martedì 9 dicembre 2008

Le tre priorità per la sinistra

di Flavia D'Angeli
(articolo pubblicato su Liberazione in risposta a Paolo Ferrero)

Il segretario di Rifondazione comunista ha inviato nei giorni scorsi ai vari partiti e movimenti politici della sinistra, tra cui Sinistra Critica, una lettera aperta che invita a creare un coordinamento delle opposizioni. L’iniziativa, di per sé utile in quanto permette di discutere, si inscrive nel tentativo dei gruppi dirigenti della sinistra, terremotata dalla sconfitta di aprile, di combinare una possibile via d’uscita alla crisi con la ripresa di conflittualità sociale mostrata in particolare con l’irruzione del movimento studentesco. Il punto è che occorre cogliere nelle sue reali dimensioni e ricadute concrete la vera novità di queste settimane, che peserà fortemente nei prossimi mesi, l’esplosione della crisi economica e finanziaria. Una crisi economica che i governi non sembrano potere ne volere affrontare con misure efficaci – la social card è evidentemente una miseria – anche perché bisognerebbe agire sulle sue origini. La crisi, infatti, è “crisi di sistema” e sarebbe davvero un errore grave interpretarla come con le lenti del capitalismo “buono” (quello produttivo) innocente che si trova in difficoltà solo per i riflessi della “cattiveria” del capitalismo finanziario e speculativo. Parlare di crisi di sistema significa affermare che la bolla speculativa, che oggi esplode, è quella che ha permesso negli ultimi 15 anni di fare profitti enormi a un capitale che è produttivo e finanziario allo stesso tempo e che ha beneficiato enormemente delle speculazioni finanziarie garantite dall’indebitamento americano. La crisi economica in atto avrà effetti pesantissimi dal punto di vista sociale ed occupazionale, e saperla leggere nella sua portata è fondamentale per capire come orientarsi nel lavoro politico dei prossimi anni.
Dal punto di vista sociale queste settimane hanno mostrato che la storia non è finita nelle urne del 15 aprile, e che in particolare i giovani, ma anche ampi settori del mondo del lavoro, mantengono una disponibilità alla mobilitazione. Con delle differenze. Da un lato, infatti, l’onda studentesca porta in piazza una generazione che ha rotto l’argine della propria fiducia in un sistema che ha tradito tutte le promesse. Gli studenti esprimono la radicalità di una generazione ”no future”, che sa di non aver nulla da perdere perché nulla può aspettarsi dal futuro, e l’esplosione vista in queste settimane prenderà altre forme, conoscerà magari un andamento carsico, ma sarà difficile riportarla ai blocchi di partenza. Dall’altro, il pur forte malcontento che si vive nei posti di lavoro, e che ha portato al successo di tutti gli scioperi finora fatti, ed ha spinto la stessa Cgil a convocare quello del 12 dicembre – con un posizionamento tattico che non è ancora un cambio di linea, visto che prevalgono piattaforme “concertative” - è mosso dalla disperazione di chi non arriva a fine mese e dalla paura della crisi in arrivo ed è anche imbevuto dello sconforto prodotto da decenni di sconfitte e dalla delusione seminata dai due anni di governo Prodi, con la partecipazione della sinistra radicale e il sostegno degli apparati sindacali.
Alla luce di queste osservazioni, crediamo che il problema non si ponga al livello di coordinamenti tra forze politiche, cioè di gruppi dirigenti che hanno strategie diverse, diverse responsabilità della sconfitta che ci sta alle spalle, diversi giudizi e diversi gradi di inserimento nel conflitto di classe. Ovviamente di un’unità c’è bisogno così come c’è bisogno, però, soprattutto alla luce della crisi, di un dibattito a fondo sulle prospettive.
