giovedì 29 ottobre 2009

Il Pd di Bersani, una calamita per la sinistra radicale



La nuova segreteria democratica chiude l'era Veltroni e attrae di nuovo Sel e Federazione. La stranezza della manifestazione del 5 dicembre

di Salvatore Cannavò
L'elezione di Pierluigi Bersani alla segreteria del Pd potrebbe stabilizzare il quadro politico dell'opposizione parlamentare, in piena fibrillazione dopo le dimissioni di Veltroni. Certo, la ventilata scissione di Francesco Rutelli sembra smentire questa affermazione ma l'elezione del nuovo segretario, per le modalità e i contenuti che presenta, interrompe lo schema politico cui abbiamo assistito con l'ascesa di Veltroni e avrà ricadute sul quadro complessivo.
Le modalità della sua elezione sono quelle note delle primarie, cioè della possibilità di partecipazione ampia da parte degli elettori e/o simpatizzanti del Pd. Una forma che indubbiamente conferisce molta forza al nuovo segretario soprattutto perché la sua elezione è frutto di uno scontro interno vero e non di un'operazione di apparato come fu la segreteria Veltroni. La discussione sulla credibilità o meno delle primarie è in realtà superflua: per il tipo di partito e di progetto politico che il Pd incarna, le primarie sono del tutto coerenti alla sua impresa e quindi ci dovremo abituare con questa forma della politica che dimostra essenzialmente una cosa: le persone che hanno voglia di intervenire politicamente utilizzano gli strumenti a disposizione. Una partecipazione politica "moderata", limitata cioè alla delega ai gruppi dirigenti si esprime volentieri tramite le primarie; una partecipazione politica più consapevole o più determinata ha bisogno invece di strumenti più efficaci e anche più democratici: comitati di lotta, coordinamenti, strutture larghe del conflitto.
I contenuti della nuova segreteria si possono invece sintetizzare in quattro passaggi: un partito più tradizionale e meno mediatico; un linguaggio e un profilo che sintetizza la tradizione della sinistra storica italiana e quella del cattolicesimo democratico (non si vedono espressioni significative di liberalismo o di ambientalismo); una strategia legata all'ipotesi del "patto tra i produttori" e quindi a un compromesso ancora più coeso tra borghesia produttiva e lavoratori intesi nelle loro rappresentanze sindacali, innanzitutto Cgil; una politica delle alleanze che ripropone quella che fu l'ispirazione dalemiana del 1995, la "coalizione democratica" che portò all'Ulivo di Prodi e che oggi ambisce a un patto "per l'alternativa" dalla sinistra "radicale" all'Udc passando per Di Pietro.
In questo senso, la nuova segreteria stabilizza il quadro riproponendo uno schema già visto: un'opposizione a Berlusconi giocata sui temi sociali e economici più che su quelli etico-morali - ma con una disponibilità a discutere e "concertare" temi come la giustizia o il federalismo - e, contestualmente, una prospettiva di cambiamento del tutto affidata al gioco politico-istituzionale senza prefigurare "spallate" provocate da mobilitazioni sociali ad ampio raggio.
Di fronte all'appello per una colazione "per l'alternativa" le principali forze di sinistra rispondono in forme solo parzialmente diverse. Se Nichi Vendola apre a una collaborazione strutturale che vede in gioco anche la presidenza della Regione Puglia, nella Federazione della Sinistra assistiamo a una reazione divergente: da un lato, Diliberto si dice disponibile a una "grande alleanza" per battere Berlusconi mentre Ferrero pur escludendo un patto di governo si dice disponibile a un'alleanza anche con l'Udc ma solo per cambiare le regole del gioco, cioè la legge elettorale. Come abbiamo già commentato, questa proposta minimizza la portata di un'alleanza che non può limitarsi alla sola legge elettorale ma che avrebbe, se realizzata, profonde implicazioni politiche di governo. Oltre a far finta di non vedere la portata generale di un'alleanza di governo alle prossime elezioni regionali che costituirebbe un quadro obbligato di riferimento.
E in ogni caso, quello che è più rilevante è che le principali forze di sinistra tornano a far ruotare le proprie proposte attorno alle mosse del Pd rinunciando a un'iniziativa autonoma.
Ovviamente un rapporto con il Pd o con la Cgil è pure importante ai fini di un'iniziativa di massa che metta in crisi il governo Berlusconi del quale non ci sfugge la pericolosità. Ma le unità si fanno sui contenuti e a partire dalle mobilitazioni sociali: oggi c'è bisogno di una mobilitazione unitaria, di un "Movimento contro la crisi e il razzismo", che provi a coordinare le lotte esistenti, creando uno schieramento unitario e plurale, all'insegna della radicalità e dell'unità. Solo questa dinamica può permettere di cacciare Berlusconi e aprire una prospettiva nuova. E' disponibile il Pd a questa impresa? Ci pare evidente che non è così e che la logica privilegiata, in particolare dalla nuova segreteria, è quella delle alleanze politiciste seguita negli ultimi quindici anni, e che è servita solo a rafforzare il leader del centrodestra e a destrutturare la sinistra. Oltre che a consolidare i legami del Pd con ampi settori della borghesia italiana.
Abbiamo proposto nei giorni scorsi di dare vita a un "Patto contro la crisi", a un'alleanza politica, sociale e sindacale per far tornare il conflitto protagonista della politica e la politica al servizio del conflitto. Di fronte alla nuova segreteria Pd, alla sostanziale continuità che essa propone, ci sembra questa l'unica strada utile da seguire.

p.s. Il segretario di Rifondazione comunista, Paolo Ferrero, ha lanciato insieme ad Antonio Di Pietro una manifestazione "antiberlusconi" per il prossimo 5 dicembre. Non abbiamo capito su cosa questa manifestazione viene convocata. Avevamo invece capito che il Prc del dopo Bertinotti volesse riposizionarsi a sinistra, aprire un confronto con la sinistra anticapitalista e reimpostare una piattaforma radicale e alternativa alle logiche che dominano il capitalismo in crisi.
Vediamo invece che Di Pietro rappresenta l'interlocutore privilegiato di una mobilitazione unitaria. Il Di Pietro che è stato sempre favorevole alla Tav, quello che si scagliava contro la sinistra contraria al Dal Molin, quello che sosteneva la controriforma pensionistica e impediva la Commissione d'inchiesta su Genova 2001.
Continuiamo a credere che ci sia bisogno di un Movimento contro la crisi che abbia come punti qualificanti la difesa dei posti di lavoro, la riduzione dell'orario, la difesa dei salari e delle pensioni, la socializzazione delle aziende a rischio chiusura, la difesa ecologica dei territori, la riduzione drastica delle spese militari. E che questo movimento debba vedere una capacità unitaria delle sinistre politiche, sociali e sindacali, indipendentemente dal Pd e non alla ricerca di punti di appoggio per riaprire una trattativa con Bersani.

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