giovedì 30 giugno 2011

Torino: Lune Rosse d'Estate 8/9/10 luglio


Sinistra Critica vi invita al 2° revolutionary party,
tre serate per stare insieme, discutere, sentire musica, mangiare e bere.

8. 9. 10 luglio 2011
Sala e giardino della Circoscrizione - Corso Belgio 91 Torino

Venerdì 8 luglio
Ore 19 Presentazione del 28° campeggio della gioventù rivoluzionaria
Ore 19,30 Apericena
Musica jazz del complesso “Trio jazz”

Ore 21 Dibattito su “ La crisi economica e il movimento dei lavoratori”
Partecipano:
Sergio Bellavita segreteria nazionale Fiom
Luigi Casali esecutivo regionale Confederazione USB
Marilde Provera Rifondazione Comunista
Franco Turigliatto Sinistra Critica

Sabato 9 luglio
Ore 17,30:
“Lavorare al femminile” Sguardi di donne sul mercato del lavoro e sulle loro esperienze di protagonismo collettivo
Intervengono:
Chiara Carratù (precaria della scuola), Carmen Sanfilippo (delegata Filcams), Giovanna (lavoratrice migrante), una delegata Fiom, Rosanna Fragomeni (coordinamento Pubblico impiego dell’USB), Lidia Cirillo dei “Quaderni Viola”

ore 21,30 collettivo musicale Folk “InConTraDa”

Domenica 10 luglio
Gippo Mukendi coordina:
ore 17,30
Antonella Visintin, ambientalista e Dario Ortolano, Sinistra Critica
presentano il libro “L’impossibile capitalismo verde” di Daniel Tanuro:
una riflessione sui beni comuni, le energie, il cambiamento climatico e l’alternativa al sistema capitalista.
ore 19,30 Le ragioni dei NO TAV
Un esponente del movimento illustra le ragioni e la lotta della Val Susa.

Ore 21,30 Il duo “Jardin d’hiver” (Costanza Bellugi, voce solista e Luca Cognetti, chitarra) interpretano le canzoni della tradizione popolare toscana ed altre.
Ore 22,30 il cantautore Giovanni Gandino canta De André e le canzoni di lotta

Il sabato e la domenica l’Apericena comincia alle ore 20.

Saranno presenti con i propri stands i comitati dei movimenti di difesa dell’ambiente e dei territori

mercoledì 29 giugno 2011

A FIANCO DEI LAVORATORI DELLA BC ELETTROFORNITURE


Da qualche giorno i lavoratori della ditta BC Elettro Forniture (ex Franchetti , ex Elettropal) che operava in un appalto di AEM Distribuzione, sono in presidio presso la sede di St. Pianezza per denunciare la grave situazione che si è determinata.
Sono lavoratori che operano da anni sulla rete di distribuzione elettrica di AEMD, che hanno maturato perciò un buon profilo professionale ed una buona conoscenza degli impianti, e perdono il lavoro perché subentra un’altra ditta.
La situazione dei lavoratori oggi in lotta per il posto di lavoro è emblematica di un sistema che va cambiato.
E’ sempre più diffusa nelle aziende, pure in quelle ancora a controllo pubblico, l’appalto a ditte esterne anche di attività di esercizio o di manutenzione ordinaria, cioè di attività continuative e non estemporanee. Alcune modifiche di norme legislative consentono alle aziende di appaltare interi rami di produzione, o presunti tali, in modo più che disinvolto, anche senza ragioni logiche dal punto di vista organizzativo o, nel caso di aziende di servizio pubblico, dalla efficienza del servizio reso.
Le ditte esterne impegnate, molte volte non rispondo a particolari specializzazioni professionali o di attrezzature, ma servono semplicemente a impiegare una mano d’opera pagata meno.
Tale mano d’opera, meno costosa perché generalmente sottoinquadrata, è più difficilmente organizzabile sindacalmente e quindi, meno tutelata e più sfruttabile, è sempre a rischio di uso e getta.
Inoltre, il sistema degli appalti e delle esternalizzazioni, produce la divisione dei lavoratori, e con ciò l’indebolimento anche dei lavoratori della Società Appaltante. Ci sono contratti diversi che impediscono di avere tutti assieme più forza per difendersi dai peggioramenti delle proprie condizioni e/o conquistarne di migliori.
Quando nello stesso luogo (e spesso per lo stesso lavoro) vi sono regole e condizioni diverse, è molto più facile per il padrone mettere i lavoratori in concorrenza tra loro. Quelli più deboli, sottoposti ad orari più lunghi, carichi di lavoro più onerosi e paghe più basse spesso non possono che accettare le condizioni imposte. Quelli più tutelati, si vedono erodere man mano la propria forza contrattuale, perché il padrone può, più o meno esplicitamente, mostrar loro che è possibile svolgere le medesime attività a condizioni per lui più vantaggiose.
Non di rado la divisione tra il lavoratori è giocata sulle diverse nazionalità di appartenenza. Anche qui il meccanismo è lo stesso: la non coesione tra i lavoratori produce una competizione che permette al padrone di sfuttare al massimo la manodopera nei momenti buoni, e di liberarsi senza troppi problemi di una parte di essa nei momenti di difficoltà.
Quindi, la solidarietà tra i lavoratori non risponde solo a ragioni di carattere etico o morale (che pure esistono), ma è direttamente funzionale alla salvaguardia degli interessi comuni che può essere efficacemente effettuata solo se si contrastano le divisioni.
Questo modo di appalto facile espone anche a situazioni di impiego di ditte assai poco trasparenti. Il rischio è che a patirne le conseguenze siano solo i lavoratori. Gli imprenditori lestofanti hanno sempre qualche appiglio legislativo che li salva.
Sinistra Critica è a fianco dei lavoratori che difendono il loro posto di lavoro
Vanno cercate soluzioni che ricollochino tutti a un lavoro certo, per evitare altre divisioni
Sosteniamo le iniziative sindacali che verranno portate avanti
Sinistra Critica prosegue la denuncia del sistema degli appalti e delle esternalizzazioni che hanno lo scopo di dividere i lavoratori, per poterli sfruttare meglio e licenziarli più facilmente quando non servono più.

