domenica 25 dicembre 2011

LICENZIATI AD ALTA VELOCITA’…


Licenziati ad alta velocità…
tra tutti coloro a cui va il nostri auguri per l’Anno 2012
un augurio speciale vogliamo farlo a Emanuela e a tutte e tutti i lavoratori che a Torino e a Milano sono stati licenziati ad alta velocità……..centinaia di posti di lavoro e insieme un servizio per migliaia di famiglie cancellato.
Il collettivo di Medea ha raccolto la loro voce e vi
segnaliamo testo e intervista.

Dopo aver accompagnato i viaggiatori di tutta Italia, dal nord al sud, la Wagon Lits chiude dopo 135 anni e licenzia più di 800 lavoratori e lavoratrici. 65 di loro lavoravano a Torino e dall’11 dicembre sono senza lavoro.

Spariscono centinaia di posti di lavoro e insieme un servizio popolare ed utile a migliaia di famiglie e persone residenti al nord che fino a ieri potevano raggiungere il sud a costi contenuti. Un servizio cosiddetto “universale”, pagato dallo Stato e quindi dalle tasse di tutte e tutti che dovrebbe essere garantito al di là dei profitti e dei guadagni che procura all’azienda Trenitalia.

Per le tratte di lunga percorrenza resta quasi esclusivamente l’alta velocità, imposta a prezzi salatissimi per chi viaggia con la scomodità di dover effettuare, per arrivare per esempio da Torino o Milano fino in Calabria, ad almeno tre trasbordi e cambi.

Abbiamo intervistato Emanuela in presidio alla stazione di Porta Nuova, lavoratrice licenziata che passerà le feste accampata in tenda con gli altri colleghi e colleghe.

lunedì 19 dicembre 2011

Articolo 18, dieci anni di attacchi


La prima offensiva contro lo Statuto inizia nel 2001 con il "patto di Parma" tra Berlusconi e Confindustria. Ma la Cgil resiste. Dove non è riuscito il Cavaliere riusciranno i Professori?


Salvatore Cannavò
da Il Fatto quotidiano
La bestia nera della destra italiana, e della Confindustria, resta l’articolo 18. La disposizione contenuta nello Statuto dei lavoratori risale al 1970 e la sua incubazione risente del clima del ’68 e del ’69, il vero “autunno caldo” italiano che produsse una corposa legislazione sociale. Curioso che a cercare di scardinare la norma voluta da un socialista riformista come Giacomo Brodolini – ministro del Lavoro nel 1969 ispiratore dello Statuto scritto poi da un altro socialista, Gino Giugni – sia stato sempre un altro sedicente socialista come Maurizio Sacconi, legato a Gianni De Michelis e vicecapogruppo del partito di Craxi a metà degli anni 80. Da ministro del Lavoro nell’ultimo governo Berlusconi, e da sottosegretario allo stesso dicastero nel governo del 2001-2006, Sacconi si è speso a fondo contro quella legge.

L’offensiva contro l’articolo 18 inizia già nel 2001 quando il governo Berlusconi decide di onorare il “patto di Parma” siglato con la Confindustria di Antonio D’Amato, nel marzo del 2001, quando il leader degli industriali chiedeva maggiore “libertà di licenziare”. La protesta sindacale, a eccezione di Cisl e Uil, e immediata e il 23 marzo 2002 la Cgil, guidata dall’allora segretario Sergio Cofferati, promuove in solitaria la più grande manifestazione sindacale della storia italiana con circa 3 milioni di persone al Circo Massimo di Roma.
Quell’articolo, che “ordina al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore” licenziato “senza giusta causa” e che resta una garanzia rispetto a discriminazioni di qualsiasi tipo, viene accusato di irrigidire il mercato del lavoro e di impedire alle imprese di evolvere e crescere. A cercare di smussarlo, limitarlo o imbalsamarlo ci provano anche esponenti del Pd, come il senatore Ichino che vuole sterilizzato in cambio di una maggiore garanzia nelle assunzioni per nuovi lavoratori.

