domenica 19 ottobre 2008

Sorpresa sociale, sciopero generale

Sorpresa sociale, sciopero generale
Inatteso, grandissimo, nonostante la pioggia. A Roma oltre 300.000 persone in corteo. I sindacati di base (Cub, Cobas, Sdl) raccolgono un successo importante; ora sono un soggetto con cui la politica - e la sinistra - deve fare i conti. Stracciato il luogo comune del conflitto generazionale
Francesco Piccioni
ROMA

La crisi sta rompendo molti argini, e non solo nelle borse. Lo vedi già uscendo dalla metro, piazza della Repubblica, mezz'ora prima dell'appuntamento per il corteo. La prima impressione è subito potente: lo slargo è già pieno. Per chi sa quanto siano «pigre» le partenze dei cortei romani questo è un segnale. Era successo lo stesso una settimana fa, per la manifestazione dell'11.
E' una folla di ogni età, dai bambini tenuti per mano da mamme o maestre fino ai canuti protagonisti di stagioni lontane. In mezzo i trentenni divorati dalla precarietà, i quarantenni che scrutano l'orizzonte per capire se e quanto reggeranno le aziende in cui lavorano (anche statali, visto l'aria che tira da 15 anni e i pruriti di Brunetta), i cinquantenni che vedono la pensione allontanarsi e immiserirsi. Ma che almeno conservano memoria di altri conflitti, hanno esperienza da trasmettere.
Si parte subito, di modo che dietro possano respirare. I coordinatori delle tre organizzazioni promotrici dello sciopero si godono il primo annuncio di grande successo, portando tutti insieme il piccolo drappo («patto di consultazione permanente») che dà conto del robusto passo avanti unitario che questa giornata rappresenta. Paolo Leonardi (Cub), Fabrizio Tomaselli (Sdl) e Piero Bernocchi (Cobas) sono presto assediati da cronisti e telecamere. Dietro di loro il grande striscione riassuntivo dei temi dello sciopero: «Basta con la distruzione di lavoro, salari, diritto, scuola, servizi pubblici». E' un discorso frutto di una dinamica sociale che ancora non ha incorporato - né poteva farlo prima - la dimensione e le conseguenze sociali della crisi. Ma di questo si comincerà a parlare da domani.
Si va, e un cielo carogna comincia a mandar pioggia. Prima a dirotto, poi intermittente, ma senza mai smettere fin quando l'ultimo cordone di corteo non sarà arrivato a San Giovanni. C'è un attimo di incertezza. Molti - tra lavoratori, studenti e maestre d'asilo - sono in piazza per la prima volta. Poi vedi che le maestrine sono veramente previdenti: in un attimo tirano fuori centinaia di mantelline, coprono al volo i bambi e via a sguazzare sotto l'acqua contro «la strega Gelmina». Viene sommersa dagli applausi una signora che porta un cartello davvero puntuale («Ci pisciano addosso, ma il governo dice che piove»). I più «maturi» e atei inveiscono alla loro maniera, massaggiandosi le giunture doloranti. Ma si va. Ai ragazzi dei licei non sembra fare effetto; saltellano cantando «Bella ciao», come ci fosse il sole. Ai vigili del fuoco, ovviamente, il clima non fa né caldo né freddo.
Da dietro entrano quelli del «Blocco precario metropolitano» che avevano occupato i binari della stazione Termini, offrendo la colazione ai passeggeri preoccupati di perdere il treno (molti, peraltro, erano stati cancellati per lo sciopero). Un ragazzo smentisce chi dice che certe parole non hanno più senso, sbandierando il suo cartello «il nero è di classe». E non parla di moda. Sarà perché i sindacati di base sono apertamente di sinistra, sarà perché è un bel colore, anche questo fiume di gente scorre sotto un manto di bandiere rosse. Fregandosene dei consigli pelosi di chi consiglia di farne a meno. Il segretario di Rifondazione, Paolo Ferrero, viene accolto nella prima fila e si fa tutta la strada come gli altri. Altri volti noti dei partiti ora extraparlamentari appaiono già al momento della partenza (Rizzo del Pdci; Musacchio, Sentinelli, Boghetta del Prc; Marco Ferrando, Gigi Malabarba e molti altri di Sinistra critica). Inutile cercare l'ombra del Pd.
Ma la piazza è di chi lavora, oggi. In una macchia gialla si presentano invece i dipendenti di Ikea. Si spiegano con la stessa sintetica rapidità con cui sono costretti a lavorare: «Subiamo ricatti continui, a decine sono assunti tramite agenzie interinali con contratti a due giorni; poi abbiamo stagisti dalla Regione, formazione zero e otto ore di lavoro; una marea di contratti a tempo rinnovati da anni; alle cassiere viene vietato di partecipare alle assemblee sindacali, chi è iscritto a qualche sindacato viene comandato per turni spezzati, in orari assurdi, per massacrarti la vita». Uno ricorda che «il fondatore di Ikea, era uno svedese collaborazionista dei nazisti; l'imprinting deve essere rimasto anche nei successori».
Nella i scuola i Cobas hanno il loro regno, ora molto rivitalizzato. Striscioni e bandiere sono davvero tanti, e si vede anche che in diverse utility (Telecom), servizi, fabbriche, questa presenza si è ormai consolidata. Imponente lo spezzone Cub, con una presenza massiccia del pubblico impiego (dall'Inps all'agenzia delle entrate, passando per praticamente tutti i ministeri e un profluvio di enti locali) e nei trasporti locali. Applausi per le centraliniste precarie di Legnano, diventate famose per una strip conference e invitate ad Anno zero solo la sera prima (ma sono ancora fuori dal lavoro). Anche l'Sdl ha ormai una presenza diversificata, ma il blocco dei dipendenti Alitalia non può certo passare inosservato, con tutti quegli steward e hostess in divisa, impeccabili, di fianco a ragazzotti coi dreadlocks.
E' un fatto sociale e politico enorme. Se così tanta gente si prende così tanta acqua con così tanta allegria, vuol dire che sotto c'è sostanza e ragioni vere. Senza l'acqua sarebbero stati certo più degli oltre 300.000 che tutti gli riconoscono (ma la cifra di 500.000 non sembrerebbe un'esagerazione), ma proprio le avversità meteo ingigantiscono la forza di questa prova. Gli stessi organizzatori non si attendevano un successo simile, anche se erano certi di una partecipazione molto più alta del solito. Molta di questa gente non è iscritta a questi sindacati, magari ha in tasca la tessera della Cgil. Un infermiere lo spiega con molta chiarezza: «non ne possiamo più e non vediamo una lira, era semplicemente ora di muoversi». O anche uno slogan che riscuote subito successo: «se qualcosa volete cambiare, dai vostri stipendi dovete cominciare».
Questo corteo ammazza parecchi luoghi comuni, nessuno innocente. Il principale è quello del «conflitto generazionale», dei giovani a basso salario e precari perché i vecchi sarebbero «troppo garantiti». Quei tanti volti di ultraquarantenni certificano che la precarietà è una condizione universale pervasiva; e che la riduzione di diritti e salari per chi sta un po' meglio (assunzione a tempo indeterminato e un salario garantito da un contratto nazionale, nulla di più) non comporta affatto un miglioramento per chi chi sta peggio. Anzi, i precari sono ulteriormente danneggiati (basta guardare a quel che vuol fare Brunetta nel pubblico impiego). Il secondo luogo comune spazzato via riguarda l'universo valoriale: cos'è «nuovo» o «vecchio», nel bel mezzo della crisi?
Da oggi c'è un nuovo soggetto sindacale e sociale con cui fare i conti. Lo sanno per primi i sindacati di base, fin qui frammentati e prigionieri di una condizione di minorità che ha sedimentato dei decenni anche un'attitudine minoritaria. C'è un salto di paradigma da fare, ma alcune premesse - il radicamento sociale - cominciano ad esserci.