Noi oggi individuiamo tre priorità e tre assi di lavoro.
Il primo deve lavorare per il rafforzamento e la radicalizzazione di tutte le espressioni di protagonismo sociale, favorendone l’autorganizzazione e la capacità di durare nel tempo strutturando tasselli di un “nuovo sindacalismo” inteso come capacità dei soggetti sociali di dotarsi di strumenti duraturi di resistenza e iniziativa, per reggere la durezza della crisi economica che renderà più aspro il profilo di classe agito da padronato e governo. Sviluppare momenti di incontro e di coordinamento effettivo delle diverse lotte, in particolare degli studenti e dei lavoratori, fuggendo dalla sommatoria e dal confronto\scontro dei ceti politici ma favorendo l’apertura di spazi pubblici di confronto e azione comune dei diversi soggetti che “non vogliono pagare la crisi”. E’ questa l’unità che ci serve, dal basso, tra soggetti reali, con piattaforme comuni: non tanto il coordinamento dei gruppi dirigenti delle forze politiche.
In secondo luogo, occorre raccogliere la sfida politico-strategica che apre la crisi economica in atto, assumendo un chiaro profilo e programma anticapitalista. Insomma, si tratta di colpire profitti e rendite accumulate in oltre venti anni (ad esempio con una Patrimoniale, con la tassazione delle rendite, con l’abolizione di sovvenzioni alle imprese) e di risarcire stipendi e salari. La nostra proposta di Salario minimo intercategoriale (Smic) a 1300 euro va in questa direzione. Ma significa anche porsi sul serio il problema delle nazionalizzazioni di banche e imprese in fallimento, senza indennizzo e sotto controllo sociale, come più in generale riproporre il problema di quella che non possiamo che definire “pianificazione democratica” per scegliere davvero cosa produrre, su cosa investire, con quali livelli di salvaguardia ecologica e con quali fini sociali. Di fronte a un capitalismo che mostra nuovamente la sua crisi sistemica non si può che ripartire da un’alternativa che metta al centro la gestione pubblica e sociale dell’economia, con la partecipazione diretta e protagonista di lavoratori e lavoratrici. Di fronte al capitalismo in crisi, serve quindi una sinistra rigorosamente anticapitalista che non può proporsi il governo del “sistema” – a livello nazionale e locale – con forze che invece il sistema tendono a tutelarlo e salvarlo (leggi Pd e suoi alleati).
La sinistra anticapitalista e di classe ha bisogno di discutere di questo. E ha bisogno di far vivere questa fisionomia anche nelle scadenze elettorali che, o sono considerate, ed agite, per avanzare in questa direzione oppure non ci interessano. Le elezioni europee offrono uno spazio politico interessante per far vivere una critica anticapitalista intransigente, proprio nel momento di massima difficoltà della credibilità di questo sistema. Una lista anticapitalista, quindi, avrebbe una sua ragione e un suo spazio di azione, a patto che non sia lo specchio di una vecchia sinistra e dei sui “uomini”, tutti egualmente privi di credibilità perché responsabili delle macerie in cui ci dibattiamo; a patto che abbia un profilo rigorosamente alternativo e che quindi non produca contraddizioni con le scelte politiche concrete: Europa da un lato, Abruzzo dall’altro; a patto che non si vincoli a identità astratte. Noi lavoriamo in questa direzione, se altri vorranno farlo non potremo che esserne contenti.
*Sinistra Critica

