giovedì 7 aprile 2011

La rivoluzione vista da vicino


Viaggio del Social forum mondiale in Tunisia dove la cacciata di Ben Ali non ha fermato il bisogno di cambiamento. Agli europei viene chiesto di annullare il debito e di restituire i beni sottratti dal dittatore tunisino


Gippo Mukendi
di ritorno da Tunisi
Si è concluso martedì 5 aprile il viaggio in Tunisia organizzato nell'ambito del Social forum mondiale cui ha preso parte anche una folta delegazione italiana. Tra i partecipanti anche Gippo Mukendi che ha scritto questo sintetico resoconto.

Il viaggio in Tunisia è stato piuttosto intenso sotto ogni punto di vista. La delegazione del Forum sociale mondiale era composta da nove paesi: Italia (12 presenti); Francia (Fondation Frantz Fanon); Belgio; Grecia; Marocco (associazione per i diritti umani); Spagna; Costa d'Avorio; Senegal (diverse associazioni); Brasile (due membri della Cut).

Primo giorno: venerdì 1°aprile, è cominciato a Tunisi con un'assemblea nella sede del sindacato UGTT organizzata dal Forum sociale maghrebino. Si tratta di una realtà nella quale ha un forte ruolo la componente di sinistra dell'UGTT che nei fatti ha organizzato assieme alla Ligue des droits de l'hommes i diversi incontri in Tunisia. Tra gli interventi più interessanti quello di Fethi Ben Ali Deck, coordinatore del lavoro internazionale dell'Ugtt, che ha sottolineato la necessità di continuare il processo rivoluzionario di fronte a coloro che vorrebbero bloccare la transizione in corso senza porre al centro la questione sociale; quello di un giovane studente tunisino che ha fatto il quadro della situazione tra i giovani tunisini ponendo al centro la lotta per il lavoro e il carattere sociale della rivoluzione oltre che l'importanza della difesa delle conquiste democratiche che rappresentano una vera e propria liberazione; l'intervento di una esponente di Attac-Tunisia ha insistito sul ruolo fondamentale delle donne nel processo rivoluzionario e ha posto il problema della solidarietà internazionale sottolineando l'importanza della campagna per l'annullamento del debito e per il congelamento e la restituzione dei beni sottratti da Ben Ali e dalla sua cricca alla collettività. Da sottolineare altri due interventi dell'Associazione des Femmes Démocrates che hanno sottolineato l'importanza di difendere lo statuto delle donne che gli islamisti (salafiti in particolare) vorrebbero abrogare.
Dopo l'incontro, il tempo di vedere l'animata place Burghiba, vera e propria nuova agorà della capitale, e il tempo di vedere l'avvio della manifestazione della cosiddetta Casbah si è subito partiti per Kasserine.

2° giorno, Kasserine: è la città dei "martiri della rivoluzione", si trova nel cuore della Tunisia. Storicamente ribelle con una forte componente berbera, invisa a di Ben Ali che nel 1994 fu accolto da un folto lancio di patate, ha pagato un altissimo prezzo alla rivoluzione: 70 morti in gran parte giovanissimi. Oggi molti di quei giovani sono in sciopero della fame da due settimane. La richiesta che fanno è il lavoro. In una città di 74.000 abitanti sono, infatti, circa 11.000 i disoccupati. In gran parte hanno un diploma o sono laureati. Nella tenda allestita in piazza c'è un'econometrista, un architetto, un geografo... . Per loro non ci sono segnali di cambiamento, così come i familiari delle vittime della rivoluzione che abbiamo ricevuto nella sede dell'Ugtt, dove la componente di sinistra sembra maggioritaria soprattutto tra gli insegnanti. L'incontro è piuttosto toccante, i parenti chiedono giustizia per i loro figli. I segnali, tuttavia, non sono incoraggianti. Fino ad ora nessun poliziotto è sotto processo, mentre il nuovo governatore proveniente da Tunisi è un uomo dei vertici militari. La polizia segreta (ben 1 milione di effettivi in un paese che ha poco meno di 11 milioni di abitanti) non è stata disciolta e continua nelle sue provocazioni.
La questione sociale è, del resto, esplosiva. Oltre la forte disoccupazione, i salari sono bassissimi. Le più arrabbiate sono le donne. Nei campi, dove il lavoro è per forza stagionale, riescono a guadagnare 120 dinari (60 euri ) al mese, se va bene. Ed è con questo misero salario che mantengono la famiglia e pagano gli studi ai loro figli nella speranza di un futuro migliore. Per loro la rivoluzione è stata, soprattutto, la rivoluzione della dignità, ma ciò non basta, occorre continuare. Da notare la forte diffidenza nei confronti dei partiti, percepiti come distanti, estranei alla rivoluzione, mentre la sinistra riesce a intervenire grazie al sindacato che gode di molto rispetto e nel consiglio degli avvocati che anche durante i tempi di ben ali era l'unica struttura eletta democraticamente.