Dal Manifesto del 18 ottobre 2008

domenica 12 ottobre 2008

Il risveglio dell'america latina

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Il risveglio dell'America Latina. Storia e presente di un continente in movimento. Di Antonio Moscato, pag. 192, 15,00 euro.

Dal Venezuela al Brasile, dalla Bolivia all'Argentina, da Cuba all'Ecuador, un confronto tra la storia del continente latinoamericano nel XX secolo e quella dei primi anni del nuovo millennio. Dalle tante rivoluzioni tentate, all’ultimo decennio in cui sussulti improvvisi spazzano via regimi apparentemente solidi ed elezioni regolari consentono finalmente a coalizioni di sinistra di arrivare al governo.

Se per decenni ogni modesto tentativo riformista è stato rapidamente stroncato da un golpe militare subito riconosciuto da Washington, oggi si muovono i primi passi in direzione di una cooperazione tra governi per utilizzare razionalmente e in comune le grandi risorse del continente.

Sembra realizzarsi il sogno di Bolivar...

L’autore:

Antonio Moscato, docente di Storia del movimento operaio presso l'Università di Lecce, ha pubblicato numerosi libri, in gran parte dedicati alla storia del movimento operaio, al “socialismo reale”, allo stato di guerra permanente. Nell'ultimo decennio si è concentrato su Cuba, dove ha soggiornato a lungo per studio e solidarietà internazionale, e su Guevara, del quale ha potuto reperire gran parte degli scritti inediti. Fra le sue pubblicazioni sul tema: Il Che inedito (Edizioni Alegre, 2006), Breve storia di Cuba (Datanews, 2006), Cuba. Guida storico-politica (Datanews, 1998).

www.edizionialegre.it

Erre n.29

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Erre n. 29

Contro Natura

Leggi il Sommario

EDITORIALE
Le rotte inedite della sinistra di classe (Salvatore Cannavò)

IL TEMA: CONTRO NATURA

Sfruttamento e devastazione della natura (Cinzia Arruzza)

Acqua e beni comuni: un nuovo terreno di conflitto (Fabrizio Valli)

Decrescita e antisviluppo: quale modello di società? (Stèphanie Treillet)

La decrescita in Italia, ovvero il supermarket dell'ecologia (Felice Mometti)

Marxismo, energia e regolazione umana dei cicli naturali (Daniel Tanuro)

Le minacce sulla riproduzione della vita di determinate classi e paesi (Francois Chesnais e Claude Serfati)

IL MONDO
Ancora instabilità in America Latina (Antonio Moscato)

LE IDEE
Recensioni: Il paradosso dell'operaismo (Marco Bertorello)
Quando Kisney scavalcava il muro (Francesco Racco)
Da Matrix a Marx: Thyssenkrupp: il nostro 11 settembre (Boris Sollazzo)