Eppure, quel diritto, riesce a riscuotere un consenso di massa. Nel 2002-2003 Rifondazione comunista si impegna addirittura in un referendum per l’estensione dell’articolo 18 anche alle imprese con meno di 15 dipendenti. L’operazione non riesce, anche per la scelta degli allora Ds, e dello stesso Cofferati, di non partecipare al voto: si recherà alle urne solo il 25 per cento dell’elettorato e il quorum sarà mancato.
L’intera vicenda produce un ripensamento in Confindustria. La linea “dura” di D’Amato viene sconfitta nel 2004 dall’ascesa di Luca Cordero di Montezemolo alla guida degli industriali con il rilancio di una posizione di dialogo con il sindacato e quindi di concertazione. Per lungo tempo di articolo 18 non si parla più.
Ci pensa però Sacconi a riproporre il tema. Il primo tentativo si svolge con il cosiddetto Collegato lavoro, un disegno di legge nel quale viene introdotto l’arbitrato, al posto del processo, per la risoluzione delle cause relative al licenziamento ingiustificato. Sarà il presidente della Repubblica a invitare il Parlamento, che aveva già approvato la norma, a rivederla e prevedere l’arbitrato solo in presenza di una scelta effettiva da parte dei lavoratori.

Intanto, la Confindustria, dopo l’accordo separato del 2009 con Cisl e Uil sulle deroghe contrattuali e gli accordi di secondo livello e dopo lo scontro furibondo che vede opposti la Fiat e la Fiom-Cgil, inizia a tessere un nuovo dialogo con la Cgil di Epifani prima e di Camusso poi. E’ in questa chiave che il 28 giugno 2011 Confindustria, Cgil, Cisl e Uil, siglano un accordo che affronta i temi della contrattazione e della rappresentanza. Nessun riferimento, però, viene fatto all’articolo 18.
Ci pensa per ancora Sacconi a smuovere le acque inserendo nella manovra estiva –in piena bufera finanziaria con il rischio del “default” che incombe sull’Italia – quell’articolo 8, con il quale si stabilisce che i contratti di lavoro siglati in azienda o a livello territoriale, possono derogare ai contratti nazionali e “alle disposizioni di legge”, quindi anche allo Statuto dei lavoratori. L’unico limite è dato dalla necessità di un accordo con i sindacati “maggioritari” in azienda. Cgil, Cisl e Uil decidono di firmare un’intesa in cui si impegnano a non utilizzare quella norma che, per quanto sterilizzata, verrà approvata dal Parlamento.

Ora si passa all’ultima fase. Il governo ha già detto che dopo la manovra intende porre mano alla “riforma del mercato del lavoro”. Dove non è riuscito compiutamente Berlusconi riuscirà il governo Monti? Nel suo discorso di insediamento l’ex Commissario europeo ha scelto un approccio cauto. Ma ai sindacati non è piaciuta la mancanza di consultazione con cui è stata varata la manovra. Interpellati sull’articolo 18 sono quasi tutti d’accordo nel dire che non si siederanno a un tavolo “per facilitare i licenziamenti”.Non è chiaro, però, cosa succederà se il governo presenterà, come sembra, una riforma complessiva che tenga conto degli ammortizzatori sociali, del welfare, della rappresentanza sindacale (vedi Fiat) e, anche dell’articolo 18. La Fiom, che chiede una modifica dell’articolo 19 dello Statuto, per garantirsi la rappresentanza nelle aziende Fiat, non intende allargare il confronto. La Cgil nemmeno. Certamente, però, la prossima volta non ci saranno i sotterfugi di Sacconi. La prossima volta si discuterà alla luce del sole.

martedì 13 dicembre 2011

La svolta della Fiat


Il contratto siglato nel gruppo della famiglia Agnelli segna un passaggio di fase e apre la strada a una nuova struttura del mercato del lavoro


