giovedì 17 giugno 2010

Pomigliano e il ruolo della sinistra


Marchionne fu definito l'esponente della "borghesia buona" e mai definizione fu così smentita. Il Pd non se la sente di mettersi contro la Fiat, il resto della sinistra sì ma ha un problema di credibilità. Sinistra Critica propone una «iniziativa unitaria» a partire dallo sciopero del 25 giugno. Attorno alla battaglia su Pomigliano può innescarsi una risposta efficace?


Salvatore Cannavò
Come ricorda oggi in un'intervista al Fatto quotidiano, Cesare Damiano, già "riformista" della Fiom e poi ministro del Lavoro nel secondo governo Prodi, la Fiat ha sempre fatto «scuola» nell'ambito delle relazioni industriali. «Nel 1971 l'accordo Fiat sull'organizzazione del lavoro - spiega Damiano - determinò le caratteristiche della prestazione del lavoro in tutte le grandi aziende d'Italia (...) così come nel 1988 l'accordo sul premio di risultato portò successivamente all'introduzione del salario variabile che nel protocollo del 1993 ispirò l'intera contrattazione di secondo livello». Damiano "dimentica" il 1980 e il licenziamento - poi cassa integrazione - di migliaia di operai a Torino che innescò la protesta dei 35 giorni conclusasi con una sconfitta. Quella non fu una vertenza squisitamente sindacale ma chiaramente politica, intenzionata a modificare, riuscendoci, i rapporti di forza nella società italiana.
L'accordo separato di Pomigliano si iscrive in questa genealogia negativa targata Fiat. Ha componenti chiaramente lavoriste, cioè interne alle condizioni di vita interne alla fabbrica - lo straordinario obbligtorio a 120 ore, la pausa ridotta di dieci minuti, l'introduzione del World Class Manufacturing, la pausa mensa a fine turno - ma ha anche una valenza generale, "politica", che riguarda i complessivi rapporti di forza sociali. Le sanzioni al diritto di sciopero costituiscono il cuore di questa offensiva così come il rifiuto di pagare la malattia a carico dell'azienda in caso di assenze dal lavoro superiori alla media (ma a quale media la Fiat non l'ha ancora detto).
Un passaggio di fase che capitalizza un dato della politica che è sotto gli occhi di tutti: una sinistra scomparsa dal Parlamento e inefficace sul piano sociale, un Pd che si schiera direttamente con la Fiat salvo chiedere un po' più di cortesia e un'Italia dei Valori - il soggetto politico nuovo di questa fase - che si schiera con i lavoratori ma che con la testa pensa a bavagli e intercettazioni più che alla lotta di classe.
Le prese di posizione sono le più disparate e le più diversificate tra loro. La più paradossale è quella di Fausto Bertinotti: «Dove è finita la sinistra dei post-it, di Repubblica, che protesta contro il bavaglio? A Pomigliano non la vedo» dice l'ex presidente della Camera in un'intervista al Riformista. L'intervistatore dimentica però di chiedergli conto dei vecchi giudizi su Marchionne, definito esponente di quella «borghesia buona» con cui la sinistra doveva allearsi al tempo del governo Prodi. Più lesto a porre la domanda è invece il Corriere e in questo caso Bertinotti ammette un ripensamento: «Anch'io, non lo nego, ho parlato bene di Marchionne ma se poi fa cose come queste, con la stessa libertà con cui ho detto che era un bravo manager ora dico che è un personaggio pessimo». Peccato che il giudizio positivo coincidesse con il momento di massimo prestigio e visibilità dell'ex segretario di Rifondazione e che quella scelta, allora, abbia contribuito alla perdita di credibilità della sinistra di classe. E questo è quello che oggi pesa come un macigno.
Il segretario del Prc, Paolo Ferrero, a Pomigliano ci è andato a volantinare e ovviamente i suoi giudizi sono in parte analoghi a quelli di Bertinotti: «Dov’è quel centro sinistra che giustamente si indigna per le nefandezze di Berlusconi? Dove sono i direttori dei quotidiani che giustamente protestano contro le leggi bavaglio? Dove sono i liberali che gridano al golpe quotidianamente? In silenzio». Giusto, ma nei suoi due anni di segretario, Ferrero ha offerto molto proprio a quelle posizioni e quando mai il Prc si è sganciato dalle coalizioni di centrosinistra con cui ha governato, ad esempio, proprio la regione Campania fino a tre mesi fa? E lo stesso vale per Vendola e Sinistra e Libertà. Le prese di posizioni esistono ma quello che si misura pesantemente in questa vicenda è la perdita di credibilità. E anche le formazioni minori, come Sinistra Critica o il Pcl, che non hanno certamente remore a stare dalla parte dei lavoratori e della Fiom e a proporre mobilitazioni unitarie, hanno comunque una voce flebile, frutto delle sconfitte e della dispersione di energia.
Chi si muove con più credibilità è ovviamente il partito di Di Pietro che annuncia: «Ci impegneremo a fianco degli operai perché nessun diritto venga prevaricato». Eppure, la percezione che l'Idv rimanda, nonostante gli sforzi del suo responsabile Lavoro, Maurizio Zipponi, già Fiom e già deputato del Prc, è di avere il baricentro politico da un'altra parte.