L'arcobaleno torna in piazza

partiti dell’ex Arcobaleno hanno superato il test dell’esistenza in vita. Gli organizzatori dicono di essere stati in 300mila al corteo dell’11 ottobre a Roma, la Questura dice 20mila, insomma qualche decina di migliaia di persone in piazza, tanto da far dire ai vari segretari che non si aspettavano una tale partecipazione. Per quanto Sinistra Critica avesse deciso di non aderire alla manifestazione – siamo stati presenti in piazza a raccogliere le firme sulla Legge popolare per 1300 euro al mese – non siamo così settari da non salutare positivamente la presenza di una forza che vuole contrastare, da sinistra, Berlusconi e Confindustria. Resta il problema, però, di capire quale sinistra sia realmente scesa in piazza e che tipo di contrasto, cioè di opposizione, questa sinistra è realmente in grado di costruire.
Le versioni ascoltate dai vari leader di partito, o di sottopartito – ognuno, ormai, ha una sua consistente minoranza interna che pensa l’opposto della propria maggioranza – non danno una risposta esauriente alla natura del progetto politico che fuoriesce dall’11 ottobre: chi parla di “costituente comunista”, in forma più o meno nostalgica; chi di “costituente della sinistra”, chi, come Ferrero, cerca un faticoso equilibrio avanzando l’idea di un “Coordinamento delle sinistre”. Insomma, una babele.
A unire tutti, però, è la natura e la collocazione immaginate dai vari protagonisti, non dissimili da quella che è stata la Sinistra-Arcobaleno (di fatto, quel “coordinamento delle sinistre” oggi avanzato da Ferrero). Insomma, la manifestazione di ieri non avanza la proposta di una nuova Sinistra Anticapitalista che sfidi il sistema in crisi e rilanci una fase nuova – si pensi al coraggio e al successo che sta avendo in Francia la proposta del Nuovo Partito Anticapitalista lanciata dalla Lcr in procinto di…sciogliersi – ma non fa che riproporre il già visto: una forza di sinistra, o un coordinamento, a sinistra del Pd, che però non rompe con quest’ultimo e che mentre oggi prova a ricostruire forza e compattezza dall’opposizione immagina poi di spenderle in una prospettiva di centrosinistra (anche per questo risultano ancora più incomprensibili le lezioni di anticapitalismo che quotidianamente ci fa il Pcl che ieri si è semplicemente accodato a questa situazione).
Un esempio? Mentre Rifondazione dà il massimo per la riuscita dell’11 ottobre e costruisce lì dentro una forte opzione identitaria-comunista, un suo dirigente, come il segretario dell’Emilia Romagna, sulle pagine di Liberazione scrive che l’uscita di scena di Cofferati a Bologna riapre l’opzione di un’alleanza alle elezioni amministrative con… il Pd. Lo stesso viene fatto in altri gangli essenziali del rapporto con il partito di Veltroni come la Milano di Penati o la Torino di Chiamparino e Bresso.
Questo è il profilo che, ancora una volta, emerge dalla piazza dell’11 aggravato, però, dalla cacofonia che offrono i depositari della manifestazione (cacofonia ben colta dall’editoriale de il manifesto) e dal respiro identitario che ha occupato le strade (se Bertinotti va contestato è per il disastro politico compiuto non per questa o quella frase “dal sen sfuggita” che riguarda il comunismo).
Questa contraddizione – che conosciamo ormai da quindici anni – ha come risvolto concreto un’idea del conflitto che passa innanzitutto per la sua rappresentazione simbolica – il corteo, la sfilata, le bandiere: anche qui, come negli ultimi quindici anni – restando giustapposto e parallelo al conflitto reale, ai soggetti reali. L’alternanza tra 10 e 11 è paradigmatica: di là gli studenti, di qua il “popolo della sinistra” che si ritrova e marcia su se stesso.
Ripetiamo, siamo contenti che qualcosa si muova e che Berlusconi non si ritrovi davanti un paese del tutto supino. E forse è anche positivo, in questa fase, che accanto al Pd voglia riemergere una forza di stampo riformista – togliattian-socialdemocratica – in grado di reggere l’urto. Ma tutto ciò non elimina la necessità di costruire un’opzione compiutamente anticapitalista, proprio mentre il capitalismo conosce una delle sue crisi storiche; e non ci risparmia dell’urgenza di animare un conflitto dal basso reale, imperniato cioè sul protagonismo dei soggetti in carne e ossa, a partire da lavoratori e lavoratrici.
E’ quanto ci proponiamo con il sostegno, convinto e determinato, allo sciopero del 17 ottobre che ci auguriamo possa aprire una fase ampia di mobilitazione a partire dalla scuola; è quanto cerchiamo di fare, nel nostro piccolo, con la campagna sul Salario minimo intercategoriale; ed è quanto cercheremo di fare nelle prossime settimane realizzando una discussione più avanzata all’interno della sinistra di classe per realizzare una piattaforma politica e sociale adeguata alla crisi.
Che cento fiori nascano: noi cercheremo di far nascere una nuova sinistra anticapitalista.

Il pubblico provvidenza del privato

Associazione per la Tassazione delle Transazioni finanziarie e l’Aiuto ai Cittadini

Comitato Locale – via Mantova 34 – 10153 Torino - attactorino@libero.it

Il pubblico provvidenza del privato

al Sindaco della Città di Torino

cc. ai consiglieri comunali di maggioranza

Signor Sindaco

Nell’ultima riunione di Attac Torino ci siamo chiesti se anche Lei avesse letto l’articolo di fondo sulla Stampa dell’8 ottobre nel quale Francis Fukuyama sostiene alcune delle idee che Attac cerca di diffondere da dieci anni a questa parte, riassunte efficacemente nel titolo “La fine del modello americano”.

Quel modello americano imposto come ricorderà (almeno per i Suoi trascorsi comunisti) con le buone o con le cattive a gran parte del nostro pianeta e del quale, buttata la tonaca del chierico comunista alle ortiche, anche Lei e la Sua maggioranza politica siete diventati seguaci e attuatori.

Ne sono testimonianza le vostre scelte politiche di liberalizzazione e privatizzazione dei beni comuni: dal territorio, al patrimonio mobiliare e immobiliare fino alle aziende municipali.

È vero, non siete stati i primi a smantellare la proprietà pubblica, ma con quello che sta succedendo speriamo che siate gli ultimi. Non perché vi sarete convinti della bontà delle analisi e soluzioni proposte da Attac – non ci facciamo illusioni - ma se non altro perché quello che anche Fukuyama chiama Washington Consensus , produce crisi e rovine in tutto il mondo.

Proporsi di “andare avanti” su questa strada, come titola il Suo recente documento programmatico, avallato purtroppo dalla Sua maggioranza, ci appare come un’ottusa ostinazione che lo stesso campo neoliberista comincia a mettere in discussione e che nemmeno il “profondo rosso” del bilancio comunale basta a giustificare.

La ricordiamo allegro e festante sventolare la bandiera olimpica e già allora ci chiedevamo se fosse consapevole di quale onere avrebbero comportato i Giochi invernali per le finanze della nostra città. Ora Lei ne fa pagare il salatissimo conto ai torinesi vendendo quel che resta dei beni che essi avevano costruito nel passato.

Crede ancora che, come diceva la Tatcher, “non c’è alternativa” a questo dissennato smantellamento dei beni comuni?

Noi crediamo invece che l’alternativa esista, sia realizzabile e consista nel recupero della politica e dell’interesse pubblico rispetto ai potentati del mercato e alle sue presunte “leggi”

E comunque si aggiorni, signor Sindaco: il Washington Consensus “nazionalizza” le banche… e lei che fa? privatizza le aziende comunali?