Thyssen, un anno dopo, in corteo

In 5.000 per non dimenticare le sette vittime del rogo Ma nessuno del governo e delle associazioni industriali
Mauro Ravarino
TORINO

Un anno fa i sette, uccisi nel rogo. Poi Molfetta, Mineo e una scia che non si è fermata. «Basta morti, basta padroni assassini». Questo l'urlo che si sente quando il corteo arriva al Palagiustizia. Poi, un minuto di silenzio per le vittime della Thyssen e per tutti i morti sul lavoro. In cinquemila hanno partecipato alla manifestazione, partita dai cancelli dell'acciaieria, in ricordo della strage in cui morirono sette operai tra i 26 e i 52 anni. Si aspettavano più persone, anche per la storia di Torino, ma visto che è nata dal basso, attraverso l'autoconvocazione, non si può dire non sia riuscita: «Siamo soddisfatti ha commentato al termine Ciro Argentino dell'associazione Legami d'acciaio - ed è un'iniziativa che cercheremo di ripetere ogni anno, rendendola magari itinerante per raggiungere, per esempio, i luoghi più esposti come Taranto». In testa, la Rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro, poi i famigliari delle vittime («In un anno non è cambiato nulla» dice Nino Santino, papà di Bruno), molti sindacati di base, gli studenti dell'Assemblea No Gelmini, i ragazzi dei centri sociali, il comitato contro l'Eternit di Casale Monferrato e, in fondo, le bandiere sparse di Prc, Pdci, Sinistra critica, Plc e qualcuna della Fiom e dei No Tav. Non solo torinesi, c'è gente da tutta Italia e dalle varie realtà in lotta: da Ravenna a Napoli, da Taranto a Bergamo. E anche da Palermo, come Salvatore Palumbo, licenziato dalla Fincantieri perché scomodo: «Il 30 agosto del 2007 ho denunciato le insopportabili condizioni di insicurezza in cui eravamo costretti a lavorare, il giorno dopo mi hanno mandato a casa». Ora, senza stipendio e con una moglie e tre figli a carico, non si dà per vinto e si batte per il reintegro. Come Dante De Angelis, licenziato dalle Ferrovie dello Stato per aver esercitato il suo ruolo scrupoloso di Rls: «Non sono un eroe - afferma - ho fatto solo il mio dovere». C'è poi chi alla Thyssen ci lavorava: «Ma non ci sono più entrato e adesso sono in cassa integrazione», spiega Luigi Gerardi. Lungo il corteo si incontrano le varie testimonianze del lavoro a rischio: dalla Dalmine all'Ilva (43 morti in 15 anni). Francesca Caliolo, venerdì il suo intervento all'assemblea Fiom è stato il più applaudito, si augura «un Guariniello per proteggere tutti i lavoratori d'Italia». Lei, però, aspetta ancora l'inizio del processo per la morte di suo marito, due anni e mezzo fa a Taranto. A Torino, l'indagine è stata, invece, chiusa in breve tempo. E ora c'è attesa per il processo in Corte d'assise con inizio il 15 gennaio. L'amministratore delegato Harald Espenhanh dovrà rispondere dell'accusa di omicidio volontario. Nel serpentone, davanti si sceglie musica leggera: Negramaro e Pausini. Era quella che piaceva a Rosario Rodinò, 26 anni, una delle vittime Thyssen. A metà, puntano sul classico: Modena city Ramblers. Ecco, infatti, il furgone degli universitari. «Abbiamo portato - racconta Gianluca dell'Askatasuna - un manifesto con la foto di Vito Scafidi (lo studente morto nel crollo del liceo Rivoli), perché non si deve perdere la vita né a scuola né al lavoro». I politici in corteo sono pochi: Marco Ferrando, Marco Rizzo e Vittorio Agnoletto. Proprio quest'ultimo, europarlamentare Prc, ha fatto per 18 anni il medico del lavoro: «So bene che la prima cosa che viene tagliata quando c'è crisi è la sicurezza. E i lavoratori degli appalti sono quelli che rischiano di più. Ecco perché dobbiamo difendere a tutti i costi il Testo unico». Stesso pensiero di Giorgio Cremaschi, qui non come segretario Fiom ma a titolo personale: «Il meccanismo infernale che ha portato alla Thyssen è ancora in piedi e rischia di aggravarsi. Il Testo sulla sicurezza è il lascito di quella strage, modificarlo, come vuole Confindustria, sarebbe un'offesa inaccettabile». La giornata di commemorazione era iniziata in prima mattinata con la messa al cimitero monumentale, dove è stata scoperta una lapide in memoria delle sette vittime. Presenti il sindaco Chiamparino ed esponenti del Pd (Fassino e Damiano), ma nessun membro del governo né delle associazioni industriali. Dopo mostre e dibattiti, l'ultimo appuntamento del ricordo è il concerto di domani al Regio.


