giovedì 23 luglio 2009

NO AL RAZZISMO ISTITUZIONALE


Reato di clandestinità, istituzionalizzazione delle ronde, prolungamento dei tempi di detenzione per “accertamenti” fino a
180 giorni nei CIE (i Centri di Identificazione ed Espulsione, che hanno sostituito i CPT), necessità del permesso di
soggiorno per tutti gli atti di stato civile, permesso di soggiorno a punti (che si potranno perdere sulla base di valutazioni
discrezionali dell’autorità di polizia), idoneità abitativa per il cambio di residenza e registro per i senza fissa dimora:
queste alcune delle caratteristiche principali di una legge che porta il nostro paese al primo posto in Europa per
razzismo istituzionale. In contrasto con quanto previsto dalle convenzioni internazionali e dalle direttive comunitarie, si
introduce come regola la detenzione “amministrativa” dei richiedenti asilo.
Per gli immigrati privi di permesso di soggiorno non sarà più possibile riconoscere un figlio, avere accesso alle
cure mediche senza il rischio di essere denunciati ed espulsi (con gravi conseguenze anche per la salute pubblica di
tutti), rivendicare la retribuzione per il lavoro prestato o poter denunciare situazioni di caporalato e di lavoro in
nero, e neppure iscrivere i figli a scuola, sposarsi, inviare soldi a casa.
E per essere privati del permesso di soggiorno, tanto più con la crisi economica in corso, anche se si è “regolari”, è
sufficiente perdere il lavoro, essere licenziati e diventare così “clandestini”, dato che la legge Bossi – Fini lega il
permesso di soggiorno al contratto di lavoro.
Viene poi costituito un diritto penale speciale per sanzionare situazioni di conflitto sociale. Va in questa direzione la
reintroduzione del reato di oltraggio a pubblico ufficiale, che costituirà una potente arma per mettere sotto processo
qualsiasi persona, italiano o straniero, che abbia comportamenti interpretabili come offensivi per l’autorità.
Il “pacchetto sicurezza” è solo l’ultimo passo di una politica verso i lavoratori migranti fondata sul ricatto e sulla paura,
nel clima di un’ossessiva propaganda intesa a individuare nei migranti il nemico, che ha prodotto effetti anche tra
lavoratori e settori popolari e che la crisi economica e sociale aggrava ulteriormente. E se le orrende parole d’ordine della
destra xenofoba e reazionaria riescono a fare breccia in una società che si vuole più intollerante e incattivita, i gruppi
dirigenti del centrosinistra non sono esenti da responsabilità: basti ricordare che la legge Turco-Napolitano (1998) è
quella che ha istituito i CPT, che il secondo governo Prodi non ha cambiato di una virgola la legge Bossi-Fini, e infine le
recenti dichiarazioni di esponenti di primo piano del PD, come Fassino, Chiamparino o Rutelli, di comprensione se non di
plauso verso la politica dei respingimenti verso la Libia operata dal governo Berlusconi.
Si vuole poter utilizzare una forza lavoro usa e getta, con la condanna dei migranti al ricatto permanente, ad
accettare ogni forma di sfruttamento, ostacolandone percorsi di lotta e di organizzazione collettiva; si vogliono
dividere artificiosamente i lavoratori tra migranti e nativi, determinando così il peggioramento delle condizioni di
vita, di lavoro e salariali per tutti.
E’ quindi importante cogliere la connessione tra razzismo istituzionale, sfruttamento dei migranti, licenziamenti e
peggioramento di vita per tutti i lavoratori.
Vogliamo contrastare insieme, lavoratori italiani e migranti, la “guerra tra poveri” che si vuole scatenare per
poter meglio colpire tutto il mondo del lavoro. Infatti, quanto più saranno ricattabili i lavoratori migranti, tanto
più lo saranno anche i lavoratori italiani.
Noi proponiamo quindi, non solo alle sinistre politiche ma anche a quelle sociali e sindacali, di progettare una campagna
unitaria e prolungata contro il razzismo e la crisi: una campagna che rappresenti un punto di vista alternativo, per invertire
la tendenza alla demoralizzazione e cercare di strappare qualche risultato.
COSTRUIAMO COMITATI UNITARI CONTRO IL RAZZISMO E LA CRISI

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