Sinistra Critica di Torino, sezione lavoro
Torino, 22 giugno 2011

martedì 28 giugno 2011

L’ordine regna alla Maddalena, ma non in Val di Susa e nel paese


La massiccia e violenta operazione delle forze dell’ordine cominciata questa mattina contro il presidio No-Tav alla Maddalena di Chiomonte ha ristabilito l’ordine “manu militari”, consegnando la località nelle mani distruttive dei costruttori delle grandi opere. Circa 2500 agenti hanno assaltato il presidio facendosi largo con ruspe, cingolati e un fitto lancio di gas lacrimogeni. I No Tav sono stati inseguiti fin sopra i sentieri della Maddalena.
Ma l’ordine non regna in val di Susa e nel paese. La reazione del popolo NO Tav non si è fatta attendere. L’indignazione è forte. In queste ore si stanno moltiplicando le iniziative di solidarietà. Sono in corso scioperi spontanei nelle fabbriche della val di Susa; è stata bloccata la statale 25 a Bussoleno. Nel corso della giornata sono previste iniziative di solidarietà nel capoluogo torinese, ma anche nel resto d’Italia.
In Val di Susa si è materializzato nella sua drammaticità il nuovo asse Lega – Pd. Maroni, infatti, non ha fatto altro che eseguire gli ordini impartitigli dal Pd di Chiamparino e Fassino che nei giorni scorsi avevano richiesto al governo persino l’uso dell’esercito per iniziare finalmente i cantieri della Maddalena e ricevere così i finanziamenti europei. Le incertezze e le titubanze di Sel, pronto a discutere sull’opera, hanno del resto rafforzato l’azione del Pd, che dimostra il proprio volto, quello di partito a servizio dei poteri forti e di Confindustria.
Colpendo il movimento No TAV, il governo di Berlusconi e il Pd insieme lanciano anche un attacco generale a tutti i movimenti, a coloro che difendono i beni comuni, l’ambiente, ma anche al movimento delle lavoratrici e dei lavoratori. Si tratta ora di reagire tutti insieme.
Sinistra Critica esprime la totale solidarietà al popolo della val Susa, ai militanti NO TAV; si impegna a costruire attivamente una vasta e capillare azione di solidarietà al movimento No Tav a Torino e in tutto il paese.

Sinistra Critica Torino
Sinistra Critica - Organizzazione per la Sinistra Anticapitalista

Tav, dieci anni dopo Genova


Contro i movimenti di massa il riflesso è sempre lo stesso. E il Pd che cerca di intestarsi i referendum e il vento dell'indignazione da che parte sta stavolta?


Salvatore Cannavò
Non c’è niente da fare. Certi riflessi non scompaiono mai. A pochi giorni dal decennale del G8 di Genova 2001, quello in cui fu ucciso Carlo Giuliani, le forze di polizia hanno dato oggi un’altra prova della loro potenza manganellando i manifestanti della Val di Susa, attaccandoli con i lacrimogeni, cariche, getti d’acqua. E non è un caso se l’ex capo della Digos di Genova ai tempi del controvertice, Spartaco Mortola, sia stato appenna nominato dirigente del compartimento Polfer di Torino, nonostante una condanna in secondo grado, in particolare tre anni e 8 mesi per l'irruzione alla scuola Diaz e a un anno e due mesi per l'induzione alla falsa testimonianza dell'allora questore di Genova Francesco Colucci. Mortola, del resto, era stato promosso Questore il 2 giugno scorso tra le proteste dei sindacati di polizia che chiedevano di attendere, almeno, l’esito del ricorso in Cassazione.

Ma, appunto, certi riflessi sono duri a morire. Le cariche di oggi rilegittimano quelle di ieri perché hanno lo stesso impulso. Di fronte a una protesta popolare, massiccia e pacifica che non lascia scampo, non lascia spazio alle falsificazioni – “la Tav è sicura” – e scoperchia gli affari e i profitti che si nascondono dietro l’opera, la risposta è di nuovo il manganello.

I manifestanti hanno appena detto di aver perso un round “ma non la guerra”. E dovrebbe sconfortare il fatto che siano costretti ad affrontare una “guerra” per difendere le proprie vite, il proprio territorio, il futuro dei propri figli. Una guerra dichiarata da un governo imbelle e inerme, incapace di fare alcunché, per le sue debolezze interne, ma ancora in grado di cercare coesione e compattezza caricando una manifestazione pacifica.

Ma, crediamo, lo sconforto non ci sarà. Gli abitanti della Val di Susa hanno dimostrato da anni di saper resistere e lo faranno ancora e forse li aiuterà il vento nuovo che si respira nel Paese. Resta da vedere, però, che faranno quelle forze politiche, come il Pd, che di questo vento intendono essere i depositari ma che in Piemonte spingono per la repressione. Qui non è più tempo di facile antiberlusconismo: dopo le vittorie alle amministrative, quella sui referendum, è tempo di dire con chi si sta. Con l’acqua pubblica o privata? Con Marchionne o con gli operai? Con i “no Tav” o con la polizia che li manganella? Fassino, Bersani, Veltroni e compagnia cantando questa scelta devono farla, ora.

Assalto ai No Tav


La polizia carica i manifestanti e rimuove i blocchi a Chiomonte. Scioperi spontanei della Fiom. "Abbiamo perso un round ma non la guerra" dichiarano i No Tav


11.30 11.30 Il sito NoTav.eu ringrazia tutti coloro si ritroveranno a manifestare solidarieta al movimento nelle varie piazze italiane, da Torino a Bologna, ma anche a Vicenza e Siena, tutti insieme per urlare NO TAV.

10.31 TAV: FIOM, SCIOPERO SPONTANEO IN FABBRICHE METALMECCANICHE VAL SUSA
Scioperi spontanei si sono registrati questa mattina in numerose fabbriche metalmeccaniche della Val Susa a seguito delle tensioni che si stanno verificando nei pressi del presidio della Maddalena, l'area di Chiomonte dove dovrebbero avere inizio i lavori per la realizzazione del tunnel geognostico propedeutico alla Torino-Lione. A darne notizia la Fiom torinese.

10.30 ABBIAMO PERSO ROUND, NON LA GUERRA
«Abbiamo perso un round, non la guerra». È il commento a caldo, dopo lo sgombero dell'accampamento dei No Tav a Chiomonte, del leader del movimento, Alberto Perino. «Oggi - dice - è andata come di pensava che andasse. Noi abbiamo resistito poi le forze dell'ordine hanno sparato migliaia di lacrimogeni. Adesso dobbiamo portare via tutti i materiali dalla Maddalena. Poi vedremo il da farsi, di certo non siamo sconfitti».

