domenica 19 ottobre 2008

Sorpresa sociale, sciopero generale

Sorpresa sociale, sciopero generale
Inatteso, grandissimo, nonostante la pioggia. A Roma oltre 300.000 persone in corteo. I sindacati di base (Cub, Cobas, Sdl) raccolgono un successo importante; ora sono un soggetto con cui la politica - e la sinistra - deve fare i conti. Stracciato il luogo comune del conflitto generazionale
Francesco Piccioni
ROMA

La crisi sta rompendo molti argini, e non solo nelle borse. Lo vedi già uscendo dalla metro, piazza della Repubblica, mezz'ora prima dell'appuntamento per il corteo. La prima impressione è subito potente: lo slargo è già pieno. Per chi sa quanto siano «pigre» le partenze dei cortei romani questo è un segnale. Era successo lo stesso una settimana fa, per la manifestazione dell'11.
E' una folla di ogni età, dai bambini tenuti per mano da mamme o maestre fino ai canuti protagonisti di stagioni lontane. In mezzo i trentenni divorati dalla precarietà, i quarantenni che scrutano l'orizzonte per capire se e quanto reggeranno le aziende in cui lavorano (anche statali, visto l'aria che tira da 15 anni e i pruriti di Brunetta), i cinquantenni che vedono la pensione allontanarsi e immiserirsi. Ma che almeno conservano memoria di altri conflitti, hanno esperienza da trasmettere.
Si parte subito, di modo che dietro possano respirare. I coordinatori delle tre organizzazioni promotrici dello sciopero si godono il primo annuncio di grande successo, portando tutti insieme il piccolo drappo («patto di consultazione permanente») che dà conto del robusto passo avanti unitario che questa giornata rappresenta. Paolo Leonardi (Cub), Fabrizio Tomaselli (Sdl) e Piero Bernocchi (Cobas) sono presto assediati da cronisti e telecamere. Dietro di loro il grande striscione riassuntivo dei temi dello sciopero: «Basta con la distruzione di lavoro, salari, diritto, scuola, servizi pubblici». E' un discorso frutto di una dinamica sociale che ancora non ha incorporato - né poteva farlo prima - la dimensione e le conseguenze sociali della crisi. Ma di questo si comincerà a parlare da domani.
Si va, e un cielo carogna comincia a mandar pioggia. Prima a dirotto, poi intermittente, ma senza mai smettere fin quando l'ultimo cordone di corteo non sarà arrivato a San Giovanni. C'è un attimo di incertezza. Molti - tra lavoratori, studenti e maestre d'asilo - sono in piazza per la prima volta. Poi vedi che le maestrine sono veramente previdenti: in un attimo tirano fuori centinaia di mantelline, coprono al volo i bambi e via a sguazzare sotto l'acqua contro «la strega Gelmina». Viene sommersa dagli applausi una signora che porta un cartello davvero puntuale («Ci pisciano addosso, ma il governo dice che piove»). I più «maturi» e atei inveiscono alla loro maniera, massaggiandosi le giunture doloranti. Ma si va. Ai ragazzi dei licei non sembra fare effetto; saltellano cantando «Bella ciao», come ci fosse il sole. Ai vigili del fuoco, ovviamente, il clima non fa né caldo né freddo.
Da dietro entrano quelli del «Blocco precario metropolitano» che avevano occupato i binari della stazione Termini, offrendo la colazione ai passeggeri preoccupati di perdere il treno (molti, peraltro, erano stati cancellati per lo sciopero). Un ragazzo smentisce chi dice che certe parole non hanno più senso, sbandierando il suo cartello «il nero è di classe». E non parla di moda. Sarà perché i sindacati di base sono apertamente di sinistra, sarà perché è un bel colore, anche questo fiume di gente scorre sotto un manto di bandiere rosse. Fregandosene dei consigli pelosi di chi consiglia di farne a meno. Il segretario di Rifondazione, Paolo Ferrero, viene accolto nella prima fila e si fa tutta la strada come gli altri. Altri volti noti dei partiti ora extraparlamentari appaiono già al momento della partenza (Rizzo del Pdci; Musacchio, Sentinelli, Boghetta del Prc; Marco Ferrando, Gigi Malabarba e molti altri di Sinistra critica). Inutile cercare l'ombra del Pd.
