venerdì 8 agosto 2008

Una nuova cultura politica per una nuova sinistra anticapitalista

Flavia D'Angeli e Franco Turigliatto

(da Liberazione, 8 agosto 2008)

L'esito del congresso nazionale del Prc sancisce la conclusione del percorso politico ed organizzativo di questo partito, per come lo abbiamo conosciuto dalla sua nascita - cui abbiamo attivamente contribuito - fino all'opposizione alle scelte del congresso di Venezia del 2005 e il successivo, fragoroso fallimento dell'esperienza governativa.
Questo non significa che il Prc scompaia o si dissolva, anzi, le dinamiche del congresso esprimono invece il tentativo di mantenere comunque in vita una organizzazione politica che vuole presentarsi in continuità col passato. Insomma, anche se il Prc permane, comincia un'altra storia per la sinistra.
Un ciclo politico si è chiuso, il ciclo politico apertosi all'inizio degli anni 90 con lo scioglimento del Pci e la contestuale nascita dei Ds e del Prc. Questo ciclo politico si chiude in perdita, con un'ulteriore sconfitta, visibile alle elezioni di aprile, che peserà a lungo sui destini del movimento operaio e sulla riorganizzazione della sinistra. Se la nascita di Rifondazione aveva alluso alla possibilità di una ricomposizione della sinistra di classe, con una sua progressione e crescita di influenza, la fase attuale si caratterizza per la dispersione delle forze, la diaspora, l'impossibilità di far convivere culture e pratiche diverse. Sta qui il cuore del problema che il congresso del Prc, a nostro modesto avviso, non ha minimamente affrontato e che vogliamo cercare di esplicitare in questo intervento. Anche perchè non crediamo sia proponibile la logica della "parentesi", cioè del ritorno a una mitica "età dell'oro" del Prc, quella dei movimenti e del conflitto, cui sarebbe possibile accedere scrollandosi di dosso "l'incidente di percorso" del governo e della pratica istituzionale della scorsa maggioranza. Troppi fatti sono avvenuti, troppa credibilità è andata persa, troppi ponti sono stati divelti e la società non è nemmeno quella immaginata fino a pochi mesi fa. C'è insomma, un grande lavoro di ri-costruzione, delle idee, delle pratiche, del conflitto, che ci attende, una sorta di rifondazione all'ennesima potenza.
Per questo, la comprensione di quanto è avvenuto è indispensabile. La sconfitta non risiede solo nei due anni sciagurati di governo e nemmeno nella disinvoltura con cui fu operata la "svolta" di Venezia, quella successiva al referendum sull'articolo 18, allegramente messo da parte, anche dall'attuale segretario, quando invece forniva materiale importante per allargare l'orizzonte della sinistra di classe. La sconfitta è figlia di una contraddizione rimasta irrisolta in tutti questi anni: mano a mano che i margini di mediazione riformista si sono ridotti e che il capitalismo globalizzato ha mostrato per intera la sua ferocia - con le guerre, le ristrutturazioni selvagge, la politica contro i migranti, la devastazione ambientale - mentre è avanzato un nuovo duro scontro di classe animato dalla borghesia, la sinistra, anche quella di classe, anche Rifondazione, ha cercato di rinverdire proprio una strategia riformista. E' stato il caso del Pt in Brasile, del Pcf in Francia, di Izquierda Unida in Spagna, è quanto accade in fondo anche alla Linke tedesca. Ed è quanto avvenuto al Prc in Italia.
In realtà il riformismo di matrice togliattiana non ha mai abbandonato il partito, neppure negli anni della svolta verso i movimenti quando si stipulavano accordi a livello locale con il centrosinistra (il caso Roma, ad esempio). E, non a caso, tranne il congresso del 2002 - quello della "rivoluzione" - tutti gli altri congressi sono stati segnati dalla questione del governo, obiettivo fondamentale per gran parte del partito, compresa parte dell'attuale maggioranza. In realtà, Rifondazione ha reiterato gran parte della cultura "di lotta e di governo" del vecchio Pci e la sua crisi, alla fine, non ha fatto che rappresentare le estreme propaggini della crisi di quel partito. La scommessa della "rifondazione" è andata perduta, il rimescolamento delle culture diverse non è avvenuto - se si guarda agli spezzoni interni ed esterni al partito, sono tutti aggregati rispetto a culture che provengono dagli anni 70 e oltre - ma soprattutto non è nata una nuova cultura politica all'altezza dello scontro di classe, essendo quella veicolata da Bertinotti un assemblaggio pragmatico schiantatosi sulla realtà dei fatti.