10.07 LA POLIZIA DICHIARA DEI FERITI
Venticinque agenti delle forze dell'ordine sono rimasti feriti nelle operazioni per l'apertura del cantiere della Maddalana di Chiomonte (Torino) per la ferrovia Torino-Lione. Lo si apprende da fonti della Questura di Torino. Cinque agenti sono stati portati in ospedale in ambulanza; venti sono stati medicati sul posto.

9.52 PUNTO DI RITROVO A BUSSOLENO, SS 25 BLOCCATA

9.30 I manifestanti ripiegano per i boschi inseguiti dalle forze dell'ordine, si segnalano due feriti.

8.50 RUSPA RIMUOVE BLOCCHI SU PERCORSO VERSO AREA MADDALENA
La pala meccanica che ha sfondato la barricata della Centrale Idroelettrica, sta rimuovendo tutti gli ostacoli e i blocchi creati dai No Tav sulla strada dell'Avanà, che conduce all'area della Maddalena, dove è prevista la realizzazione del cantiere per la linea Torino-Lione. La pala è guidata da un agente di Polizia e finora sono state tolte due cancellate. Durante le operazioni sono stati lanciati alcuni lacrimogeni. La colonna di poliziotti e carabinieri si è fermata dietro uno sbarramento di balle di paglia sul quale sono state poste bottiglie, che - secondo le Forze dell'ordine - potrebbero probabilmente contenere liquido infiammabile.
Per ritardare l'azione delle forze dell'ordine i manifestanti hanno dato fuoco al penultimo sbarramento prima della sommità della Maddalena. Una densa colonna di fumo nero si è levata dalla strada dell'Avanà. I No Tav hanno tirato anche alcune pietre. Per disperderli le forze dell'ordine hanno lanciato una nuova batteria di lacrimogeni.

8.02 SFONDATA BARRICATA, LANCIATI LACRIMOGENI
Le forze dell'ordine hanno sfondato la barricata eretta dai manifestanti No Tav alla centrale idroelettrica di Chiomonte (Torino). Sono stati lanciati alcuni lacrimogeni. Gli agenti stanno risalendo verso la Maddalena scortando una ruspa. (

7.30 ORDINANZA PREFETTURA TORINO PER AREA DELLA MADDALENA
La Prefettura di Torino ha emesso un'ordinanza secondo la quale l'area della Maddalena di Chiomonte (Torino), occupata dagli attivisti che si oppongono alla realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione, è nella disponibilità delle forze di Polizia. È quanto è stato comunicato agli amministratori locali che, al punto di accesso noto come 'Centrale idroelettricà, dove è stata creata una delle barricate, stanno trattando con le forze dell'ordine. Alla centrale sono accorsi un centinaio di attivisti. L'ordinanza - si è saputo - è stata emessa dal Prefetto di Torino lo scorso 22 giugno.

4.50 AL PRESIDIO NO TAV SCATTA L'ALLARME
Alle 4 e 30 è scattato l'allarme alla Maddalena di Chiomonte per l'imminente arrivo delle forze dell'ordine. A richiamare le centinaia di persone del movimento No Tav sono stati i fuochi d'artificio sparati dal piazzale, come era stato stabilito nella serata di ieri. Tutti si sono alzati dalle sedie o dai giacigli di fortuna e si sono diretti verso i punti del presidio dove sono state preparate le barricate. Numerose persone sono nascoste nei boschi nell'oscurità.

venerdì 24 giugno 2011

Egitto 2011 - La rivoluzione è possibile

DICHIARAZIONE FINALE DEL FORUM DI SOLIDARIETA’ ALLE RIVOLUZIONI ARABE.


CAIRO 3/5 GIUGNO

In un periodo storico unico in cui stiamo assistendo alle prime rivoluzioni popolari del 21° secolo e alla loro esplosione in diversi paesi della regione araba, con un enorme impatto regionale ed internazionale, il Cairo ha ospitato il Forum di Solidarietà alle rivoluzioni arabe. Hanno partecipato diverse forze di sinistra, anticapitaliste e persone provenienti dal nord e sud di tutto il mondo.
Le sessioni del Forum sono state ricche di discussioni sulle esperienze delle attuali rivoluzioni e delle sfide da affrontare, così come le prospettive su come continuare ed estendere i processi rivoluzionai in atto. Le discussioni hanno riguardato il rapporto tra le rivoluzioni e la questione democratica, e questa quanto sia legata alla volontà di cambiamento sociale rivendicato dalla maggior parte delle persone anche attraverso forme di autogestione delle propria vita e del proprio destino.
Oltre alle rivoluzioni in Egitto e Tunisia si è discusso anche delle principali questioni delle rivolte popolari in Siria, Yemen, Bahrein, Libia e di altri paesi arabi.
Tra i partecipanti c’è stata condivisione sull’importanza del ruolo avuto dalla sinistra all’interno delle rivoluzioni e il suo impegno per la costruzione di forme organizzative per l’unità delle lotte, per la creazione di alleanze popolari come base per radicalizzare e rendere continuo il processo rivoluzionario e spingerlo in avanti nell’interesse delle classi popolari.
Il Forum ha espresso il proprio sostegno assoluto alle rivoluzioni popolari contro tutti i regimi di tirannia e corrotti, senza alcune eccezione. Si fa carico della costruzione di reti regionali ed internazionali di solidarietà e sostegno alle rivoluzione arabe.
Il Forum ha inoltre espresso la sua convinzione rispetto alla connessione tra lotta democratica dal basso e lotta sociale, e il legame tra l’antimperialismo e l’anticapitalismo.
Per quanto riguarda la specificità della rivoluzione libica, il Forum ha affermato il suo fermo sostegno al popolo libico, contro il regime criminale di Gheddafi. Condanna inoltre l’intervento militare imperialista in Libia, giustificato dal barbarico attacco di Gheddafi contro le pacifiche proteste popolari, chiedendo l’immediato arresto dell’intervento stesso.
Infine, esprime la sua totale solidarietà alla lotta del popolo palestinese per ottenere i propri legittimi diritti contro lo stato sionista, che rimane la punta di diamante del progetto imperialista nella regione araba e parte integrante della controrivoluzione in atto.
Viva la rivoluzione araba!