Attac Torino

Torino. 9 ottobre 2008


venerdì 10 ottobre 2008

E il vecchio Marx sogghigna: «Capitalisti, vi avevo avvertito...»

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Salvatore Cannavò
(da Liberazione)
Per quanto si affannino nel mettere al riparo il sistema, ricorrendo ai vari brunovespa, a commentatori compiacenti, a giornalisti economici inconsistenti, il faccione barbuto del buon vecchio Marx scruta la crisi dall'alto, compiaciuto. Guarda la folla di Wall Street, la faccia pallida di Profumo, quella inebetita di Bush o quella di cera di Berlusconi con un sorriso sornione come di chi ripete instancabilmente: «Vedete che avevo ragione?» e magari scalpita per poter tornare ad aggiornare dati e contesto di quell'opera - Il Capitale - che lo consacra come l'interprete fondamentale del capitalismo. Marx aveva ragione, gli analisti seri lo sanno: certo non poteva prevedere il ruolo inedito di Cina e India, né che un capitalismo malato si sarebbe inventato i titoli "salsiccia" - quelli dove dentro ci sta di tutto ma nessuno sa con precisione cosa contengano. Ma se potesse guardare le convulsioni dei "talebani del libero mercato" e sentire la voce imbarazzata di chi si prodiga a rappresentare gli interessi dei titoli spazzatura - tra loro giornalisti e ministri di ogni paese - oggi Marx direbbe semplicemente che lo sviluppo del capitale commerciale o finanziario è inversamente proporzionale al saggio di profitto garantito da investimenti produttivi. Insomma, che la crisi è figlia della caduta tendenziale del saggio di profitto.
E' in effetti ciò che è accaduto nel ciclo di crescita lenta degli ultimi trenta anni, quella fase di stagnazione dell'economia mondiale che, dopo lo shock petrolifero del '73-'74, non ha più conosciuto - tranne che per la Cina, l'India o il Brasile - i tassi di crescita dell'età dell'oro seguita alla Seconda Guerra Mondiale. Una stagnazione caratterizzata da una tendenziale saturazione dei mercati di sbocco e da una conseguente tendenza ribassista dei saggi di profitto. Da qui lo sbocco nell'economia di carta, in quella finanza che Marx chiamava capitale fittizio e che, guarda caso, periodicamente, secondo un ritmo implacabile, viene letteralmente distrutta dal crollo puntuale delle borse. E' accaduto nel '97 con la crisi asiatica, era accaduto nel '94 con quella messicana, e poi nel 2001 con l'esplosione della new economy, fino ad arrivare ai vertici giganteschi dell'attuale crisi, la più pesante, quella che forse ridisegnerà equilibri e rapporti di forza a livello mondiale.
Ancora Marx, molto compitamente (citiamo Il Capitale, stavolta), avrebbe segnalato che «il vero limite della produzione capitalista è il capitale stesso; è il fatto che in essa sono il capitale e la sua stessa valorizzazione che costituiscono il punto di partenza e quello di arrivo». La produzione per la produzione, «lo sviluppo incondizionato delle forze sociali produttive» è un mezzo che «si scontra costantemente con il fine perseguito che è un fine limitato: la valorizzazione del capitale esistente». Una contraddizione esaltata dalla natura del capitalismo, dalla sua anarchica competizione selvaggia che non assume un punto di insieme, rifugge dalla regolazione salvo poi cercarla puntualmente quando i tassi di profitto sprofondano, il crollo allaga la stiva del sistema e la paura rende il gotha del capitalismo mondiale simile a tanti topolini ciechi che sbattono la testa al muro alla ricerca di "mamma Stato". Uno spettacolo disgustoso.
Quello che accade in questi giorni, e il peggio che dovrà ancora accadere - non ci si illuda delle rassicurazioni, la crisi è pesante e si riverberà sulle condizioni reali, produzione, salari, consumi, financo sui fondi pensioni ancora oggi raccomandati dai ministri-vampiri del governo Berlusconi - somiglia a uno spettacolare processo al capitalismo senza che purtroppo ci sia un Pubblico Ministero all'altezza del compito (Di Pietro, in questo caso, davvero non è adatto...). Un atto di accusa contro quell'ondata liberista, avviata nei primi anni 80 e capitanata da Reagan e Thatcher - e che via via ha attratto l'intero spettro della politica, a cominciare dalla socialdemocrazia divenuta liberale - quando la necessità di tenere alto quel saggio di profitto decadente ha imposto di tagliare i salari, ridurre lo stato sociale, aumentare la produttività del lavoro, realizzare il più grande trasferimento di ricchezza tra le classi avutosi dalla nascita del capitalismo a oggi. Così facendo si è ridotta la domanda globale, si è realizzata una sovrapproduzione che ha dirottato capitali nel sistema finanziario. Basta con la frottola della "finanza cattiva" che si mangia il capitalismo buono e produttivo come vanno ripetendo gli arroganti esponenti di Confindustria (e del governo o dell'opposizione) nei vari salotti televisivi. Nel 2006 i profitti delle principali aziende quotate a Wall Street derivavano per oltre il 33% da attività finanziari e lo stesso è accaduto in Italia. Senza contare l'intreccio perverso e pervasivo tra banche e industrie e tra tutti i principali attori di questo balletto globale che si chiama capitalismo.
Quanto accade è però anche un atto di accusa contro l'illusione della "gestione temperata" del capitalismo, a opera di uno Stato severo e compiacente allo stesso tempo. Gli osservatori attenti e onesti, infatti, sanno bene che la responsabilità di Bush nel provocare il disastro è certa ma sanno anche che la bolla speculativa, con il suo corredo di deregolamentazione, è stata incubata dall'amministrazione Clinton, in piena Terza via.
Il capitalismo si serve dello Stato come un servo sciocco: ne occupa i posti chiave per dirottare le risorse - che dire del presidente della Goldman Sachs, Paulson, che diventra Segretario al Tesoro Usa, fa fallire la Lehman Brothers e invece salva...la Goldman Sachs? - e poi lo spreme per salvarsi dalla catastrofe. In questi giorni tutti i governi stanno salvando le banche e i banchieri (vedi il "comitato di affari della borghesia" di quel Manifesto che fa ascolti record su ITunes) ma nessuno muove un dito per quei poveracci che hanno perduto la casa e sono accampati in una Tendopoli tra la California e il Messico; nessuno interviene là dove si deve intervenire, a sostegno dei salari dei lavoratori anche per dare ossigeno alla domanda globale; nessuno mette sotto processo una torma di speculatori, pescecani e parassiti che hanno contribuito attivamente al disastro attuale. Al danno, si aggiungerà la beffa di uno Stato nazionale che salvando otto banche in Gran Bretagna, quattro o cinque negli Usa, tutto il sistema in Irlanda e in Germania, favorirà al termine della crisi una superconcentrazione bancaria mai vista (saranno probabilmente solo tre le grandi banche che si spartiranno il potere negli Usa).
Delle tante definizioni che si possono utilizzare e che sono state utilizzate per descrivere il capitalismo, quella che mi è rimasta sempre in mente è quella che utilizza un celebre dipinto di Bruegel: "Pesce grande mangia pesce piccolo". Oggi sembra che tutti i pesci stiano boccheggiando ma l'esito della crisi sarà quello. Marx ce l'aveva chiaro e lo ha scritto. E' ora di tornare a leggerlo con attenzione. Senza scimmiottare D'Alema che forse non lo ha mai capito, ma senza fare sconti a quel sistema di cui lui auspicava la fine.