Ma la piazza è di chi lavora, oggi. In una macchia gialla si presentano invece i dipendenti di Ikea. Si spiegano con la stessa sintetica rapidità con cui sono costretti a lavorare: «Subiamo ricatti continui, a decine sono assunti tramite agenzie interinali con contratti a due giorni; poi abbiamo stagisti dalla Regione, formazione zero e otto ore di lavoro; una marea di contratti a tempo rinnovati da anni; alle cassiere viene vietato di partecipare alle assemblee sindacali, chi è iscritto a qualche sindacato viene comandato per turni spezzati, in orari assurdi, per massacrarti la vita». Uno ricorda che «il fondatore di Ikea, era uno svedese collaborazionista dei nazisti; l'imprinting deve essere rimasto anche nei successori».
Nella i scuola i Cobas hanno il loro regno, ora molto rivitalizzato. Striscioni e bandiere sono davvero tanti, e si vede anche che in diverse utility (Telecom), servizi, fabbriche, questa presenza si è ormai consolidata. Imponente lo spezzone Cub, con una presenza massiccia del pubblico impiego (dall'Inps all'agenzia delle entrate, passando per praticamente tutti i ministeri e un profluvio di enti locali) e nei trasporti locali. Applausi per le centraliniste precarie di Legnano, diventate famose per una strip conference e invitate ad Anno zero solo la sera prima (ma sono ancora fuori dal lavoro). Anche l'Sdl ha ormai una presenza diversificata, ma il blocco dei dipendenti Alitalia non può certo passare inosservato, con tutti quegli steward e hostess in divisa, impeccabili, di fianco a ragazzotti coi dreadlocks.
E' un fatto sociale e politico enorme. Se così tanta gente si prende così tanta acqua con così tanta allegria, vuol dire che sotto c'è sostanza e ragioni vere. Senza l'acqua sarebbero stati certo più degli oltre 300.000 che tutti gli riconoscono (ma la cifra di 500.000 non sembrerebbe un'esagerazione), ma proprio le avversità meteo ingigantiscono la forza di questa prova. Gli stessi organizzatori non si attendevano un successo simile, anche se erano certi di una partecipazione molto più alta del solito. Molta di questa gente non è iscritta a questi sindacati, magari ha in tasca la tessera della Cgil. Un infermiere lo spiega con molta chiarezza: «non ne possiamo più e non vediamo una lira, era semplicemente ora di muoversi». O anche uno slogan che riscuote subito successo: «se qualcosa volete cambiare, dai vostri stipendi dovete cominciare».
Questo corteo ammazza parecchi luoghi comuni, nessuno innocente. Il principale è quello del «conflitto generazionale», dei giovani a basso salario e precari perché i vecchi sarebbero «troppo garantiti». Quei tanti volti di ultraquarantenni certificano che la precarietà è una condizione universale pervasiva; e che la riduzione di diritti e salari per chi sta un po' meglio (assunzione a tempo indeterminato e un salario garantito da un contratto nazionale, nulla di più) non comporta affatto un miglioramento per chi chi sta peggio. Anzi, i precari sono ulteriormente danneggiati (basta guardare a quel che vuol fare Brunetta nel pubblico impiego). Il secondo luogo comune spazzato via riguarda l'universo valoriale: cos'è «nuovo» o «vecchio», nel bel mezzo della crisi?
Da oggi c'è un nuovo soggetto sindacale e sociale con cui fare i conti. Lo sanno per primi i sindacati di base, fin qui frammentati e prigionieri di una condizione di minorità che ha sedimentato dei decenni anche un'attitudine minoritaria. C'è un salto di paradigma da fare, ma alcune premesse - il radicamento sociale - cominciano ad esserci.

Dal Manifesto del 18 ottobre 2008

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