sabato 4 giugno 2011

Conferenza europea dei lavoratori dell’automobile


RAPPORTO INTRODUTTIVO
In Europa, ristrutturazioni e soppressioni di posti di lavoro si susseguono nell’industria automobilistica, uno dei settori in cui si combinano più acutamente le crisi economica, sociale ed ecologica del capitalismo. Ciò malgrado, l’industria automobilistica rimane in Europa uno dei settori industriali che impiegano, nelle fabbriche e negli uffici studi, il più grande numero di dipendenti.
La recessione del 2008-2009, che ha causato su scala mondiale, e in particolare in Europa, Nord America e Giappone, cadute storiche della produzione di vetture, è per il momento passata.
Dal 2010, la maggior parte delle multinazionali dell’auto sono tornate ai profitti, al prezzo di colpi portati all’occupazione, alle condizioni di lavoro e ai salari. In Europa, i fattori all’origine della recessione sono tuttora presenti e l’attuale ritorno ai profitti non significa l’uscita dalla crisi, in particolare per i salariati.
L’aggressione costituita dalla soppressione di posti di lavoro non deve mascherare il fatto che l’industria dell’auto europea occupa nelle sue fabbriche e negli uffici studi tre milioni e mezzo di lavoratori, cioè un decimo di tutta l’industria manifatturiera europea. I fatti e i dati sono testardi: l’industria dell’auto in Europa non è un settore in via di estinzione. Livello dell’occupazione, salari, condizioni di lavoro e rapporti di forza con i lavoratori continuano a essere poste in gioco decisive per il padronato.
Gli insediamenti industriali dell’industria dell’auto europea si sono costantemente estesi in senso geografico da cinquant’anni. Dopo i vecchi paesi imperialisti europei, sono stati la Spagna e il Portogallo a costituire negli anni 1970 nuovi territori di insediamento. Dopo gli anni 1990 è stata la volta dei paesi dell’Europa Centrale e dell’Est di essere i luoghi di costruzione delle nuove fabbriche.
Negli anni 1960 e 1970, le principali fabbriche raggruppavano decine di migliaia di operai in Germania, Francia, Italia e Inghilterra. Questa concentrazione ha favorito la creazione di rapporti di forza che facevano del settore l’elemento avanzato delle lotte operaie. Gli scontri sociali continuano, ma all’opposto, con il pretesto della sua crisi, il padronato vuole fare dell’industria dell’auto l’esempio delle sue controriforme reazionarie. Appoggiandosi sulla paura della disoccupazione, il padronato attacca i diritti acquisiti e i contratti collettivi conquistati nei decenni precedenti.
La recessione del 2008-2009 non è un semplice «incidente» dopo il quale tutta l’industria dell’auto riprende lo stesso corso con gli stessi luoghi di produzione e le stesse zone di vendita, gli stessi modi di sfruttamento dei lavoratori e le stesse società che vendono gli stessi prodotti. Bisogna esaminare le condizioni attuali dello sfruttamento dei lavoratori, con le loro forme tradizionali e le forme nuove, nel contesto della crisi che continua a minare tutte le economie capitaliste. Occorre mettere in comune le esperienze concrete nei diversi paesi europei e nelle diverse aziende per cominciare a costruire risposte comuni e coordinate.
I nuovi territori di crescita dell’industria dell’auto sempre controllata dagli stessi gruppi.
La mondializzazione capitalista dell’industria dell’auto è un processo di lungo periodo. Dai suoi inizi industriali le tecniche di produzione e le forme di sfruttamento dei lavoratori sono copiate con più o meno ritardo e con una tendenza all’internazionalizzazione crescente degli scambi. Dagli anni 1960, sono gli stessi gruppi nordamericani, giapponesi ed europei che controllano la produzione mondiale di auto. La mondializzazione non è un processo compiuto. Ogni zona geografica conosce evoluzioni differenziate, anche se le grandi recessioni hanno la tendenza a divenire sempre più sincronizzate.
Il mercato americano è segnato fin dalle origini da forti e frequenti cadute , seguite da riprese spettacolari. Il mercato europeo aveva progredito molto più regolarmente nei decenni passati e le recessioni erano molto meno marcate. Anche il mercato asiatico progredisce. Non c’è alcun precedente storico di un aumento tanto forte della domanda in un continente: un aumento delle immatricolazioni annuali di nuovi veicoli di più di 7 milioni in cinque anni! Nemmeno gli Stati Uniti dell’immediato dopoguerra, nemmeno l’Europa degli anni 1950 avevano conosciuto un simile boom.
Il fatto importante di questo inizio di secolo è proprio la crescita del mercato asiatico. Dal 2008 è il primo mercato mondiale. Il mercato cinese è arrivato in dieci anni al livello raggiunto da quello degli Stati Uniti in 80 anni! Nel 2010 i mercati , indiano, brasiliano e russo erano ancora al livello dei principali mercati europei occidentali, cioè tra 2 e 3 milioni di veicoli [ciascuno]. Conseguenza diretta di questa crescita, questi nuovi luoghi di produzione di massa di auto sono i luoghi dei nuovi scontri sociali. Gli scioperi operai degli ultimi mesi nelle fabbriche di auto cinesi testimoniamo della permanenza della lotta di classe al di là dei periodi e dei continenti.
La recessione del 2008-2009 è cessata ma la crisi è sempre presente
In questo contesto è sopraggiunta la violenta recessione del settore. Il massimo numero di vetture prodotte nel mondo era stato di oltre 73 milioni nel 2007. Il totale nel 2009 è stato di 61 milioni, cioè una riduzione di 12 milioni di veicoli, –17% tra il 2007 e il 2009. È una riduzione notevole, di un’ampiezza come non si era prodotta dopo la seconda guerra mondiale. I due precedenti choc petroliferi avevano avuto conseguenze molto più limitate: meno 5 milioni dal 1973 al 1975, meno 6 milioni dal 1979 al 1982.
Si può veramente parlare, nel 2008-2009, di crollo della produzione negli Stati Uniti, il paese faro dell’auto dagli anni 1930. Il livello della produzione di auto negli Stati Uniti è stato nel 2009 lo stesso di prima del 1950. Nel 2010, l’aumento della produzione ha permesso appena di recuperare i livelli di produzione raggiunti negli anni 1960.
In Europa, l’ampiezza della recessione è stata minore che negli Stati Uniti, e di intensità differente a seconda dei paesi. Nel Regno Unito e in Italia, le diminuzioni della produzione sono state di un’ampiezza uguale al crollo osservato negli Stati Uniti. In Germania e in Francia, gli «incentivi alla rottamazione», cioè sovvenzioni pubbliche all’acquisto di nuovi veicoli, hanno largamente permesso di mantenere il livello delle vendite.
Se il livello delle vendite è stato mantenuto, non è la stessa cosa per i livelli di produzione. La più forte diminuzione della produzione, in confronto all’evoluzione del livello delle vendite, è stata in Francia. Tra i costruttori automobilistici europei, i francesi sono stati i più attivi ad approfittare della crisi per internazionalizzare la loro produzione.
