lunedì 13 febbraio 2012

Una sentenza che ora chiede una legge


Il Tribunale di Torino riconosce colpevoli di disastro doloso (con la morte, ad oggi, di 1830 persone), il magnate svizzero Schmideiny e il barone belga De Cartier De Marchienne e li condanna a 16 anni di reclusione: una sentenza storica di straordinaria importanza. Viene finalmente riconosciuta giuridicamente una verità fattuale accertata da tempo, la piena responsabilità della proprietà e dei manager dell’azienda che, pur conoscendo benissimo la pericolosità e il carattere letale dell’amianto e della sua lavorazione, in nome del profitto hanno speculato e lucrato sulla vita e sulla morte di migliaia di lavoratori e cittadini.

E la sentenza è tanto più importante perché gli imputati hanno cercato fino all’ultimo di limitare i danni, cercando di corrompere i comuni colpiti e di crearsi una nuova immagine come benefattori dell’ambiente e dell’ecologia... La lunga battaglia dei lavoratori, dei parenti delle vittime, delle associazioni e dei sindacati, ottiene quindi un decisivo riconoscimento che è un pesante monito per i proprietari e i dirigenti delle aziende: non tutto è a loro permesso, possono e debbono rispondere delle loro azioni e delle loro scelte delittuose. E’ una conferma che si aggiunge alla sentenza, sempre del tribunale di Torino, di condanna dei manager della Thyssen Krupp, responsabili della morte di 7 operai nel terribile incendio del 2007.

La pericolosità dell’amianto era conosciuta già fin dall’inizio del novecento, ma perché i paesi europei ponessero al bando la produzione di questa sostanza, che continua in Asia e in America latina, sono state necessarie grandi mobilitazioni e si è dovuto attendere l’ultimo decennio del secolo scorso.
In Italia ci sono volute grandi lotte politiche e sindacali, scioperi e azioni legali perché nel 1992, dopo 15 giorni di presidio sotto il parlamento, fosse finalmente approvata la legge che poneva fuori legge la produzione e la commercializzazione dell’amianto. Ma la battaglia per piena applicazione di quella legge in termini di bonifica dei luoghi contaminati, presenti su tutto il territorio italiano e di riconoscimento dei diritti previdenziali e sanitari dei lavoratori e dei cittadini non si è mai conclusa.

I tentativi legislativi di intervenire con leggi più efficaci per la bonifica sia dei siti pubblici che quelli privati inquinati, e per rendere maggiore giustizia previdenziale e assistenziale sanitaria ai sopravvissuti e a coloro che vivono sotto il terrore di essere colpiti dalla malattia, pur fortemente sostenuti dalla attività e mobilitazione delle associazioni, non hanno dato finora risultati. Governi e maggioranze di centro sinistra e di centro destra nelle ultime tre legislature, hanno provveduto ad insabbiarli, finanziando invece progetti quali le grandi opere inutili e dannose e le spese militari. L’ultimo progetto, quello del senatore Casson, giace in un cassetto della Commissione lavoro del Senato.

E per quanto riguarda la Regione Piemonte, una legge approvata nella scorsa legislatura, che si proponeva parzialmente questi obbiettivi, è rimasta lettera morta per la mancanza delle necessarie coperture finanziarie. Anche in questo caso, né il governo di centrosinistra della Bresso, né quello di centrodestra di Cota, sono intervenuti con le norme di copertura. In compenso i due schieramenti politici sono fanatici della Tav.
La sentenza è tanto più importante perché va in controtendenza rispetto a un clima economico politico e sociale che il padronato e le istituzioni europee vogliono affermare ad ogni costo: che il mercato e i presunti diritti delle multinazionali, delle aziende, delle banche e dei padroni sono tutto e che i diritti del lavoro debbono essere compressi per garantire rendite e profitti. Non a caso qualcuno propone di abolire l'articolo 18 anche per rassicurare gli investitori esteri.

Occorre cambiare questo stato di cose, cambiare la percezione complessiva del paese, riporre al centro i diritti inalienabili del lavoro, delle lavoratrici e dei lavoratori, difendere l’articolo 18, garantire pienamente la tutela della loro salute, della loro dignità, delle loro condizioni di vita e di lavoro.

Franco Turigliatto da ilmegafonoquotidiano.globalist.it

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