Vicenza dice no alla base: «Ora il governo ci ascolti»

Orsola Casagrande
VICENZA

Alla fine, è quasi mezzanotte, il sindaco di Vicenza, Achille Variati, prende in mano il microfono. «Quello a cui abbiamo assistito - dice - è uno straordinario esempio di democrazia. Ora il governo ci ascolti. Perché è un messaggio che non parla solo alla città ma anche all'intero paese e che fa capire quanto sia sbagliato non permettere alla gente di espimersi su ciò che li riguarda. I miei cittadini - conclude - sono stati costretti a esprimersi votando sui marciapiedi invece che nelle scuole che sono state negate».
Domenica a Vicenza hanno votato nella consultazione autogestita ventiquattromila persone, il 28,56% degli aventi diritto. Una prova straordinaria di democrazia, come la definisce anche Cinzia Bottene, consigliera comunale di Vicenza Libera. Una risposta straordinaria a chi, nel governo, pensava di poter imbavagliare i cittadini. Il 95% dei votanti si è espresso contro l'uso militare dell'area del Dal Molin che gli americani con il placet del governo italiano vorrebbero trasformare in base militare. Miopi e volutamente tali, i signori della guerra hanno subito voluto commentare i risultati della consultazione popolare. E hanno sottolineato con scherno quella che per loro è stata una bassa partecipazione.
«Variati dovrebbe dimettersi», dicevano quelli del comitato per il sì alla base. E il governatore del Veneto, Giancarlo Galan, non ha perso l'occasione per tornare a criticare e sbeffeggiare Variati e la «sua giunta del no». Commenti che rivelano lo sprezzo di questi governanti o sedicenti tali per la gente. Per i cittadini, per la democrazia, per il diritto a esprimersi nessun rispetto.
Ma in questo senso ancora più esemplari (e vergognose) le parole del commissario straordinario per il Dal Molin Paolo Costa. «I risultati sono - scrive il commissario in un comunicato stampa - coerenti con le mie attese. Ma fa piacere vedere certificato, sebbene in maniera impropria, che il 72% dei vicentini non si oppone al rispetto degli impegni assunti dall'Italia in sede internazionale con la decisione di ampliare la base Usa a Vicenza. Adesso, - continua - e in nome della democrazia garantita e garante dello stato di diritto, mi attendo che l'istituzione comune riprenda un cammino di leale collaborazione con le altre istituzioni dello stato».
Cinzia Bottene risponde al commissario sottolineando che «sorprende che chi ha definito inutile una consultazione comunale in spregio della democrazia oggi si appropri di quel 72% che non ha votato sostenendo che è a favore della base Usa. Ancora una volta Costa truffa la gente». Il sindaco Achille Variati si limita a commentare che «chi vuole criticare questa giornata di democrazia organizzi un'altra consultazione e porti altrettanti vicentini a votare».
Rimane invece il dato di quei ventiquattromila cittadini che a votare ci sono andati. Fin dalle prime ore della mattina, con code in alcuni dei seggi improvvisati sui marciapiedi. I gazebo allestiti in due e due quattro, con centinaia di volontari che si sono improvvisati scrutatori e osservatori per garantire il regolare svolgimento delle operazioni di voto. E poi alla sera, al media center allestito in piazza Castello, centinaia di vicentini hanno deciso di buttare un occhio per vedere come andava lo spoglio. «E' stata davvero una prova straordinaria di democrazia - dice ancora Bottene - in un momento in cui gli spazi di democrazia vengono sempre più ristretti». La partecipazione è stata «incredibile specialmente se pensiamo che è stato tutto organizzato in tre giorni. I cittadini - conclude - hanno dimostrato grande civiltà e voglia di partecipare. A Vicenza si sta sperimentando con in fatti quello che tanti esprimono solo a parole: federalismo, autonomia locale e democrazia partecipata».
Il dopo consultazione è tutto da costruire. Ma per il sindaco Variati «né il governo né gli americani potranno ignorare il parere dei cittadini vicentini. Cosa succederà ora? - insiste - possiamo riprendere il dialogo oppure possiamo essere ignorati. Ma se fossimo ignorati non vorrei che le prossime risposte arrivassero anziché dal sindaco, dal prefetto e dal questore di fronte a disordini».

