domenica 20 settembre 2009

Non pensate che io avessi ragione?


Non pensate che io avessi ragione?
di Franco Turigliatto
(editoriale de l'Altro del 19 settembre)

I fatti hanno la testa dura; ancor più se i fatti sono fatti di guerra. E quanto sta succedendo da molti anni in Afghanistan è una guerra, tra le più violente e crudeli.
Una guerra che non ha nulla a che vedere con la democrazia e i diritti, ma del tutto interna alla guerra globale e permanente che gli Stati Uniti, i suoi alleati europei e le altre potenze capitalistiche conducono da anni per mantenere il controllo del mondo in una logica neocoloniale ed imperiale.
L’Italia c’è entrata sotto pressione degli USA col pieno consenso dei due schieramenti politici e passo dopo passo si è ritrovata sempre più invischiata e coinvolta, al di là dei distinguo, delle mozioni parlamentari, dei fatti negati, delle mistificazioni e delle false coscienze. La responsabilità delle morti, di quelle afgane, sottotaciute o nascoste, di quelle italiane (su cui si versano lacrime di coccodrillo) sono pienamente e totalmente di coloro che hanno deciso di parteciparvi e di accrescere sempre più la presenza e il ruolo delle truppe italiane,
Ma questa guerra segna anche la caduta, la più rovinosa, delle sinistre nel nostre paese, di quelle sinistre che hanno puntato le loro carte sulla alleanza e sul governo col centro sinistra e che, di fronte alla guerra, hanno semplicemente capitolato. Da quando è sorto il movimento operaio la guerra è la cartina di tornasole di tutte le politiche dei partiti operai e di sinistra, la sintesi delle loro scelte, il discrimine politico e strategico si cui si sono rotti e rifondati i partiti in tutta la storia del movimento operaio al di là delle stesse pur decisive e fondamentali scelte sociali ed economiche.
E le guerre di occupazione hanno una dinamica precisa: l’occupante è l’occupante, contro di lui sorgono inevitabilmente moti ed atti di resistenza, a cui seguono le azioni di repressione, i bombardamenti, i rastrellamenti, i massacri di civili. Non si sfugge a questa escalation. Come in ogni guerra, si uccide e ci si fa uccidere.
Ho provato, insieme a Cannavò a difendere queste semplici idee in un Parlamento che trae la sua legittimità da una Costituzione che recita in un articolo fondamentale “l’Italia ripudia la guerra”; e a convincere una maggioranza, sorta in alternativa alla destra, che era indispensabile ritirare le truppe dall’Afghanistan; abbiamo provato, come Sinistra Critica, a impedire che le forze della Sinistra varcassero il “Rubicone”. Senza molte esitazioni e senza particolare discussione il Prc e dagli altri partiti della sinistra “radicale” hanno fatto questo passo: uno iato profondissimo, una ferita terribile non solo politica, ma culturale, etica che attiene all’idea stessa di sinistra e di un progetto alternativo di società, che altera le coscienze dei militanti.
Siamo stati massacrati dai mass media, messi al bando dagli apparati delle sinistre ufficiali, (poco o nulla difesi da quei giornali o riviste che vogliono essere la coscienza critica della sinistra) anche se abbiamo trovato molta solidarietà e sostegno nei militanti dei movimenti di base e in tante cittadine e cittadini, parte di quella maggioranza della popolazione che in tutti questi anni è sempre stata contraria alla partecipazione alla guerra in Afghanistan. Personalmente sono stato anche oggetto di una espulsione che, in forma di pericolosa commedia, riproponeva scenari del passato.
Leggo oggi, sul Manifesto, l’annuncio del segretario di Rifondazione che il partito aveva torto e che Turigliatto aveva ragione.
Quale amarezza. Non per ragioni personali. L’amarezza è tutta relativa al fatto che organizzazioni politiche e gruppi dirigenti della sinistra per comodità e per opportunismo non hanno voluto capire l’implicazione dei loro atti, del loro voto alle missioni militari, al finanziamento della guerra, così alterando le finalità ultime di una sinistra che voleva esser comunista, antimilitarista e di alternativa.
Amarezza perché non è possibile agire come se nulla fosse stato, come se, schiacciando il tasto del “reset”, tutto potesse ricominciare come prima. Di mezzo c’è stata un sconfitta pesante (non quella elettorale, ma quella dei lavoratori) un crollo di credibilità (naturalmente relativo a tutta la politica realizzata dal governo Prodi con l’accettazione delle politiche liberiste da parte di quelle forze che si erano fatte “garanti” di una svolta a sinistra,) una difficoltà sempre più grande a costruire l’intervento per coloro che vogliono combattere il capitalismo. In altri termini: gli errori degli stati maggiori della sinistra sono stati pagati dal movimento dei lavoratori e ostacolano fortemente la stessa iniziativa dei tanti che ancora oggi non voglio abbandonare una prospettiva anticapitalista
Con quale credibilità le organizzazioni della sinistra possono oggi chiedere, giustamente, il ritiro delle truppe, la rinuncia alla guerra, dopo che, dalla posizioni governativa, hanno avuto ben poche esitazioni ad accettare soldi e truppe per la guerra stessa? E infatti la loro voce risulta afona e le difficoltà nella costruzione di un movimento antiguerra le abbiamo davanti ai nostri occhi.
Ma quello che ritengo la cosa più negativa è che, al di là di qualche parziale riflessione autocritica, non si veda in giro una reale e profonda riflessione su quanto è successo, una reale acquisizione di coscienza del senso dei fatti avvenuti, un superamento dei paradigmi del passato. E’ questo che rende ancora più difficile il ricominciare, quel “ricominciare su nuove basi” di cui è intessuta tutta la storia del movimento operaio e a cui non penso si debba rinunciare, tanto meno oggi di fronte alla inaccettabile barbarie del capitalismo.

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