Salvatore Cannavò
da ilfattoquotidiano.it
Per Sergio Marchionne l’accordo del gruppo Fiat rappresenta “una svolta storica”. Su questo punto ha ragione perché l’intesa conclude quel percorso avviato con il piano Fabbrica Italia e passato attraverso le “battaglie” di Pomigliano, prima e di Mirafiori, poi. Marchionne ottiene l’obiettivo che si era dato quando impose l’accordo separato di Pomigliano e il relativo referendum: avere un contratto speciale, valido solo per i propri stabilimenti, privo delle strettoie che impongono le regole di concertazione a cui è ancora sottoposta la Confindustria dalla quale, non a caso, la Fiat è uscita. Nelle aziende della famiglia Agnelli, il sindacato ha ormai come controparte un industria che ha sedi in tutto il mondo che, come dice il presidente John Elkann, conserva il suo cuore in Italia ma che sempre più ha spostato il cervello negli Stati Uniti. L’intesa siglata, con la collaborazione decisiva dei sindacati, è cucita addosso alle caratteristiche globali dell’azienda Fiat ma soprattutto alla sua politica di sviluppo ed espansione che poggia non tanto sulla capacità di innovazione dei prodotti quanto sulla maggiore flessibilità del lavoro. Nel gruppo Fiat, da gennaio 2012, saranno ridotte le pause, gli straordinari saranno portati da 40 a 120 ore annue, i turni a 18 su sei giorni ma soprattutto saranno introdotte limitazioni per le assenze malattia e sanzioni per chi viola l’accordo stesso. Difficile capire quanto tutto questo possa aiutare a vendere più auto. Il progetto Fabbrica Italia, del resto, è stato messo nel cassetto dopo che la Consob si è azzardata a chiedere maggiori chiarimenti e le prospettive industriali dell’azienda restano nere. Marchionne ha puntato alla produzione di 6 milioni di autovetture nel 2014 ma al momento il gruppo Fiat-Chrysler è fermo a 4 milioni e la recessione deve ancora venire. Nuovi modelli non se ne vedono e gli stabilimenti sono falcidiati dalla cassa integrazione.

Marchionne ottiene, per il momento, soprattutto un risultato politico, l’estromissione della Fiom dalle sue fabbriche. Con il nuovo contratto, che il sindacato di Landini non ha firmato, la Fiom non avrà infatti diritto alle prerogative sindacali stabilite dallo Statuto dei lavoratori: delegati, distacchi, permessi, assemblee, spazio nelle bacheche aziendali e nemmeno la trattenuta sindacale in busta paga. Il sindacato più rappresentativo del gruppo viene di fatto cancellato da un giorno all’altro. Logico, quindi, che Maurizio Landini perli di lesione democratica oltre che di peggioramento delle condizioni dei lavoratori.
La “questione democratica” in effetti si pone in forma evidente. Come è possibile che a Somigliano, Mirafiori e Grugliasco si siano svolti dei referendum e invece gli oltre 80 mila lavoratori del gruppo non possa esprimersi sul contratto? Perché privarli di un voto di ratifica?

L’accordo apre poi un’altra partita nel campo delle relazioni sindacali. Per evitare di essere esclusa dagli stabilimenti Fiat, la Fiom chiede al governo una riforma dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori che regola la rappresentanza sindacale. Secondo tale norma, hanno accesso alla rappresentanza solo i sindacati che siglano gli accordi aziendali nonostante la loro rappresentatività. La Fiom chiede di ripristinare questo aspetto ma la sua richiesta ha già prodotto una ferma reazione della Fiat che non accetterebbe mai una tale riforma. Solo che, allo stesso tempo, il governo vuole rivedere l’intero pacchetto del mercato del lavoro con riforme dell’articolo 18 dello Statuto, una maggiore flessibilità in uscita con la probabile introduzione di un contratto unico di inserimento, un reddito garantito con la riforma degli ammortizzatori sociali. Tutto questo si tiene e la modifica dell’articolo 19 si inserirebbe in questo contesto. La Confindustria sarebbe d'accordo e non è detto che la Cgil e la stessa Fiom non siano disponibili a una discussione complessiva. Da qualsiasi punto lo si guardi, il contratto Fiat apre una nuova stagione di relazioni sindacali e sarà propedeutico a modifiche strutturali del mercato del lavoro.

Siria, la solidarietà e il no alla guerra


Una lettera aperta di Sinistra Critica alla campagna promossa da Peacelink "Siria no war": "L'opposizione all'intervento straniero non può tacere il sostegno alla rivolta siriana"


Pubblichiamo una lettera aperta invata da Sinistra critica alle/ai promotori della petizione “Siria No war”. Ci sembra un dibattito importante per capire meglio comportamenti e responsabilità del movimento contro la guerra rispetto a quanto sta accadendo, da diverso tempo orami, nel mondo arabo.

