorato in particolare negli ultimi due anni nelle mobilitazioni contro la precarietà, contro le manovre finanziarie del governo e in altre iniziative di movimento. In agenda sono già indicate le mobilitazioni per il No al contratto dei metalmeccanici, quelle per il ritiro delle truppe italiane dai teatri di guerra e quelle in preparazione del 1° maggio.
Sul terreno dei migranti esiste una potenzialità di lavoro politico che deve diventare patrimonio di tutti e di tutte, costruendo i possibili passaggi sindacali e di movimento. La mobilitazione di oggi davanti alle prefetture per la regolarizzazione e la cancellazione del protocollo con le poste ne è la conferma.
E’ importante che Sinistra Critica, attraverso le proprie campagne sociali, punti a un’autonoma presenza nei luoghi di lavoro. Il problema del rilancio di una sinistra di classe, della costituente di una forza anticapitalistica è infatti fondamentalmente politico. A questo progetto vanno conquistate le forze migliori presenti nei luoghi di lavoro, a cui dedicare una cura e un’attenzione particolari, non portatori d’acqua elettorali, ma protagonisti nella ricostruzione di una sinistra anticapitalistica.

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