Dalla fine del 2010 è stato recuperato il livello di produzione del 2007, ma la cifra totale su scala mondiale nasconde una grande diversità geografica. Il recupero, ed anche l’aumento, della produzione di auto è stato ottenuto grazie agli aumenti osservati in particolare in Cina, e anche in India, Russia e Brasile. Al contrario, nei «vecchi» paesi automobilistici dell’Europa dell’Ovest, del Giappone e dell’America del Nord l’aumento della produzione osservato a partire dal 2010, non ha ancora compensato le diminuzioni osservate durante la recessione.
La crisi di sovrapproduzione capitalista dell’industria dell’auto continua a infierire in Europa.
La mondializzazione capitalista dell’industria dell’auto dà all’Europa un nuovo posto all’uscita dalla recessione del 2008-2009. La crisi in Europa è sempre presente, con una contraddizione crescente tra gli attacchi portati contro i lavoratori, e i profitti che ritornano verso le sedi sociali dei principali gruppi automobilistici europei, a partire dai guadagni realizzati in tutti i continenti.
In Europa, la crisi dell’industria dell’auto continua ad avere le caratteristiche di una crisi di sovrapproduzione capitalista. L’Europa è la zona geografica del mondo dove la concorrenza è più acuta. Tutti i gruppi mondializzati – nord americani, europei, giapponesi e coreani – vi sono presenti per vendervi e produrre vetture. Al contrario, molte delle società europee sono assenti dall’America del Nord, e la produzione in Giappone è garantita dalle sole imprese nazionali, e il 99% delle vetture vendute in Corea del Sud sono fabbricate nel paese.
In Europa, tutti i costruttori sono dunque presenti in una zona geografica nella quale le vendite di vetture hanno la tendenza a non aumentare più: dalla metà degli anni 1990, le vendite oscillano attorno alla cifra di 20 milioni di vetture. I paesi dell’Europa dell’Ovest conoscono questa fase di stabilizzazione dagli anni 1980 e gli aumenti delle vendite nei paesi dell’Europa centrale e orientale non sono abbastanza importanti da modificare la tendenza alla stabilizzazione. Il capitalismo funziona sotto la dittatura del «sempre di più»: più produzione per più profitti. Basta che la produzione di vetture non aumenti più in misura significativa in Europa perché l’industria dell’auto non abbia altro futuro che la crisi.
La tendenza alla stabilizzazione delle vendite di auto in Europa è strutturale. I tassi di motorizzazione nei paesi dell’Europa dell’Ovest hanno raggiunto livelli che non saranno più superati. L’acquisto di vetture nuove è sempre più riservato alle frazioni più ricche e anziane della popolazione. L’austerità salariale che infierisce ovunque in Europa peserà ancor più sulle possibilità di acquisto dei salariati. E l’uso delle vetture diventa sempre più difficile con il petrolio sempre più raro e caro e l’attenzione portata al riscaldamento del clima, di cui il trasporto individuale in auto è una delle cause principali.
Di fronte a tale situazione, la politica capitalista classica è di ricercare sbocchi altrove. Questa via d’uscita è bloccata per quanto riguarda la produzione materiale delle vetture. Gli stessi gruppi controllano la produzione in Europa e negli altri continenti, e utilizzeranno sempre meno l’Europa come piattaforma per l’esportazione di vetture finite verso altre parti del mondo.
Non aumento della produzione in Europa e presenza di tutti i gruppi automobilistici che si fanno una concorrenza esacerbata: ecco le cause della sovrapproduzione capitalista. Le capacità produttive sono utilizzate solo per i due terzi. Questo indicatore è fornito dagli stessi costruttori automobilistici europei. Anche se questi possono gonfiare le cifre per meglio giustificare le chiusure di fabbriche e le soppressioni di posti di lavoro, questa è la realtà. E la situazione si aggrava poiché i costruttori continuano a investire: è la logica della concorrenza e della maggiore produttività che agisce. Ogni impresa vuole disporre di impianti più produttivi e redditizi di quelli dei concorrenti, e tanto peggio per le capacità di produzione globale non utilizzate. Nuovi impianti e fabbriche trasformate o nuove servono a mettere in funzione macchinari più produttivi e allo stesso tempo a spezzare i collettivi di lavoro. I collettivi di lavoro forniscono la base dei collettivi di resistenza che si sono costituiti attraverso micro resistenze che si costruiscono nel corso della presenza in officina. Una nuova fabbrica e un nuovo impianto: è l’occasione e l’obiettivo per distruggere questi collettivi e imporre condizioni di lavoro più rigorose.
Concorrenza generalizzata e delocalizzazioni
«L’Europa automobile» è immersa nella mondializzazione capitalista. La prima conseguenza è la crescita degli scambi. Contrariamente ai discorsi nazionalistici diffusi in Europa, lo sviluppo degli scambi di automobili si fa in tutti i sensi, dall’Europa verso il resto del mondo e reciprocamente, e anche tra paesi dell’Europa. Ciò che caratterizza tale crescita degli scambi è una concorrenza generalizzata tra imprese, costruttori, componentisti, fabbriche e paesi su scala mondiale. Le delocalizzazioni industriali osservate nei paesi dell’Europa occidentale sono il prodotto di questo fenomeno globale.
L’industria dell’auto non è nella situazione di altri settori industriali , ad esempio del tessile, dove la produzione è stata massicciamente delocalizzata verso paesi a bassi salari. L’Europa continua ad essere un continente da dove vetture prodotte vengono esportate. Le imprese dell’Unione ’Europea hanno tratto profitto dalla mondializzazione capitalista. Mentre il decennio 1990-2000 aveva visto un debole aumento degli scambi, questi si sono moltiplicati per più di tre volte nel decennio 2000-2010
L’Europa è una zona geografica esportatrice e il risultato non è dovuto principalmente ai paesi dell’Europa Centrale e Orientale dove i salari sono effettivamente più bassi: il principale paese esportatore di automobili verso il resto del mondo è la Germania. Al contrario, Francia, Italia e Inghilterra hanno saldi negativi e importano più vetture di quante ne esportino.
Altro dato da tenere presente, ad esempio per la Francia, il deficit più importante in termini di scambi del commercio estero, non è verso i paesi a bassi salari, ma verso la Germania. I fatti sono testardi: è principalmente la concorrenza tra le imprese capitaliste nei paesi più ricchi all’origine degli scambi di automobili tra i paesi e le zone geografiche, e degli squilibri (di che?) crescenti a detrimento dei salari.
Bisogna anche notare che i record di produzione di vetture osservati in Cina sono soprattutto a destinazione di quel paese. Senza giudizi prematuri su quel che avverrà nei prossimi anni, oggi non c’è quasi esportazione di vetture prodotte in Cina a destinazione dell’Europa o dell’America del Nord. I gruppi automobilistici, in prima fila tra i quali il gruppo tedesco Volkswagen, investono in Cina in società con imprese capitaliste cinesi, per produrre a destinazione della Cina e di altri paesi asiatici. Attualmente le vetture cinesi non invadono le strade delle città europee.