Dal Manifesto del 7 ottobre 2008

Sfilano in 30 mila, bambini in corteo

Sfilano in 30 mila, bambini in corteo

Una grande manifestazione con centinaia di bambini, e con loro le mamme e i papà, e poi gli insegnanti. In tantissimi si sono ritrovati in piazza ieri a Torino per protestare contro la riforma Gelmini. Ci hanno pensato loro ieri a tenere alta la mobilitazione di insegnanti e genitori in vista delle prossime iniziative e dello sciopero generale. Un corteo molto colorato di almeno 30 mila persone, con sindacati ed esponenti dei partiti della sinistra e dei comitati di quartiere, ma nel quale a fare la parte del leone sono proprio loro, i bambini, con i loro genitori e maestri. Alcuni bambini portavano cartelli al collo con scritto «I miei maestri sono già unici», mentre altri si sono scritti sulla maglietta «Gelmini perchè ce l'hai con noi bambini». E ancora, insegnanti con il cartello «Vendesi maestra bionda ben tenuta» e genitori che hanno sfilato con striscioni con scritto «A loro i grembiuli a voi la camicia di forza» e «La scuola la fanno i maestri non i ministri». In corteo anche i precari della ricerca, gli studenti delle scuole superiori e degli atenei «in un percorso unico di lotta in difesa della scuola e dell'università».

SINISTRA CRITICA ADERISCE A SCIOPERO 17 OTTOBRE

(Adnkronos) - «Saremo in piazza il 17 ottobre nel primo e unico reale momento di mobilitazione contro la politica del governo e di Confindustria». Lo dichiarano Flavia D'Angeli e Franco Turigliatto, esponenti di Sinistra Critica, nell'annunciare l'adesione allo sciopero generale indetto da Rdb-Cub, Cobas e Sdl. «Si tratta dell'unico momento utile -affermano- perchè interviene quando ancora il pacchetto scuola è in discussione in Parlamento e perchè rappresenta una giornata di lotta contro tutta la politica economica del governo e contro la sciagurata concertazione gestita da Confindustria e dai confederali». «Non hanno invece queste caratteristiche nè lo sciopero del 30 ottobre di Cgil, Cisl e Uil, che arriva tardi, nè la manifestazione dell'11 ottobre promossa da Di Pietro e Sinistra che ha come scopo quello di risollevare le sorti dei partiti promotori piuttosto che organizzare una vertenza generale contro il governo e contro il tentativo di far pagare la crisi a lavoratori e lavoratrici. Il 17 saremo in piazza per contribuire a costruire questa vertenza, che deve prevedere una generalizzazione dello sciopero e un allargamento dei conflitti - a partire dagli studenti - e ci saremo con la nostra proposta di legge popolare per il Salario minimo a 1300 euro al mese», concludono D'Angeli e Turigliatto.

martedì 7 ottobre 2008

Crisi delle borse o crisi del capitalismo?