Carissime/i amiche e amici di Peacelink,
abbiamo ricevuto da diverse persone che stimiamo la richiesta di firmare l’appello da voi proposto contro qualsiasi intervento militare in Siria. Abbiamo deciso – singolarmente e come organizzazione politica – di non aderire al vostro appello e vogliamo brevemente spiegarvene i motivi.

Naturalmente siamo contrari a qualsiasi intervento straniero in Siria, così come lo eravamo contro quello in Libia (lo dimostrano i nostri comunicati già dallo scorso febbraio e marzo e le manifestazioni che abbiamo contribuito a organizzare il 20 marzo a Milano e il 2 aprile in diverse città), pur condividendo le ragioni di chi nel febbraio si era ribellato al regime di Gheddafi.
Non condividiamo invece in alcun modo le motivazioni che sostenete nella petizione e soprattutto riteniamo sbagliato e inefficace rispetto lo stesso obiettivo che si prefigge l’appello tacere della repressione che il regime siriano compie da sempre e in particolare in questi ultimi mesi contro la rivolta popolare. E questo è il secondo motivo di disaccordo: il vostro appello sottolinea decisamente il carattere “etrerodiretto” e “autoproclamato” della rivolta siriana: non siamo assolutamente d’accordo.

La rivolta popolare in Siria è iniziata mesi fa in molte città siriane con la richiesta di libertà, dignità e democrazia. A queste richieste – giuste e condivisibili – il regime di Bashar El Assad ha risposto con la repressione violenta: non ci interessa il conteggio dei morti, ma questi ci sono stati come dimostrano migliaia di filmati autoprodotti (per questo dimostrazione del “complotto”?); così come sono certi gli arresti – ammessi poi dallo stesso regime quando ha scarcerato migliaia di prigionieri che negava di avere; così come sicuri sono gli omicidi, i pestaggi, gli arresti di giornalisti, vignettisti, oppositori....
Le ragioni della rivolta non possono essere nascoste dagli obiettivi di alcuni soggetti politici – interni ed esterni – che vogliono approfittarne per una loro propria agenda.

Non vogliamo farla lunga. Pensiamo che un appello contro qualsiasi intervento straniero in Siria che non parta dalla solidarietà – umana, politica e attiva – alla rivolta siriana e che non veda nella caduta del regime di Assad e in una maggiore partecipazione popolare alla vita politica siriana l’obiettivo di una sinistra pacifista degna di questo nome non sia capace nemmeno di opporsi all’intervento straniero.
Non possono essere considerazioni “geopolitiche” a guidare la nostra opposizione alla guerra – come se il popolo siriano dovesse essere la vittima sacrificale delle alleanze regionali e dello scontro (reale) tra il protagonismo filoimperialista dei paesi reazionari arabi (Arabia Saudita, Qatar ecc...) e l’alleanza intorno all’Iran, vero obiettivo dello scontro.
Per difendere le popolazioni della regione dalle politiche imperialiste non possiamo in alcun modo diminuire la nostra solidarietà a chi si oppone, in Iran, Siria – come in Palestina, in Egitto, in Bahrein.

Saremo comunque vigili e attenti di fronte a qualsiasi escalation voluto dalla Nato e dai suoi alleati nella regione e non mancheremo di manifestare con voi contro la minaccia o la prospettiva di interventi militari esterni.
Vorremmo che anche voi foste con noi insieme alle comunità siriane che manifestano anche in Italia – spesso sole, come avviene per le altre comunità arabe in questi mesi in Italia – per la libertà del popolo siriano.

Flavia D’Angeli, Piero Maestri e Franco Turigliatto – portavoce Sinistra Critica

martedì 6 dicembre 2011

DAL CAIMANO AI COCCODRILLI....


L’annunciata manovra “salva Italia”è arrivata e rappresenta una violenta stangata antipopolare che ha lavoratrici e lavoratori e pensionate/i come bersaglio principale.