Dal Manifesto del 7 dicembre 2008

Tornano i No Tav. In 20 mila

Tornano i No Tav. In 20 mila
Un imponente corteo per dire ancora no all'Alta velocità della Torino-Lione
E Ferrentino denuncia: «Il governo non rispetta l'Osservatorio»
Orsola Casagrande

Più di 20 mila persone. Un corteo imponente per dire ancora una volta No al progetto della Torino-Lione. Una risposta che parla più di tanti discorsi, netta, chiara, con buona pace di chi in questi mesi ha sperato (e fatto illazioni) che il popolo NoTav fosse dopotutto stato addomesticato, si fosse rassegnato al destino del Tav e delle potenti lobby che lo sostengono. Ieri a Susa i valligiani hanno eliminato anche la più piccola illusione di quanti speravano che il movimento No-Tav avesse rinunciato alla sua battaglia. Un corteo denso, intenso, ricco. Come quelli a cui la Val Susa ci ha abituato. Colorato e chiassoso quanto basta: i valsusini sono gente pratica. Perché non rinuncia. Che si è aperto con lo striscione «I bambini di Bruzolo» e si è concluso davanti alla stazione ferroviaria di Susa, dov'era partito due ora prima. Chi sperava che il parziale abdicare dei sindaci avesse in qualche modo influenzato in negativo anche i cittadini si sbagliava. Ieri, come hanno sottolineato in molti, c'erano più di 20 mila persone a Susa, e senza sindaci. Del resto per oltre un mese i valsusini, e non solo loro, hanno animato e partecipato alle iniziative del Grande Cortile, manifestazione che ormai ogni anno precede le giornate attorno all'8 dicembre. Che è diventata un po' la data simbolo della lotta contro la Tav. Quella sola giornata, tre anni fa, in cui migliaia di persone «liberarono» i terreni di Venaus, dove già erano state piazzate le prime macchine e trivelle della Cmc. La stessa società cui sono stati commissionati in seguito i lavori al Dal Molin di Vicenza, dove gli americani vorrebbero costruire la loro nuova base militare. L'8 dicembre di tre anni fa i cittadini si ripresero quei terreni e da allora nessuna macchina è entrata in funzione. Ieri a Susa, a testimoniare la convergenza delle lotte, c'erano tra gli altri anche i vicentini del No-Dal Molin. E del resto una delle esperienze più interessanti e proficue uscite dalla lotta No-Tav è stata quella del patto di mutuo soccorso che unisce in tutta Italia quelle che ormai vengono definite battaglie per i beni comuni. Con il governo Berlusconi che vuole accelerare sia sul Tav che sulla base Usa a Vicenza, quest'inverno si preannuncia caldo anche sul fronte dei beni comuni a partire dalla difesa del proprio territorio. Ieri in Val Susa da registrare anche la presenza di tanti studenti dell'Onda. Sui manifestanti l'eco dell'annuncio fatto dall'Unione europea il giorno prima riguardo lo sblocco dei fondi destinati al progetto dell'alta velocità. «Una notizia molto positiva», l'ha definita la presidente della Regione Piemonte, Mercedes Bresso. Ovviamente non la pensa così il fronte degli oppositori alla Tav. Ieri Antonio Ferrentino, il presidente della comunità montana della bassa val di Susa, ha incontrato al Parlamento europeo il coordinatore europeo del progetto di collegamento TorinoLione Laurens Jan Brinkhorst. E, in conferenza stampa con la copresidente del gruppo dei verdi Monica Frassoni, ha denunciato che l'Osservatorio non è ancora venuto a conoscenza del contenuto del dossier presentato dal governo italiano e da quello francese alla Commissione Ue sulla sezione transfrontaliere. Ferrentino ha scritto al coordinatore europeo per contestare anche l'affermazione dei ministri dei trasporti italiano, Altero Matteoli, e del suo omologo francese, Jean-Luis Borloo, sul fatto che «non ci sono impatti significativi sui costi». Al contrario, ha spiegato Ferrentino, la Corte dei conti italiana ha indicato un aumento dei costi della tratta internazionale da 4,3 milioni di euro a circa 9,4 milioni. «Nell'ultimo incontro Matteoli ci ha ribadito che l'osservatorio rimane l'unico luogo di regia - ha aggiunto il presidente della comunità montana - ma mi domando che valore possa avere questa presa di posizione se il governo presenta un dossier e non passa per l'osservatorio», ha affermato Ferrentino, mentre secondo Frassoni è «totalmente insostenibile» che non sia possibile conoscere il contenuto della proposta prima che la Commissione Ue dia una prima valutazione. Valutazione che, secondo l'eurodeputata, dovrebbe arrivare in settimana.


Dal Manifesto del 7 dicembre 2008