In effetti, come gli scambi di automobili sono in tutte le direzioni geografiche, anche le minacce di delocalizzazione non sono a senso unico. I ricatti praticati in Francia o in Italia, sono efficaci anche nei paesi dell’Europa Centrale. In Polonia, Fiat e General Motors Opel mettono in concorrenza le fabbriche polacche con quelle di altri paesi europei.
Il confronto di esperienze è particolarmente indispensabile su questa questione: contro il ripiegamento nazionalistico di ciascuno, la lotta contro le delocalizzazioni impone di rispondere all’internazionalizzazione padronale con atti di solidarietà tra lavoratori.
Strategie padronali europee differenziate
La mondializzazione capitalista si applica a tutti i costruttori di auto. Ma ogni società si internazionalizza secondo modalità che le sono proprie. Tra i gruppi europei si deve constatare che le strategie seguite dai gruppi Renault e Fiat si distinguono da quelle di Volkswagewn o PSA [Peugeot Citroën].
La Renault è stata un’impresa nazionalizzata fino al 1994. La sua privatizzazione è stata attuata dai diversi governi di destra e del partito socialista. Nel 2000, la Renault privatizzata ha stretto un’alleanza capitalistica con il gruppo giapponese Nissan. L’alleanza Renault Nissan tende a prendere le distanze dalla base storica della Renault. La sede finanziaria dell’alleanza è situata nei Paesi Bassi, per ragioni fiscali, ma anche per affrancarsi da un controllo troppo stretto del governo francese, che rimane un azionista con il 15% del capitale della Renault. La conseguenza è un’internazionalizzazione a marce forzate della Renault, tanto dal punto di vista degli azionisti quanto delle attività produttive. L’alleanza Renault Nissan si è squilibrata a vantaggio della Nissan, diventata l’impresa più redditizia. I profitti dichiarati dalla società Renault provengono in gran parte dai dividendi versati dai profitti della società Nissan.
La Fiat [auto], uscita da uno dei più grandi gruppi industriali italiani, ha stretto un’alleanza con la Chrysler ed è in procinto di acquistarne il controllo di maggioranza. Sarà un nuovo gruppo, del quale la vecchia Fiat sarà solo più una componente. La politica dell’attuale AD della Fiat è manifestamente di liberarsi dalla sua base storica italiana per inserirla nella politica di un gruppo mondializzato. Se la sua recente minaccia di non investire in Italia era per molti aspetti solo un ricatto, però traduceva anche questa volontà di costruire un nuovo gruppo sempre meno dipendente dall’Italia.
Gli orientamenti della Renault e della Fiat, che puntano a costruire nuovi gruppi e alleanze autonome in rapporto ai loro paesi e Stati di origine, sono problematici. L’esperienza della recessione di due anni fa ha dimostrato che i governi borghesi erano molto utili, in definitiva, nel comportarsi come “polizze casco” [assicurazioni contro tutti i rischi] per imprese e padroni in fallimento. E la volontà di indipendenza degli attuali dirigenti della Fiat e della Renault si scontra con questa realtà.
I lavoratori della Fiat e della Renault sono i primi a essere colpiti da questa politica, con la diminuzione di posti di lavoro in Europa e in particolare nei loro paesi di origine storica.
Il primo costruttore europeo di auto, Volkswagen VAG, e il gruppo francese PSA, sono anch’essi immersi nella mondializzazione capitalista. Il gruppo VAG è presente in tutti i continenti, produce e vende più vetture in Cina che in Germania. La Volkswagen ha acquistato un notevole numero di altre imprese, soprattutto europee. Ma, contrariamente a Renault e Fiat, non si tratta di alleanze più o meno equilibrate. L’azionariato della Volkswagen ha sempre conservato il suo intero potere di proprietà e di decisione. I marchi acquistati erano tutti più piccoli. E si deve constatare che il legame mantenuto tra il gruppo VAG e il suo Stato di riferimento, la Germania, gli ha permesso di garantire il suo sviluppo mondializzato.
Con una dimensione più ridotta del gruppo VAG, la PSA appartiene da oltre un secolo alla stessa famiglia di capitalisti che ha una parte importante nei dispositivi politici della borghesia francese. La famiglia proprietaria di Peugeot e di PSA si è finora rifiutata di dissolvere i propri diritti di azionariato in conglomerati più ampi. E la PSA mantiene in Francia una parte più importante della sua attività produttiva che quella della sua concorrente privatizzata Renault.
Queste disparità di strategia padronale non sono necessariamente durevoli. Per quanto riguarda la Francia, la Renault, uscita da una nazionalizzazione effettuata dopo la seconda guerra mondiale, era un’impresa nella quale i lavoratori erano meglio organizzati in potenti sindacati. Al contrario, nelle fabbriche Peugeot e Citroën regnavano sindacati «della casa», venduti al padronato. E la Renault è oggi in testa nella diminuzione della produzione di auto in Francia.
Ma per i lavoratori, la questione è di superare ognuna delle esperienze parziali derivanti dallo sfruttamento praticato in ogni società per costruire un fronte di lotta tutti assieme.
Caduta dell’occupazione e dispersione materiale delle attività produttive
L’industria dell’auto è controllata da solo alcuni gruppi. Ognuna delle crisi che hanno ritmato la storia di questa industria ha comportato nuove fusioni e ristrutturazioni tra società. La concentrazione di capitale del settore aumenterà ancora. Ma, elemento nuovo che crescerà ancora con la crisi, questo fenomeno si accompagna, in particolare in Europa, a uno smembramento dei processi materiali e umani di produzione.
Il tempo delle grandi cittadelle operaie di varie decine di migliaia di operai fa parte del passato in Europa. Solo il sito della Volkswagen, a Wolfsburg, occupa più di 50.000 salariati. La taglia media delle altre fabbriche automobilistiche europee più importanti è attorno ai 10.000. La produzione di auto si disperde sempre più tra fabbriche di assemblaggio, qualche fabbrica meccanica di motori, gli stabilimenti della componentistica e i subappaltatori di diverso rango.
In Europa, la caduta dell’occupazione nell’industria dell’auto non è cominciata con l’ultima recessione. Fiat, Renault e PSA ne sono i campioni. In primo luogo è la conseguenza dei processi di automazione nelle fabbriche e delle ristrutturazioni e concentrazioni che riguardano tutta l’industria dell’auto. Storicamente, l’internazionalizzazione degli scambi e la crisi degli sbocchi sono sopraggiunte solo più tardi. Questo perché una vera soluzione alla soppressione di posti di lavoro non sta in un ipotetico aumento della produzione ma in una riduzione del tempo di lavoro che permetta di suddividere il lavoro disponibile tra tutti.
Meno di un quarto del valore di un’auto è oggi prodotto direttamente dal costruttore che mette la sua etichetta sul prodotto finito, mentre questa proporzione era della metà nel 1990. A lato dei costruttori veri e propri, i produttori di componenti sono in una fase attiva di concentrazione e ristrutturazione.
