venerdì 14 maggio 2010

Dall'Islanda alla Grecia


Lo sciopero greco paralizza il paese e i manifestanti scendonno in piazza al grido "La crisi non la paghiamo". Ancora una prova di forza contro il governo socialista che vuole risanare il bilancio scaricando i costi sui lavoratori. Nel referendum islandese passa invece l'ipotesi di non pagare i debiti pregressi. L'Europa ha qualche problema.


di Antonio Moscato
Non tutto va male al mondo: l’Islanda ci ha dato una bella lezione, grazie a una svista dei suoi governanti. Invece di far votare su cose contorte e lontane dalla gente, hanno ammesso un referendum che poneva ai cittadini una questione elementare: dobbiamo pagare noi un debito che altri hanno contratto, senza chiederci il parere e senza informarci?
“Solo” il 93% si è espresso nettamente per il rifiuto di pagare, mentre ha votato Si solo l'1,7 % degli elettori (il resto delle schede sono state annullate o erano bianche). L’effetto di un voto così massiccio è stato sorprendente: il referendum è servito a spingere Gran Bretagna e Olanda a fare subito offerte migliori all'Islanda, e i negoziati dunque continueranno. La rabbia della gente per il modo in cui banchieri, speculatori e un capitalismo senza regole hanno messo in pericolo e poi messo in ginocchio un intero paese, è stata tale che il presidente della repubblica islandese, Olaf Ragnar Grimsson, è stato il primo a dire di no alla proposta di legge sul rimborso e, a differenza di quel che fa il nostro Presidente, si è rifiutato di firmarla, diventando il portavoce del diffuso malcontento popolare, espresso con cartelli con slogan come "salviamo il paese, non le banche" e "no al capitalismo strozzino". Mandare le cannoniere in Islanda in questa situazione era pericoloso, avrebbe voluto dire attirare di più l’attenzione su questo piccolo paese che ha riscoperto la capacità di dire No a un’ingiustizia.
Ma anche la Grecia ci sembra da imitare: anche se il vecchio partito comunista si è assurdamente astenuto in Parlamento sulle misure che tagliano pensioni e salari e che aumentano l’Iva, classica tassa sui poveri, la maggior parte della popolazione, compresi i militanti di quel partito comunista così cauto, si è scatenata contro i palazzi del potere politico ed economico. I metodi duri servono sempre: poche settimane fa in Germania uno sciopero della Lufthansa, annunciato come sciopero totale di quattro giorni, quindi in grado di paralizzare il paese, ha avuto un tale successo, che ha spinto l’azienda e il governo a cambiare atteggiamento prima della fine del primo giorno di lotta, accettando di riaprire la trattativa. Così si fanno gli scioperi, non con le fermate simboliche che portano danno alle tasche dei lavoratori in lotta senza colpire la controparte!
In Grecia gli striscioni che hanno aperto le manifestazioni dicevano: Non paghiamo! Alludono ai giganteschi prestiti concessi dall’Europa per pagare gli interessi dei prestiti precedenti. Il bilancio pubblico è pieno di buchi, e il governo deve pagare 13 miliardi di euro solo di interessi, e le banche si aspettano altri 13 miliardi come “rendita di capitali”. Un totale di 26 miliardi che è una provocazione: esattamente la stessa cifra del bilancio per salari e pensioni del pubblico impiego… Le banche greche hanno profitti alle stelle, mentre si tagliano pensioni e stipendi. E non sono solo le banche a ingrassare a spese dello Stato: Il ministro delle finanze Giorgos Papakonstantinou si lamenta che i greci non pagano abbastanza tasse, ma questo corrisponde a una scelta dei governi, di destra e di sinistra. Le imposte dirette in Grecia rappresentano un misero 7,7% del Pil, contro una media del 13% in Europa. Papandreou e Papakonstantinou dicono che vogliono combattere l’evasione illegale, ma in Grecia il maggior problema è l’evasione “legale”: ad esempio gli armatori, che sono tra i più ricchi del mondo, sono esentati dalle imposte, con una legge del 1967 (fatta quindi sotto la dittatura militare) che tuttavia è stata accettata da tutti i governi successivi, e inserita perfino nella costituzione.
Ma tutte le grandi imprese pagano pochissimo: i profitti delle banche ad esempio sono stati gravati da un’imposta del 7%, mentre per lavoratori e pensionati si può arrivare anche al 40%, e un lavoratore che guadagna 30.000 euro lorde all’anno, ha già un’imposta di 4.500 euro, pari al 15%. Per questo i greci sono furiosi.
Tante tasse per giunta non garantiscono servizi decenti: gli ospedali pubblici sono senza medici e infermieri, le strade dissestate, le scuole allo sfascio (come in Italia): cosa può tagliare ancora il governo, per ascoltare i consigli di Angela Merkel?
E la rabbia aumenta perché il paese è tartassato dalla corruzione, dal nepotismo, e ogni tanto (poco, come in Italia, ma basta per capire) vengono fuori affari miliardari. Uno ha coinvolto la Siemens, che aveva pagato somme enormi per avere appalti dal governo. Il suo dirigente greco, Michael Christoforakos, se ne è scappato indisturbato in Germania, dove circola tranquillamente. Per questo oggi la parola d’ordine più sentita è “Non paghiamo!”

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