di Danilo Corradi (29-09-2008)
coordinamento nazionale sinistra critica

Dodici banche americane fallite, la più grande nazionalizzazione a stelle e strisce dal ’29, fusioni “difensive” che cambiano il panorama mondiale della finanza, ultimi trimestri negativi per Usa e Ue e recessione tecnica per l’Inghilterra. A poco più di un anno dall’esplosione della “bolla speculativa” sui mutui subprime l’economia mondiale sembra tutt’altro che fuori dalla crisi.
In questa sede possiamo semplicemente elencare alcuni nodi analitici e alcune conseguenze socio-politiche che l’attuale crisi capitalistica ci obbligherà ad affrontare:
1) la teoria che più viene proposta dai guru dell’economia mondiale considera la crisi come conseguenza dei pochi controlli sui sofisticati strumenti finanziari (i derivati) che sono andati moltiplicandosi negli ultimi 15 anni fino a raggiungere un controvalore negli scambi trimestrali di oltre 600trilioni di dollari (oltre 12 volte il PIL mondiale). Pochi controlli e diverse mele marce che hanno “speculato” oltre i limiti della ragione economica. Una teoria che farebbe sorridere se non fosse la più accreditata. Qualcuno forse dimentica che tutto il sistema ha partecipato alla grandissima ascesa della finanza. Hanno partecipato le banche centrali fornendo denaro a costo zero per oltre un decennio, hanno partecipato tutte le grandi aziende che hanno investito in media oltre il 50% delle risorse in strumenti finanziari (nel ’79 il rapporto era 2% investimenti finanziari 79% produttivi ), hanno partecipato i governi sino agli enti locali che hanno acquistato direttamente derivati o promosso truffe come i fondi pensione integrativi.
2) Ma cosa sono i derivati? Sono strumenti finanziari complessi il cui profitto deriva dall’andamento di un titolo (azioni), del prezzo di una merce (petrolio, grano, ecc), da obbligazioni, o da un mix di più prodotti mescolati in proporzioni diverse. Con lo spazio a disposizione possiamo solo dire che la carrateristica che accomuna questi strumenti è il loro “effetto leva”, ovvero il guadagno (o la perdita) è di 20 volte superiore a quella dell’investimento diretto sul titolo. In fase di crescita del mercato azionario, del prezzo del petrolio, del prezzo delle case o del grano moltiplicano i guadagni nominali alimentando contemporaneamente la salita dei titoli sottostanti, e viceversa. È questo il motivo di breve termine per cui al crollo del mutui subprime (mercato dal volere di 1.200 miliardi di dollari) sono seguite perdite nei portafogli di banche, aziende e fondi di venti volte superiori. Un dinamica a spirale, che ha successivamente coinvolto gli utili previsti delle banche e delle aziende coinvolte e di conseguenza i derivati gestiti o collegati a queste aziende e così via. La speculazione ha raggiunto livelli colossali, ai derivati si sono aggiunti i derivati dei derivati, sino ad arrivare ai prodotti complessi e misti (cto, cts ecc) dove, per stessa ammissione degli operatori, si “faceva fatica” a comprendere il reale contenuto finanziario ed economico delle cedole in questione.
3) Mele marce o marcio il sistema? Non abbiamo dubbi nel scegliere la seconda ipotesi. La domanda corretta che a nessuno sembra interessare è: cosa c’e’ alla base dell’incredibile sviluppo senza precedenti dell’attività finanziaria? Marx avrebbe detto che lo sviluppo del capitale commerciale o finanziario è inversamente proporzionale al saggio di profitto garantito da investimenti produttivi. E' ciò che è successo nel lungo ciclo di crescita lenta dell’economia mondiale iniziato nel ‘73-‘74 e caratterizzato da una tendenziale saturazione dei mercati di sbocco e da una conseguente tendenza ribassista dei saggi di profitto. È in questo contesto che la borghesia interviene accelerando 3 caratteristiche classiche della produzione capitalistica portandole a limiti quantitativi senza precedenti:
a) Aumentare il saggio di sfruttamento e quindi la massa del plusvalore. Aumento dell’orario di lavoro, non recupero dell’inflazione e della produttività dei salari, tagli allo stato sociale, precarietà ecc… risultato: in 35 anni oltre il 20% della ricchezza mondiale è stata trasferita dal monte salari ai profitti contemporaneamente a un aumento relativo e assoluto della classe dei salariati. Il più grande trasferimento di ricchezza da una classe all’altra dalla nascita del capitalismo a oggi.
b) Aumento della ricerca aggressiva di nuovi mercati di sbocco e accentuazione dello scambio diseguale tra paesi a diversa composizione organica del capitale. È quello che abbiamo chiamato globalizzazione liberista, crisi del debito, guerre per le materie prime, delocalizzazione produttiva, conversione dei paesi a “socialismo reale” al libero mercato ecc….
c) Queste mosse hanno certo aumentato la massa di plusvalore estratta dal capitale, ma non hanno risolto i due problemi di fondo: la tendenza alla sovraproduzione e la riduzione (media) della profittabilità degli investimenti produttivi. I bassi aumenti della produzione negli ultimi treant’anni e anche della produttività (al contrario di quello che comunemente si pensa sulla rivoluzione informatica) sono li a testimoniare tutta la difficoltà non risolta.
d) La finanza è così diventata, progressivamente prima esponenzialmente poi, un terreno dove ricercare sempre più scambi diseguali e profitti a breve termine riducendo rischi (comprare e vendere obbligazioni o case è meno "rischioso" di aprire una nuova azienda di automobili). L’arrivo di sempre maggiori capitali ha alimentato una continua crescita del mercato finanziario, del denaro e dei profitti fittizi, e di nuovi capitali attratti dal “banchetto”… in una spirale apparentemente senza fine, almeno sino a quando tutti sono convinti che non ci sono limiti alla provvidenza. Ovvero, bastava credere che il prezzo delle case sarebbe aumentato del 10% l’anno per sempre (nel 2006 negli USA una casa costava 3 volete il suo valore ), le azioni e i derivati idem così come il costo del petrolio e delle materie prime… ma così non è. A un certo punto il capitale fittizio (moltiplicato anche sotto la forma del debito al consumo) torna a scontrarsi con una economia reale che sempre più fatica a realizzare il valore delle merci. L’attuale crisi finanziaria non è la causa della crisi dell’economia reale ma l’esatto inverso. Un’immensa bolla speculativa nata da un eccesso di capitale che ha prolungato e moltiplicato la crisi di sovraproduzione. Un fenomeno già visto in passato, ma dalle proporzioni quantitative imparagonabili. Nel 2006 i profitti delle principali aziende quotate nella borsa a stelle e strisce derivavano per oltre il 33% da attività finanziarie, per non parlare dello stato patrimoniale delle stesse di cui ora ci stiamo accorgendo.
In poco più di un anno sono state spazzate vie teorie incapaci di leggere la realtà e tornano di attualità intuizioni marxiane come la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto considerate arcaiche da chi ha creduto alla fine della storia così come all’idea che i soldi crescano sugli alberi.
4) Dai 300mld ai 500mld di dollari per nazionalizzare i colossi dei mutui Freddie e Funny, 85mld per salvare il colosso assicurativo AIG, fino ai 700mld proposti da Bush per rastrellare i derivati spazzatura dai portafogli contaminati e “salvare” il sistema. Circa il 7% del prodotto interno lordo americano (stima del sole 24ore del 21/09) regalato alla finanza per tappare i buchi (alla faccia della fine dello stato nazione) . I garanti del libero mercato mondiale stanno costruendo il più grande intervento statale in economia mai registrato dal capitalismo. La legge del mercato vale fino a quando garantisce la concorrenza al ribasso dei salari e dei servizi sociali. Il tabù del debito pubblico utilizzato per tagliare scuola, sanità e pensioni si scioglie come neve al sole di fronte all’obiettivo di socializzare le perdite del grande capitale. Ad oggi non solo un dollaro è stato stanziato per le centinaia di migliaia di posti di lavoro persi nei fallimenti e nei ridimensionamenti delle aziende e delle banche o per salvare chi ha perso la prima casa non riuscendo a pagare i mutui.
Interventi che serviranno a poco.
Sono 7000 i mld di dollari di perdite prodotti da i soli Lehman, Aig, Funnie e Freddie pari a metà del prodotto interno lordo americano… difficile credere che la spirale si blocchi con classiche ricette monetariste o con ulteriori interventi pagati dai lavoratori e che hanno l’effetto di deprimere ulteriormente consumi, domanda e produzione premiando contemporaneamente manager e capitalisti. Il problema di Bush, infatti, è quello di salvare una classe più che il sistema, perché la crisi ad oggi nessuno sembra in grado di fermarla. I crescono i conflitti interni alla borghesia americana e mondiale sulle misure da adottare. Un conflitto non tanto sull’efficacia di una risoluzione complessiva, ma sull’assetto interno e internazionale che emergerà dal sicuro approfondimento della fase attuale. Per semplificare: una crisi di sovrapproduzione di questa portata si risolve solo con un’ampia distruzione del capitale in eccesso, il conflitto interborghese si produrrà sul problema di quale capitale distruggere.
5) Verso la catastrofe? La profondità della crisi è ancora difficile da prevedere, ma saremo facili profeti nel dire che il peggio deve ancora arrivare. La forte integrazione dei mercati mondiali, la mancanza di un forte mercato interno della Cina (quasi 50% esportazioni, 25% investimenti produttivi e infrastrutturali) segnalano tutta la difficoltà di cercare almeno alcuni "fattori anticlici" capaci di ammortizzare la spirale recessiva. Il 2009 sarà l’anno di una recessione profonda e di un tale terremoto finanziario che cambierà il panorama mondiale.
- il dollaro reggerà il suo ruolo di moneta mondiale?
- Il debito pubblico americano continuerà a essere finanziato dalla Cina e dalla Arabia saudita o diventerà insostenibile per l’economia mondiale?
- Quante banche falliranno ancora e quanto durerà il “credit crunch” ovvero la chiusura dei rubinetti dei prestiti bancari?
- Quanto sarà profonda la recessione e che prezzi in termini di licenziamenti e compressione salariale verranno fatti pagare alla classe lavoratrice?
- In che misura il protezionismo potrà diventare una carta economica per i governi occidentali per “contenere” la recessione, e quali conseguenze in termini di nazionalismo e conflitti militari potrebbero prodursi?