Il terremoto e lo tsunami che hanno devastato il Giappone hanno messo in evidenza la dipendenza di molto costruttori europei dalle parti elettroniche prodotte in Giappone e installate nelle vetture prodotte nelle fabbriche europee. La conseguenza più visibile è stato il blocco della produzione in numerose fabbriche europee per la mancanza di componenti prodotte a molte migliaia di chilometri di distanza.
I lavoratori delle imprese subappaltatrici, fornitrici dei componentisti o dei costruttori, sono stati i primi colpiti perché è là che era più «facile» chiudere una fabbrica. Il fenomeno delle delocalizzazioni è particolarmente intenso nelle imprese subappaltatrici: i sevizi acquisti dei grandi gruppi dell’auto procedono a delle aste tanto più mondializzate in quanto le parti acquistate sono facilmente trasportabili.
In Francia, l’attualità sociale è ritmata dalle lotte sparse di piccole e medie imprese sotto i colpi di chiusure decretate da stati maggiori lontanissimi. In ogni fabbrica attaccata in questo modo, anche se appartiene alla filiera dell’auto, si è lontani dal prodotto auto finito. L’individuazione dei grandi costruttori come mandanti, cioè come responsabili delle soppressioni di posti di lavoro, è la condizione per allargare il movimento a tutto il settore. Ad esempio, una lunga mobilitazione dei lavoratori a Bordeaux in Francia, ha costretto Ford Europa a reinvestire in una fabbrica che aveva venduto due anni fa e a promettere il mantenimento di 1000 posti di lavoro.
Quale congiunzione tra urgenza climatica e movimento operaio?
La questione della congiunzione in Europa tra il movimento sociale che ha iniziato a emergere sull’urgenza climatica e il movimento operaio del settore auto è una questione che abbiamo di fronte. In questo ambito non si può concepire alcuna priorità. Non è possibile subordinare le resistenze necessarie e urgenti agli attacchi contro l’occupazione, i salari e le condizioni di lavoro, a un accordo e una comprensione condivisa delle dimensioni ecologiche della crisi che colpisce l’industria dell’auto.
È l’interesse finanziario che guida il comportamento dell’industria dell’auto. Poco importa che il trasporto su strada – automobili e mezzi pesanti – sia il settore che da dieci anni ha aumentato di più le emissioni di ossido di carbonio. In compenso, il rincaro irreversibile del prezzo del petrolio e la sua fine come fonte di energia abbondante costringono l’industria dell’auto a elaborare altre soluzioni. Non si tratta del benessere dell’umanità ma di un punto di vista strettamente finanziario. I costruttori, dopo decenni senza investimenti seri in questi campi, cominciano a preparare veicoli a motore ibrido, e veicoli elettrici. Quel che non hanno fatto negli anni della crescita – attenti soprattutto a passare dividendi agli azionisti – pretendono di farlo adesso. Ma la crisi dell’industria dell’auto non sarà risolta con ricette tecnologiche. Nella maggior parte dei paesi europei, l’elettricità è prodotta da centrali termiche che funzionano a petrolio e a carbone e, in Francia, con centrali nucleari rimesse in discussione dalla catastrofe giapponese di Fukushima. Questo tipo di soluzione tecnologica non è una risposta ai fattori strutturali della crisi dell’auto.
Mentre i trasporti collettivi vengono privatizzati e si degradano, la battaglia per la conservazione di un servizio accessibile a tutti fa parte dell’urgenza sociale. Certo, nuovi mezzi di trasporto collettivi e semi-collettivi sono da inventare. Le risorse di questa invenzione sociale esistono prima di tutto tra i lavoratori del settore. Ma come credere che questa creatività possa manifestarsi senza un controllo operaio sulla produzione, e uno scontro con un padronato al quale non interessa l’utilità sociale delle merci che vende sul mercato.
Come nota Lars Henriksson, operaio svedese della fabbrica Volvo, «Se non facciamo niente su questo e aspettiamo soltanto che altri se ne incarichino, ci sono molte probabilità che ci ritroveremo presto tutti senza lavoro. Trasformare la produzione automobilistica può sembrare un compito impossibile per noi che lavoriamo al livello più basso dell’impresa. Ma la verità è piuttosto che noi siamo i soli a poterlo fare! Non possiamo aspettarci nessun aiuto e nessuna soluzione da parte dei padroni.»
Nessuno spazio tra la subordinazione alla crisi e lo scontro con il capitale
Con il pretesto della crisi, ovunque in Europa il padronato è all’offensiva nel settore auto. I periodi precedenti avevano visto la conclusione di contratti collettivi e di accordi di settore. Erano testimonianze del rapporto di forze che il movimento operaio era riuscito a imporre attraverso tutta una storia di lotte operaie e sindacali.
Le presenze e gli orientamenti nelle fabbriche e nelle imprese erano diversi. C’erano semplici officine «della casa», direttamente alla dipendenza del padronato, per controllare i lavoratori dall’officina alla casa passando per il tempo libero. C’erano sindacati che coprivano le politiche padronali ma volevano disporre di un vero potere negoziale con il padronato. E si sono sempre mantenuti orientamenti più combattivi che mantenevano l’indipendenza del movimento operaio, e correnti che si iscrivevano nella prospettiva del’autorganizzazione dei lavoratori e di una lotta di classe senza concessioni.
Tali disparità di posizioni sono sempre meno possibili. Il padronato ha impegnato una lotta aperta per espellere dalle fabbriche tutto ciò che non è subordinazione alla crisi. Tramite nuove forme di organizzazione del lavoro, costrizioni imposte dal “just in time”, c’è una nuova caccia ai tempi morti e alle pause, un’intensificazione e un aggravamento delle condizioni di lavoro.
Perciò c’è sempre meno spazio per le posizioni intermedie del movimento operaio: lo scontro tra il movimento operaio e il padronato non può essere evitato di fronte all’offensiva di quest’ultimo. È quanto rivela l’aggressione portata dalla Fiat Mirafiori a Torino contro la FIOM.
La pratica dei «referendum ricatto» si generalizza: Fiat a Torino, General Motors a Strasburgo, Nissan in Catalogna, Continental in Midi-Pirenei in Francia. È una vera ondata, che ricorre in tutti questi casi alle stesse ricette: aggirare i sindacati rappresentativi per rivolgersi direttamente ai lavoratori condizionati dallo stesso ricatto padronale: o la rimessa in discussione delle conquiste o la chiusura della fabbrica.
È urgente una controffensiva tutti assieme contro le politiche padronali. Ma non si fa per decreto. I grandi gruppi dell’auto sanno come sviluppare la concorrenza tra loro e allo stesso tempo coordinare, su scala nazionale, europea e mondiale, le loro pratiche politiche verso i salariati. Il coordinamento effettivo delle lotte e delle resistenze tra lavoratori dovrebbe essere messo all’ordine del giorno di tutto il movimento operaio in Europa.
Cominciamo con la condivisione e gli scambi di esperienze di lotta, la discussione sulle rivendicazioni, il rifiuto di coprire la crisi dei capitalisti.