Nel Pd invece è un fiorire di dichiarazioni da collezione. Fassino, che aspira a fare il sindaco di Torino, dice di continuare a fare il tifo per Marchionne: «Sta passando l'ultimo treno per Pomigliano e il sindacato non deve sottrarsi alle proprie responsabilità». Nessuna esitazione nemmeno per l'attuale sindaco, Chiamparino che si augura un sì al referendum e un conseguente ripensamento della Fiom. Da un altra posizione muove invece l'ex segretario della Cgil, Sergio Cofferati, oggi parlamentare europeo, il quale invece sottolinea il pericolo che l'accordo violi non solo la Costituzione italiana ma anche i trattati europei a cominciare dal Trattato di Lisbona. In questa babele scomposta il segretario Bersani cerca di portare un po' d'ordine affermando su Repubblica che l'unica posizione che conta è la sua. E la sua posizione è così mediata e sfumata che si fa fatica a capirla: «L'accordo va bene ma non deve diventare un modello» che è diventata la posizione del segretario Cisl, Bonanni. Però «l'azienda non dovrebbe umiliare gli operai e cancellare i diritti» che invece è la posizione di Epifani. Detto questo «la situazione in quello stabilimento è insostenibile, non può stare sul mercato con quei livelli di produzione» che è la posizione della Fiat. Manca forse solo la posizione del Pd ma questa non è una novità. Ma battute a parte, il Pd in questa vicenda non tocca palla, perché le questioni sociali sono ormai estranee alla sua traiettoria e cultura e si incarica di affrontarle solo dal governo; dall'opposizione non sa dire nulla perché non riuscirebbe mai a demarcarsi da una logica di impresa che ormai è la sua logica.

Resta però il fatto di una situazione difficile e che costituisce un nuovo colpo per lavoratori e lavoratrici. Che fa la sinistra? come si rende utile e come coglie il passaggio per provare a dare una risposta? Un'occasione è data dal 25 giugno, quando ci sarà lo sciopero di 8 ore proclamato dalla Fiom. Si potrebbero tenere manifestazioni in tutta Italia di solidarietà ai lavoratori Fiat in particolare a Pomigliano anche come reazione al referendum del 22 giugno. Sinistra Critica, per bocca dei suoi portavoce, Turigliatto e D'Angeli, avanzano la proposta di un incontro unitario a sinistra per «contribuire a un movimento forte unitario e dal basso contro l'accordo, a difesa dei diritti e della dignità del lavoro, per cercare di organizzare una riposta adeguata al "modello Pomigliano"».

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