domenica 15 giugno 2008

Corteo No War a Roma

IL CORTEO In migliaia a Roma. Contestato il Pdci
L'«addio» dei no war a Bush il guerrafondaio
Una Roma blindata accoglie il presidente Usa, che oggi incontra Berlusconi e domani il papa. È il suo ultimo viaggio in Europa da inquilino della Casa bianca. Mentre le sue relazioni con l'alleato Musharraf sono in crisi dopo il raid militare in territorio pakistano
Giacomo Sette
ROMA

«Yankee go home, yankee go home» è uno dei cori, forse il più scontato di tutti, scandito dalle 7 mila persone accorse in piazza per dare il benvenuto al presidente Usa George Bush, arrivato ieri alle quattro a Roma. Un corteo che ha sfilato per le vie del centro senza alcuna tensione, dribblando le misure preventive del governo che nei giorni passati aveva dato ordine di liberare 220 posti nel carcere romano di Regina Coeli e altrettanti nell'ospedale Policlinico. Tanta comunque la polizia che ha «scortato» il corteo dalla partenza, Piazza Repubblica, fino a Piazza Barberini.
«Bush è un ospite non gradito - spiega il Patto contro la guerra, la sigla che promuove l'iniziativa - Oggi stiamo manifestando contro gli imperialismi americani e italiani». Si dicono poi «soddisfatti» per la partecipazione: «Per un giorno lavorativo la gente non è poca». E ricordano che oltre la protesta romana, un piccolo sit-in a Milano testimonia altro dissenso alle «politiche di guerra». La differenza con il 9 giugno dell'anno scorso, l'altra visita del presidente Usa, resta abissale. Quel giorno in piazza c'erano quasi 100 mila persone.
Ad aprire il corteo romano uno striscione per il ritiro dall'Afghanistan e dal Libano e tre persone vestite con la classica tuta a strisce da detenuti coperte da maschere di cartone che ritraggono George Bush, Condoleezza Rice e Dick Cheney: «Loro sono i veri terroristi - dicono - Vanno fermati prima che attacchino anche l'Iran». Poi via via sfilano Cobas, Rdb, gruppi pacifisti (come Disarmiamoli e Mondo senza guerre), lo spezzone anti nucleare, Rete 28 aprile, Sinistra Critica, vari centri sociali capitolini, associazione Italia-Cuba (che chiede la liberazione dei 5 agenti cubani detenuti nelle celle statunitensi) e Forum Palestina. A chiudere i Carc, il Partito comunista dei lavoratori (di Marco Ferrando) e Alternativa Comunista. Tutti armati di bandiere. Tanti anche i singoli: Silvia Baraldini, Francesco Caruso, Giorgio Cremaschi, Lucio Manisco. E alcuni dirigenti dell'ex-Arcobaleno. In piazza spicca la folta presenza dei cittadini americani, tra i quali James Gilliman, reduce delle guerre in Iraq e in Afghanistan ed ora membro dell'Associazione dei «Veterani contro la guerra». «Bush ha detto solo bugie - dice Nick - Abbiamo ucciso migliaia di persone per nessuna ragione valida. Gli Usa sono criminali di guerra». Giuliana, italo-stutunitense, ammette che alle elezioni voterà «il meno peggio», Obama, ma non vede in lui una sostanziale differenza: «L'imperialismo sta nel dna della politica estera americana».
Stesso discorso che si fa per l'Italia. «Il governo Berlusconi agisce in piena continuità con quello Prodi. E ora un intero parlamento è filostatunitense - dichiara Piero Bernocchi dei Cobas - Siamo quarti per la presenza dei militari all'estero, ottavi per le spese militari e i primi il numero di basi Nato». Poi attacca anche Napolitano, che «non si fa garante dell'articolo 11 della Costituzione». Malgrado l'assenza di camion sound system non manca la musica, con lo spezzone dei sambisti che ballano a suon di tamburo, e il colore all'interno del corteo: sventolano due bandieroni immensi, uno di Cuba e l'altro della Palestina. Più piccole, ma comunque visibili, anche le bandiere del Libano. Uno dei motivi, insieme all'Afghanistan e all'aumento delle spese militari, delle critiche alle forze di sinistra del governo Prodi. E della contestazione a Manuela Palermi del Pdci: «Vattene, torna a casa, vai a Piazza del Popolo», le urlano, riferendosi all'anno passato quando l'ex-arcobaleno si distinse dal movimento con un sit-in separato proprio a Piazza del Popolo, con scarsissimi risultati. A contestarla sono in pochi, una minoranza, «sono i soliti - dice lei - quelli che ai cortei della sinistra bruciano le bandiere israeliane e gridano 10, 100, 1000 Nassiriya».
Palermi non è la sola ex parlamentare presente per l'occasione: ci sono altri esponenti del Pdci, come Katia Bellillo, e una delegazione del Prc, tra cui Giovanni Russo Spena. «Non vogliamo commettere gli errori del passato come il 9 giugno - afferma Fabio Amato, responsabile Esteri di Rifondazione - Oggi stiamo qui perché si deve ripartire dai movimenti». Posizione che viene considerata «ipocrita» da Sinistra Critica, la quale ricorda ancora una volta il motivo dell'espulsione dal Prc del senatore Turigliatto: «Non ha voluto a differenza loro votare la guerra in Afghanistan». Intanto il corteo sfila fino a Piazza Barberini, vicino all'ambasciata Usa, difesa da centinaia di poliziotti in tenuta antisommossa: un'esagerazione per una manifestazione che ha visto come momento di tensione più alto l'accensione di due fumogeni.
Il Manifesto del 12 giugno 2008

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