Dichiarazione della Conferenza europea dei/delle lavoratori/lavoratrici dell’industria automobilistica


Una conferenza europea dei lavoratori dell’auto, tenuta ad Amsterdam il
28 e 29 maggio 2011, ha riunito militanti venute/i da Polonia, Italia, Spagna Francia, Svezia, Russia e Stati Uniti, occupate/i nelle fabbriche Fiat Italia, Fiat Polonia, Ford Francia, Ford Spagna, Opel Polonia, Renault Francia, Renault Spagna, PSA, Volvo-Trucks, Seat e Volkswagen.
Impegnati/e nelle lotte sindacali e politiche, abbiamo valutato l’ampiezza degli attacchi coordinati condotti dal padronato dell’auto contro i lavoratori e le lavoratrici. Ovunque in Europa, subiamo le stesse offensive contro l’occupazione, le condizioni di lavoro e i salari. La pratica dei referendum-ricatto – che cercano di fare accettare la rimessa in discussione dei contratti collettivi ottenuti nei decenni precedenti – si generalizza.
La politica della Fiat può prefigurare la politica di tutto il padronato dell’auto. In questa volontà di rimessa in discussione dei diritti acquisiti, le offensive padronali riguardano anzitutto i sindacati che si oppongono direttamente alla loro politica, ma si estende oggi all’insieme del diritto del lavoro e delle organizzazioni sindacali.
La mondializzazione capitalista dell’industria dell’auto organizza la produzione di automobili su tutti i continenti in funzione dei soli imperativi della massimizzazione dei profitti. Contro questa politica e il veleno nazionalista che divide i lavoratori mettendoli gli uni contro gli altri, la solidarietà internazionale è più che mai all’ordine del giorno. Il movimento operaio non è oggi all’altezza degli attacchi padronali. L’urgenza è la costruzione di lotte comuni.
Dalle resistenze alle lotte offensive, il cammino passa per l’informazione, gli scambi di esperienze di lotta dei/delle lavoratori/lavoratrici dell’auto e lo sviluppo delle iniziative di solidarietà. Abbiamo deciso di mettere in campo una rete permanente di informazione aperta a tutte le correnti e i/le militanti che rifiutano di subire la crisi del padronato dell’auto. Facciamo appello alla convergenza con le iniziative già esistenti che vanno nello stesso senso.
Questa riunione si è tenuta nel momento in cui i raduni degli “indignati” nelle città dello Stato spagnolo si scontravano con la repressione poliziesca. Affermiamo la nostra totale solidarietà con queste mobilitazioni. La resistenza dei lavoratori e delle lavoratrici dell’auto deve unirsi con tutti i movimenti europei di rimessa in discussione dell’ordine stabilito, della precarietà e della crisi che ci impone il capitalismo.
Amsterdam, 29 maggio 2011

Firme : Boguslaw Zietek (présidente do WZZ “Sierpien 80“, Sindacato libero “Agosto 80“, Polonia), Franciszek Gierot (WZZ “Sierpien 80“, Fiat Auto Poland, Polonia), Zbigniew Pietras (WZZ „Sierpień 80”, General Motors Manufacturing Poland – Opel, Polonia), Adriano Alessandria (Delegato sindacale FIOM-CGIL Lear Corporation - Grugliasco, Italia), Pasquale Loiacono (Delegato sindacale FIOM-CGIL - carrozzerie Mirafiori, Torino, Italia), Federation de sindicatos de la Industrie métallurgie FESIM-CGT (Spagna), Sindicato de Trabajadores del Metal-Confederacion Intersindical (Sindacato dei metallurgici-Confederazione Intersindacale, Spagna), Gunnar Pettersson (IF Metall Volvo-Trucks, Umea, Svezia), Gilles Cazin (militando CGT Renault Cléon, militando NPA, Francia), Didier Laforêts (Militando CGT Renault Cléon, militando NPA, Francia), Dianne Feeley (Autoworkers Caravan, USA), Olga Masson (Interregional Trade Union of Autoworkers, Russia), Philippe Poutou (militando CGT Ford Blanquefort, militando NPA, Francia).