3° giorno: dopo una tappa notturna a Gafsa, che molti conosceranno per i grandi scioperi del 2008, siamo subito risaliti a Sidi Bouzid, oramai famosa per l'azione di Mohammed Bouazizi, il giovane avvocato disoccupato che si è dato fuoco il 17 dicembre dopo le continue vessazioni della polizia. Diversamente da Kasserine, il sindacato è meno in sintonia con la rabbia dei giovani disoccupati. Il segretario regionale è, d'altro canto, un ex benalista. Tra le forze di sinistra è comunque ben presente il Parti communiste des Ouvriers Tunisiens, un'organizzazione di origine maoista. Sono presenti in tutta la regione, anche nella città di Regueb, dove la struttura sindacale di base è decisamente a sinistra. Ta le forze più organizzate all'interno del Fronte 14 gennaio (coalizione di partiti e forze sociali diverse su una impostazione anticapitalista, ndr.) ma diversamente dalle altre forze rivoluzionarie e anticapitaliste è favorevole ad un dialogo con gli islamisti, il che è decisamente preoccupante. I membri del partito salafita, (Partito della liberazione), infatti, non perdono l'occasione per aggredire durante le manifestazioni le donne senza velo e manifestano apertamente il loro antisemitismo. il partito islamista principale (Ennahda) si presenta invece con un volto più moderato, ma come ha sottolineato Fethi:"E' per la democrazia, ma una sola volta".

4° giorno, campo profughi di Coucha: si trova a 8 km dal confine della Libia, mentre a 6 km c'è un altro campo profughi gestito dagli Emirati Arabi. Al campo ci sono 8.000 persone, soprattutto lavoratori del Ciad e del Sudan ( circa 4.000). Molti sono gli africani che lavoravano in Libia e i cui governi non pagano l'aereo per il loro ritorno, mentre ai somali è riconosciuto lo status di rifugiati politici. Il campo è ben organizzato, anche se ci sono delle tensioni e si avverte un po' di razzismo nei confronti dei "neri". Del resto comincia a scarseggiare l'acqua potabile e qualche organizzazione internazionale fa la furbetta.
Riguardo a quello che avviene in Italia i giudizi sono diversi. Molti militanti, infatti, spingono i giovani a rimanere in Tunisia per continuare la rivoluzione. Molti si aspettano che nelle mobilitazioni per la piena accoglienza dei profughi e per le frontiere aperte venga raccolta la richiesta di cancellazione del debito e della confisca e restituzione dei beni di Ben Ali e soci.
E' evidente che la rivoluzione rischia di avere una battuta di arresto che può influire sugli altri paesi soprattutto qualora non ci fosse alcuna risposta ai giovani disoccupati e alle massi povere delle città del centro sud. Per ora regge ancora il vento della libertà ma non è detto che cambi direzione. La rivoluzione è giustamente un processo che può avere diverse fasi, svolte e controsvolte.
Un viaggio importante, dunque, in totale, abbiamo percorso più di 1450 km e lunedì, ultimo giorno, non è mancata una cena a base di pesce. I tunisini, oltre ad avere dei tempi molto mediterranei, sono anche molto ospitali.

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