Una manovra all’insegna del “rigore” e dell'attacco ai più deboli, nella quale l’ipocrita retorica dell'equità si è tradotta in una gigantesca truffa ai danni di lavoratori, lavoratrici e pensionate/i – senza alcun vantaggio per le giovani generazioni, che saranno ancor più allontanate dal mondo del lavoro o utilizzate come concorrenza con la prossima creazione di una contrattazione duale.

Così il governo “tecnico” presenta la manovra più politica che si ricordi – con l’obiettivo di dare un preciso segnale ai "mercati": questo paese punta a spremere tutto quello che è spremibile dai soggetti più deboli e non toccherà in nessun modo le rendite, i profitti, gli interessi che quei mercati presidiano e difendono.

I provvedimenti racchiusi nella manovra vanno tutti in questa stessa direzione: aumento dell’età per andare in pensione e peggioramento degli assegni pensionistici; riproposizione dell’Ici e aumento delle rendite catastali; taglio delle imposte sulle imprese; liberalizzazione di interi settori dei servizi (quindi nuovo attacco all'acqua pubblica ma anche ai trasporti locali); rilancio delle grandi opere come la Tav.

In questo modo il governo mette in luce la sua natura politica, che ha il volto delle banche e della finanza che hanno festeggiato il suo insediamento.

L’appoggio unanime di centrodestra e centrosinistra (a parte l’ipocrita “opposizione” della Lega Nord che cerca di approfittare di questa “intesa nazionale” per rifarsi il trucco...) rende ancora più pericolosa l’operazione politica di Monti-Napolitano, perché cerca di affermare l’esigenza dell’“unità nazionale” di fronte alla crisi e del carattere “necessario e indifferibile” dei sacrifici.

La scelta del PD di schierarsi in prima fila in questa operazione è altrettanto significativa della natura di questo “partito naturale di governo”, avversario degli interessi delle classi più deboli e di una qualsiasi alternativa politica di sinistra.

Le prevedibili (e previste) scelte del governo Monti-Napolitano richiedono un impegno forte di tutta l’opposizione politica e sociale per rilanciare un’iniziativa unitaria e di massa contro il governo e contro le politiche di austerità. Unità dal basso, senza scorciatoie politiciste, ma capace di coinvolgere milioni di lavoratrici e lavoratori, pensionate/i, giovani precari/e e studenti – quelle donne e uomini che avevano riempito le strade di Roma il 15 ottobre - vittime sacrificali dei coccodrilli di governo.

Unità dell’opposizione politica e sociale capace di affermare il rifiuto delle politiche di austerità e delle nuove liberalizzazioni, per ribadire la scelta del non pagamento del debito illegittimo e del recupero delle risorse necessarie ad un nuovo welfare e alla difesa degli interessi delle classi deboli (in particolare per garantire diritti e reddito a tutte/i) con il taglio delle spese militari, la cancellazione delle grandi opere inutili e dannose, il recupero dell’immensa evasione fiscale....

Unità dell’opposizione che può e deve partire da un vero sciopero generale e generalizzato capace di dare una risposta ferma e forte alla manovra del governo e alla sua stessa natura politica.

Sinistra Critica è impegnata nella costruzione di questa larga opposizione sociale e politica:

* saremo in tutte le piazze degli scioperi contro la manovra – il 12 dicembre e soprattutto il 16 con la Fiom e lavoratrici e lavoratori della Fiat (dove si sperimentano le nuove forme di sfruttamento e cancellazione dei diritti dei lavoratori).
Serve uno sciopero generale vero ed efficace e un'unità sindacale (a partire da quella dei sindacati di base) basato sulla difesa di diritti fondamentali non più negoziabili sull'altare della concertazione;
* il 17 dicembre a Roma nell’assemblea del “Comitato No debito” che vogliamo diventi un appuntamento aperto e unitario organizzato da tutto il fronte di opposizione politica e sociale – anche per organizzare insieme a tutte le forze che si oppongono al governo Monti, una grande manifestazione nazionale;
* nella partecipazione alla campagna “Rivolta il debito” e per una Audit pubblico sul debito illegittimo – con iniziative nelle diverse città italiane nella settimana tra il 10 e il 17 dicembre.

ESECUTIVO NAZIONALE SINISTRA CRITICA