Da questo punto di vista ci permettiamo di indicare la prima macroscopica contraddizione della nuova maggioranza e della segreteria Ferrero, al di là del paradosso rappresentato dall'unico ministro nel governo Prodi che guida la "svolta a sinistra". La contraddizione è contrassegnata dal fatto che mentre si dice di guardare "in basso e a sinistra" non si tirano le conseguenze della sconfitta e non si fanno i conti con quella cultura riformista che, non a caso, porta tutte le aree della nuova maggioranza a condividere postazioni di governo a livello locale. Ma quale cultura politica dinamica e positiva può sorreggere la partecipazione a un governo "razzista" come quello di Penati alla Provincia di Milano o il sostegno convinto alla giunta filoTav della Bresso in Piemonte? Per non parlare dei casi agghiaccianti della giunta Bassolino o di quella del calabrese Loiero. Gli esempi potrebbero proseguire in Toscana, nell'Umbria, nelle Marche o in quel cuore specifico del capitalismo italiano che è l'Emilia dove il Prc è al governo da sempre anche con esponenti molto ortodossi. Insomma, qui c'è un punto irrisolto. Ma solo se lo si affronta seriamente si può immaginare di costruire una strategia per l'opposizione. Fare l'opposizione a Berlusconi non è facile ma è scontato. Il problema è capire se si è d'accordo che l'opposizione rappresenta un luogo e uno spazio di lungo periodo per rifondare la sinistra di classe, dare gambe a un movimento della trasformazione sociale, battere il capitalismo.
E qui interviene il nodo cruciale. Se la cultura politica dominante del Prc è stata sconfitta dalla realtà - il partito di lotta e di governo era una chimera al tempo del Pci, figuriamoci con il governo Prodi - se la rifondazione non è riuscita, se oggi le varie culture della sinistra più o meno di classe sono rannicchiate al proprio interno e se non si vuole accedere alla pratica dell'assemblaggio difensivo, allora bisogna affrontare il problema dal lato di una nuova cultura politica. E una nuova cultura politica non può che partire da una strategia politica chiara, coerente, rigorosa che faccia i conti con il passato e indichi una prospettiva, magari minoritaria oggi, ma capace di affermarsi con la pratica. Una strategia e una cultura politica adeguate all'oggi non possono che muoversi sulle coordinate di un anticapitalismo conseguente che riproponga, non nei testi o negli statuti di partito ma nella pratica reale quotidiana, la logica del superamento dell'attuale sistema sociale, del tutto irriformabile, e la battaglia per una società nuova, autogovernata, democratica, socialista, ecologista, femminista. Proprio questa "profondità strategica" capace di animare un percorso di lungo respiro, ci è parsa mancare nel dibattito del congresso di Chianciano e nella stessa mozione su cui si è costruita la nuova maggioranza.
Non pensiamo di avere tutte le ricette in tasca. Ma un lavoro di ricerca comincia da un punto fermo: se si vuole battere il capitalismo non si può governare il capitalismo stesso, non ci si può ridurre a mitigarne gli effetti, a ridurre il danno, insomma a compromettersi con l'esistente. Bisogna ricominciare a progettare una rivoluzione politica e sociale, affermare la necessità e l'urgenza di ribaltare completamente un mondo che conduce dritto verso la barbarie e la catastrofe. Per questo parliamo di "elogio dell'opposizione", perchè è quello il luogo in cui progettare l'avvenire, strappare conquiste, ottenere vittorie, rafforzare un fronte ampio fatto di partecipazione e democrazia.