Domande inquietanti e ad oggi di difficile risoluzione. Quello che è certo è che siamo difronte a una duplice conseguenza politica. Da una parte il capitalismo dimostra la sua debolezza e le sue contraddizioni devastanti alimentando la necessità e l’urgenza di una prospettiva anticapitalista, dall’altra parte la crisi verrà scaricata sui lavoratori e sulle lavoratrici, alimentando la guerra tra poveri e le difficoltà nei rapporti di forza tra le classi. È dentro questo quadro che dobbiamo sviluppare un azione politica e una sinistra di classe all’altezza delle contraddizioni del nostro tempo.

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giovedì 2 ottobre 2008

VICENZA, BERLUSCONI HA PAURA DEL VOTO E BLOCCA IL REFERENDUM

Dichiarazione di Flavia D'Angeli

Il Consiglio di Stato ha oggi deciso la sospensione "in via cautelare" del referendum cittadino sulla costruzione della base militare statunitense di Vicenza nell'aeroporto Dal Molin, che si doveva tenere domenica prossima.
"Una decisione molto grave" dichiara Flavia D'angeli di Sinistra Critica "figlia delle pressioni del governo, che sottrae alla libera e democratica scelta della popolazione di Vicenza una parola in merito ad un fatto che la riguarda direttamente."
"Nei giorni scorsi il governo Berlusconi e il commissario Costa si erano premurati di dichiarare "inutile" il referendum, e proprio ieri è avvenuta la formale consegna alle autorità statunitensi del terreno sul quale sorgerà la base di guerra. Ma la paura di far esprimere le/i cittadine/i di Vicenza – che avrebbero potuto mostrare la forza delle ragioni di un "no" che da due anni stanno facendo vivere in città e in tutto il paese - era comunque troppo forte e per questo è stato bloccato il referendum."

"Sinistra Critica - che già in Parlamento col voto di Turigliatto e nelle piazze si era opposta alla decisione del governo Prodi - sostiene la lotta del Presidio No Dal Molin e delle cittadine/i di Vicenza, che già questa sera manifesteranno la loro protesta contro la base e la loro volontà di non farsi sottrarre uno strumento di democrazia diretta." conclude Flavia D'angeli

Si è chiuso il seminario di Bellaria, Sinistra Critica rilancia la sfida

Circa 300 partecipanti, 13mila euro di sottoscrizione raccolta, un piano di lavoro per l'autunno, l'impegno per il 17 ottobre e l'avvio della prima conferenza nazionale.

Ancora un bel seminario quello che si è chiuso domenica a Bellaria, il terzo organizzato da Sinistra Critica. Circa 300 i partecipanti per la tre giorni di lavoro. Trecento militanti che hanno pagato di tasca propria il soggiorno e il viaggio (non esiste nulla di analogo nella sinistra italiana) e che hanno discusso in 18 workshop e in tre assemblee plenarie. E' stato un bel seminario soprattutto perché ha permesso di ritrovarsi dopo un anno più che intenso: l'anno in cui Sinistra Critica è nata, ha fatto la campagna elettorale, ha definito la propria collocazione e ha impostato il lavoro per il futuro. Non a caso le commissioni che si sono tenute hanno messo a punto progetti operativi finalizzati a costruire un radicamento sociale e un inserimento continuato e permanente in alcuni ambiti da noi ritenuti centrali: quello sindacale innanzitutto che ha animato un'importante commissione che ha approvato un testo - lo pubblicheremo a breve - che costituisce un punto avanzato del nostro orientamento. E poi il settore studentesco, quello ecologista, il lavoro con i migranti, l'internazionalismo, quello studentesco fino alla messa a punto di un progetto nell'ambito del movimento lgbt oltre che il coordinamento femminista che costituisce un'aspirazione connaturata alla stessa nascita di Sinistra Critica. Sintomatica, a questo proposito, l'assemblea conclusiva che ha visto come protagoniste tre donne, dirigenti politiche e femminista: Chiara Siani, del coordinamento nazionale di Sincri, Anne Leclerc, dell'ufficio politico della Lcr e Flavia D'Angeli, portavoce di Sincri. La discussione in workshop ha permesso di mettere a punto altre questioni come la gestione dell'informazione e della comunicazione - a breve produrremo cambiamenti importanti - la creazione di CriticLab o di approfondire temi della fase attuale come la crisi finanziaria, la natura delle destre in relazione alle donne, il mercato del lavoro e altro ancora
Il seminario ha rappresentato l'occasione per mettere a punto il percorso della Prima Conferenza nazionale di Sinistra Critica che si terrà in primavera e che sarà avviata in autunno.
Un seminario importante, dunque, che ha visto una presenza molto militante, una motivazione per nulla scontata, una determinazione a costruire il progetto di Sinistra Critica come tassello indispensabile a far nascere in Italia una nuova sinistra anticapitalista. A rappresentare questa determinazione, la decisione di convergere a Roma il 17 ottobre per lo sciopero generale indetto da Sdl-Cobas e Rdb-Cub - l'unica vera mobilitazione nazionale contro le destre - ma anche la spinta a costruire liste di Sinistra Critica per le prossime amministrative oltre al primo risultato ottenuto per la sottoscrizione nazionale: oltre 13mila euro nei tre giorni del Seminario. Un ottimo inizio per sperare di raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati per la fine dell'anno.