Una nuova cultura anticapitalista può generare una nuova sinistra anticapitalista, fuori dalla mistica del "comunismo" che assunto in forma astratta vuole dire cose spesso molto diverse tra loro (si pensi al Partito comunista di Diliberto, il più governista che sia mai esistito in Italia). I due termini non vanno più invertiti come ha cercato di fare Rifondazione, assemblando coloro che non si arrendevano, che resistevano, e cercando di dare loro con il tempo una cultura nuova. Oggi si deve partire da una discussione di fondo, da una condivisione strategica, da una cultura capace di affrontare le sfide del capitalismo contemporaneo.
In questo percorso le pratiche sociali sono altrettanto indispensabili perché rappresentano l'unico riscontro sul campo di quello che si dice nei testi o negli interventi congressuali. Non è solo questione, cruciale, del radicamento, dell'appartenenza al conflitto ma anche qui della strategia che si adotta. Il nodo della ricomposizione di un sindacato di classe, che faccia i conti fino in fondo con l'irriformabilità della Cgil e si proponga di costituire un sindacalismo di classe e di massa, è stato eluso per molto, troppo tempo.
Non può più esserlo. Le pratiche, poi sono anche un metodo di relazione con i soggetti sociali. Per questo non ci convince a pieno il modo con cui si sta affrontando la mobilitazione di autunno. Non ci piace il metodo delle "consultazioni" tra i vertici dei partiti o delle organizzazioni politiche ma pensiamo invece a una forma consensuale che veda riunire strutture tra loro strutture diverse, associative, sindacali, di movimento, politiche, concordi su una piattaforma e sulle forme più utili per portarla avanti. Pensiamo che lo "spirito di Genova" abbia detto molto a tal proposito e avanziamo pertanto da subito la proposta che la mobilitazione di autunno sia discussa in un incontro pubblico da realizzare ai primi di settembre sulla base di alcuni punti fermi: l'opposizione al governo Berlusconi, alla sua politica antisociale, securitaria e razzista, ma anche al padronato e alla concertazione che vuole abolire il contratto nazionale; alle leggi del governo Prodi che hanno alimentato la precarietà; al Trattato di Lisbona che vergognosamente il parlamento ha approvato all'unanimità; ai nuovi venti di guerra che soffiano in Medioriente e che vedono coinvolta l'Italia sia con l'aumento delle spese militari che con la costruzione di basi come quella di Vicenza; alla devastazione ambientale che vede nella Tav piemontese un fulgido esempio di politica bipartisan.
Sinistra Critica ha avuto origine da una corrente politica del Prc, ma, da quando è nata ha percorso molta strada nella elaborazione programmatica e nella concezione del socialismo, nella partecipazione ai movimenti, nella organizzazione da costruire. Ha saputo affrontare anche positivamente una prova elettorale che sembrava impossibile. Non vogliamo costruire l'ennesimo partitino, ma un'organizzazione politica a tutto campo che lavora per costruire l'opposizione sociale e per questa via le condizioni per una reale ricomposizione politica, un reale processo costituente anticapitalista.
Ci rapportiamo quindi al nuovo Prc uscito dal congresso da forza politica a forza politica. Su questa base auspichiamo e lavoriamo per costruire tutti i momenti unitari possibili. Verifichiamo le convergenze sociali e quelle politiche a partire dalla pratica concreta.
Lavoreremo attivamente a una mobilitazione di autunno ma intendiamo dare il massimo sostegno allo sciopero generale già proclamato dai sindacati di base e non concertativi il prossimo 17 Ottobre.
Così come cercheremo sostegno e adesione alla nostra proposta di legge popolare per l'introduzione del Salario minimo a 1300 euro e per il Salario sociale a 1000 e la reintroduzione della scala mobile che già in questi estivi ha incontrato migliaia di adesioni.
Verrebbe da dire: noi qui siamo, il cammino è lungo e su questa base lavoriamo a costruire le alternative per il futuro.
*Sinistra Critica

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